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A 18 anni, sola in ospedale: il pianto di un neonato mi ha ridato la luce della speranza

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Silvia Lucchetti - pubblicato il 22/01/21
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Francesca, una giovane padovana, finisce per la prima volta in ospedale per un’appendicite acuta. Impaurita e sola, a causa delle restrizioni Covid, il pianto di un bambino appena nato le ricorda: “che nel buio c’è sempre un po’ di luce”.Quando stamattina ho letto sul Corriere Buone Notizie un’esperienza di vita condivisa da una giovane padovana di 18 anni di nome Francesca, mi sono incuriosita e spulciando ho scoperto si tratta di Francesca Marangoni, la sorella di Anna.

Non sapete chi è Anna?

Dovete assolutamente recuperare: leggete il bellissimo libro che ha scritto papà Guido, e seguite la pagina Facebook Buone notizie secondo Anna: il sorriso è garantito!

Guido è un marito, un padre, un “ingegnere informatico con il sogno di fare l’attore, l’onore di insegnare e la fortuna di essere scrittore”. Scrive infatti proprio per l’inserto Buone Notizie del Corriere della Sera.



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“Dobbiamo cercare sempre qualcosa di buono, anche nel male”

Questa volta però è una delle sue tre figlie, la diciottenne Francesca Marangoni che studia al liceo Scientifico Fermi, a mettere sul foglio, anzi, su post, i suoi sentimenti e la sua gratitudine.

Molto bello che a farlo sia una giovanissima, che piuttosto che raccontare le ansie del momento critico causato dalla pandemia, lamentarsi, vedere il bicchiere mezzo vuoto, sceglie di guardare al bello anche nella difficoltà. Un insegnamento che le ha trasmetto il nonno, come sottolinea nel suo scritto:

dobbiamo cercare sempre qualcosa di buono, anche nel male.

Una nuova consapevolezza: il valore della salute

Francesca vive il suo primo confronto con la malattia e con l’ospedale pochi giorni fa, in tempo di restrizioni Covid, a causa di un’appendice infiammata. E così racconta su Facebook la sua disavventura che in realtà, nonostante la solitudine e la paura, si rivela un’esperienza di vita importante.

Sola, senza la possibilità di essere visitata dalla famiglia per via delle rigide regole per fermare il contagio, Francesca ammette la difficoltà di quei momenti, il senso di solitudine e malinconia, ma al contempo dichiara di aver acquisito una nuova consapevolezza: quella della fortuna di stare bene.

In questi ultimi giorni sono stata molto male. Non mi era mai successa una cosa del genere prima, e posso affermare di aver trascorso i giorni più difficili della mia, seppur breve, vita.
In tempi di covid essere ricoverati è davvero dura, poiché l’unica cosa che potrebbe risollevarti il morale, ovvero le visite dei conoscenti, sono vietate. Si è soli, isolati e ci si sente un po’ abbandonati. Vorrei ringraziare di cuore tutti coloro che con una chiamata, un pensiero, un messaggio non mi hanno mai fatto sentire sola, bensì amata.
Da questa esperienza ho imparato davvero tanto e più di tutto vorrei condividere la consapevolezza che ho ora del valore della salute. (Ibidem)

L’importanza di essere grati

Vietato lamentarsi – dice Francesca Marangoni – perché, oltre ad essere una perdita di tempo, il lamento non fa guardare al bello che c’è ma solo a ciò che manca o che secondo i nostri schemi non è come dovrebbe:

Non riuscire a essere autosufficiente all’età di 18 anni è un brutto colpo. Come mi insegna il mio caro nonno, dobbiamo cercare sempre qualcosa di buono, anche nel male, dunque invito chi sta leggendo a essere grato. Essere grato di ciò che ha, che sia tanto o poco, essere grato della salute, della famiglia, degli amici, delle possibilità e di godere di tutto. Non possiamo permetterci il lusso di perdere tempo in lamenti poiché il tempo non ci viene restituito.

Il grazie di Francesca Marangoni a chi l’ha curata

La ragazza, un’appassionata ginnasta, si mostra grata, fortunata di essere viva, di essere stata accudita e curata con professionalità e gentilezza dal personale medico. Ora che è a casa e in salute, ripensando a quei cinque lunghi giorni passati al Civile, mette insieme i pezzi e si rende conto di quanto impegno, lavoro e professionalità i medici e gli operatori sanitari mettano nei confronti dei pazienti ricoverati. E così esprime tutta la sua gratitudine:

Vorrei dire mille grazie a queste persone. Grazie ai medici, a quelli che mi hanno visitato in pronto soccorso e a quelli che mi hanno operato, grazie perché avete trovato la causa del mio dolore e l’avete risolta. Grazie infermieri, perché con la vostra pazienza e cura materna mi avete fatta sentire quasi a casa, esaudendo qualsiasi mia richiesta sempre con il sorriso sotto la mascherina. Grazie operatori, che nella prima notte in cui sono arrivata mi avete accompagnato e trasportato più volte da un reparto all’altro, intrattenendomi con qualche chiacchiera. Grazie alle operatrici, che ogni mattina con precisione hanno pulito silenziosamente la mia stanza, per permettermi di dormire ancora un po’. E grazie a tutti coloro che fanno parte di questo ambiente, anche se non vi ho citato in particolare.

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“Nel buio c’è sempre un po’ di luce”

L’esperienza in ospedale è stata una prova di maturità per Francesca e il ricordo più intenso che conserva è quello di un grido. Tra i lamenti e le urla di sofferenza degli ammalati a cui nel post dedica un affettuoso pensiero, le resta nelle orecchie e nel cuore, scrive, quello di un neonato che con il pianto dimostra tutto il suo attaccamento alla vita, un vagito forte, intrepido, che la scuote da ciò che sta affrontando ricordandole che “nel buio c’è sempre un po’ di luce”.

Oltre a riconoscere il prezioso servizio umanitario che queste figure ci donano, vivendo un po’ di giorni in ospedale ho potuto sperimentare il vero dolore. Sentivo le urla di sofferenza provenire dalle stanze vicine a dove aspettavo di essere visitata. Vorrei dunque dedicare un pensiero agli ammalati, a chi soffre e a chi sta male. In mezzo a queste stridenti grida, una in particolare mi è rimasta in mente. Mi trovavo nel reparto di ginecologia e il proprietario di questo urlo, più che altro era un pianto, era un bimbo appena nato che voleva gridare al mondo di essere qui, e di avercela fatta. È stato per me un momento di toccasana sentirlo, l’unico che è riuscito a distrarmi per pochi secondi da quello che stavo vivendo, quasi a ricordami che nel buio c’è sempre un po’ di luce.

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