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Addio a don Pigini, prete imprenditore (e latinista disneyano)

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 15/01/21
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Originario di Castelfidardo ma lungamente attivo e operante a Recanati, in una lunghissima vita il sacerdote è stato energico imprenditore e appassionato investigatore del mistero di Dio. Di lui si ricordano gli albi di “Michael Musculus” (Topolino) e “Donaldus Anas” (Paperino). Mons. Marconi, il suo vescovo, ha indicato nel suo “ottimismo cristiano” «il segreto di ogni imprenditoria».

L’Epifania – si sa – tutte le feste si porta via.

Liturgicamente scorretto, questo adagio esprime tuttavia il sentire di molte persone che, già pensando mestamente al ritorno alla ferialità (e ai chili frattanto assunti dalle tavolate festive), ripongono negli scatoloni gli addobbi natalizi. Quest’anno – in sordina anche per la grave crisi sanitaria che ancora ci preoccupa tutti – l’Epifania si è portata via anche don Lamberto Pigini, sacerdote dal multiforme ingegno che guadagna gli annali come “padre di Topolino e Paperino in latino”, nonché “zio delle popolarissime chitarre Eko” (e “nonno delle Winx”).

Era stato infatti suo fratello Oliviero il fondatore della grande liuteria, e il gruppo di famiglia avrebbe poi rilevato l’attività. “Nonno” lo è stato – don Lamberto – delle Winx e non solo, essendo stato in qualche modo “padrino artistico” (con la società Raimbow) del talento cartoonistico di Iginio Straffi, il cui nome compare fra i titoli di molte delle serie animate guardate e amate dai nostri figli.

I collezionisti di fumetti e gli amanti dei personaggi di Carl Barks e Don Rosa avranno forse voglia, scoprendo magari oggi l’opera di don Pigini, di impreziosire la propria libreria con gli albi disneyani tradotti in latino dal prete fidardense: se ne trova un elenco puntuale in questo bell’articolo di Francesca Arca.

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ELI
Pagina dall'albo “Donaldus Anas atque nox saraceni”

A noi preme ricordare una lunghissima vita nei suoi caratteri di entusiasta laboriosità e di vivace fede cristiana, che sono coesistite con grande virtuosismo diffondendo cultura, lavoro, benessere e fede. Don Lamberto si unisce alla lunghissima schiera degli imprenditori cattolici (basti pensare a Olivetti) che hanno abbellito l’Italia e il mondo del XX secolo.



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Nonno era stato anche per l’età, don Lamberto: aveva quasi 97 anni, 71 dei quali vissuti da sacerdote cattolico:

Perciò ringrazio il Signore – ha detto il 9 gennaio mons. Nazzareno Marconi presiedendo i suoi funerali – , come vescovo e come persona per quello che è stato don Lamberto: un prete ed un imprenditore cattolico, senza che una vocazione facesse ombra all’altra, ma tutte e due vissute con impegno e fino alla fine.

Sentendolo vicino ho riletto la prima lettura in cui S. Giovanni presenta una deduzione apparentemente strana: “se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri”. La logica a ben vedere invece è stringente: se Dio, che non può sbagliarsi perché è infallibile, trova in ognuno qualcosa di amabile, un buon motivo per amarlo, tanto che Dio ama tutti come sui figli, allora ognuno è amabile. Ogni persona merita amore e vale perciò la pena di provare sempre ad investire nel bene.

Questo ottimismo cristiano è il segreto di ogni imprenditoria, sia pastorale che economica. Ci dicevamo con don Lamberto che: solo la fede da quella luce di speranza che fa guardare al futuro. Di una tale visione ha oggi bisogno tanto la Chiesa quanto l’economia. Questa convinzione profonda ha guidato don Lamberto, che in un tempo di grave crisi del lavoro, pensò di investire ogni sua energia nel formare i giovani a nuovi lavori. Come da prete li formava alla fede, per affrontare le prove della vita, così pensò di formarli al lavoro, per dare loro da mangiare.

Erano anni in cui alcuni preti, per essere vicini al mondo del lavoro, facevano i preti operai. Don Lamberto, cercando di mettere a frutto buono i suoi talenti, fece invece il prete imprenditore, quello che lavorava per trovare lavoro agli altri.

In definitiva nella sua vita ha obbedito a quello che racconta il vangelo di oggi. Il racconto l’abbiamo ascoltato: la nave di Pietro, simbolo della chiesa, come di ogni comunità cristiana, si trova in mezzo alla tempesta. Gesù sembra lontano, sta sul monte a pregare. Quando si avvicina lo pensano ancora più come un fantasma che come una vera presenza, perché nella tempesta la prima cosa che vacilla è la fede. Gesù stava loro indicando la strada della salvezza: precedendoli camminando sul mare, ma essi pensano che voglia abbandonarli. Deve perciò tornare indietro e con pazienza salire sulla barca e fermare la tempesta.

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