La presenza dei cristiani sui social network è un rischio da assumersi – con prudenza e moderazione.
Che ci piaccia o no, il 2021 (come già il 2020) sarà segnato dall’onnipresenza dei social network, e in generale dell’Internet. L’anno nuovo non ha ancora due settimane, ed ecco che un immenso dibattito globale si accende con la soppressione dei profili social (Twitter, Facebook, Instagram) del presidente uscente degli Stati Uniti… [La ricaduta in Italia ha visto la sospensione degli account del quotidiano Libero e di alcuni esponenti politici sovranisti N.d.R.]. Una polemica dalle frontiere sfumate tanto quanto lo è lo statuto degli stessi social: spazi privati di pensieri personali o media quasi-istituzionali del pensiero ufficiale?
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Né troppo né poco
Una risposta draconiana consisterebbe nell’ignorare i social network in blocco, la loro influenza sulla vita di miliardi di esseri umani connessi. Una tale soluzione sarebbe eventualmente praticabile solo a titolo personale – essa configurerebbe lo stile di vita di un moderno anacoreta – e con dei limiti immediatamente evidenti: è difficile vivere oggi nelle nostre società senza una connessione a Internet e senza alcuni account inevitabili (foss’anche solo per le tasse, la previdenza sociale, i pagamenti… le bollette telefoniche e via dicendo…). Laddove anche monaci e monache, nei loro conventi, finiscono col “mettersi online”, bisogna ammettere che un minimo della socialità contemporanea passa dalla via dei social network.
Per ciascuno di noi la questione principale è piuttosto sul padroneggiare il nuovo mondo di Internet, cioè nel dargli il giusto posto nelle nostre vite. Né troppo né poco. Al troppo si arriva facilissimamente, tanto gli schermi e gli algoritmi dei social sono affascinanti e “cronofagi”. Per il cristiano (e non solo per lui) risulta fondamentale l’ausilio di una virtù e delle sue appassionanti proprietà – la temperanza. In fondo, la nostra vita coi social network ci spinge a sviluppare questa virtù, ci dà l’occasione di una lotta spirituale davanti alle tentazioni veicolate dai social network. Né troppo né poco – perché un sano pragmatismo ci obbliga ad accettare che la maggior parte di quanti ci circondano si trovi, costituendo una nuova forma di socialità, sui social network. Rifiutare di prendervi parte rischia di essere già sul piano umano una forma di spregio – e dal punto di vista cristiano rinuncerebbe all’evangelizzazione del “nuovo continente”.
Nuova socialità
I celebri storici francesi Maurice Agulhon e, prima di lui, Augustin Cochin, hanno studiato ai loro tempi le nuove forme di socialità che vedevano la luce nel corso del XVIII secolo in Francia, quando massoneria e società di pensatori hanno poco a poco riunito nel loro seno quelli che intendevano riflettere, parlare, polemizzare, discutere, a detrimento delle antiche corporazioni, confraternite di penitenti (bianchi, grigi o neri in Provenza), circoli pii e via dicendo. Ignorare dunque, col pretesto della loro violenza, della loro mancanza di obiettività e di tutti i difetti che ben sappiamo, i social network esporrebbe tutti noi e la Chiesa al rischio di vedere ancora una volta gli uomini e le donne del nostro tempo allontanarsi sempre più dal messaggio salvifico di Cristo, nonché dagli insegnamenti civilizzanti addotti dalla fede cristiana.
Non c’è evangelizzazione senza rischio
Come in ogni forma di evangelizzazione, ci sono dei rischi da correre per arrivare al nostro prossimo. È necessario ricordare che già la semplice accettazione del contatto, di una parola, di uno sguardo, di una stretta di mano, comporta un’assunzione di rischio? In un periodo in cui – per via della crisi sanitaria – tutti portiamo le maschere e rifiutiamo in partenza e permanentemente di mostrare agli altri il nostro viso nella sua integralità? Davvero dovremo rifiutarci anche – per non scomodarci, per mancanza di entusiasmo, per paura, per ignavia, per ottusità (e non senza pretesti anche sensati) – di unirci ai fratelli d’umanità nelle nuove agorà in cui si radunano? Certamente no. Che questo esiga da noi, individualmente e collettivamente, delle tutele, delle precauzioni, è altrettanto evidente… ma guardiamoci dal camuffare sotto lo smalto di un’eccessiva prudenza, la nostra indifferenza per i fratelli e per la Salvezza (nostra e loro).
Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini.
1Cor 4,9
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[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]