Esistevano dei veri e propri bordelli organizzati e riforniti di donne coreane. Il loro compito era soddisfare i bisogni dei soldati giapponesi impegnati nel secondo conflitto mondiale. A distanza di quasi un secolo, una storica sentenza.
Sentenza storica
Un tribunale sudcoreano ha ordinato al governo giapponese di risarcire dodici ‘schiave del sesso’ della Seconda guerra mondiale. Si tratta di una sentenza storica destinata a suscitare le ire di Tokyo. (AGI)
Venivano chiamate “donne di conforto”, come un bene di consumo, come la cioccolata, come un bagnoschiuma che dopo una giornataccia insieme all’acqua calda della vasca ci riconcilia col mondo.
Schiave del sesso durante la seconda guerra mondiale
Siamo in tutt’altro contesto storico, questa faccenda si è consumata durante il secondo conflitto mondiale. Ma non è stata inghiottita dall’oblio se ora, a distanza di ottant’anni un tribunale emette una sentenza simile.
In dettaglio, il tribunale del distretto centrale di Seul ha stabilito che il governo giapponese dovrà pagare 100 milioni di won, pari a 91 mila dollari, a ciascuna delle vittime o alle loro famiglie.
Si tratta del primo caso giudiziario riguardo alle ragazze fatte schiave del sesso dalle truppe di occupazione giapponese (…). (Ibidem)
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La Corea, colonia dell’Impero del Sol Levante
Mentre i soldati nipponici servivano l’imperatore e difendevano le sue terre venivano riforniti di ciò che poteva soddisfare i loro bisogni. La riduzione in schiavitù e la tratta di donne straniere, soprattutto se di paesi colonizzati come era la Corea nel ‘900, è espressione tipica del dominio e dell’umiliazione che si vuole infliggere a un popolo. L’altro non è più persona ma mezzo, oggetto, bene di consumo. La Corea fu per il Giappone, che se la annesse dal 1010 al 1950, una provincia a cui sottrarre terre e risorse e una base da cui promuovere e perseguire l’invasione della Manciuria e della Cina. La stessa modernizzazione del paese, con la costruzione di strade e aeroporti, era funzionale a questi scopi. Vigeva un controllo militare e poliziesco sulla popolazione, considerata di rango inferiore e a disposizione del potere imperiale. E come spesso accade sono le donne a patire di più in queste situazioni.
Gli storici ritengono che fino a 200.000 donne, per lo più coreane, ma anche di altre parti dell’Asia, compresa la Cina, furono costrette a lavorare come prostitute per i militari giapponesi durante la Seconda guerra mondiale.
Dopo 8 anni, la sentenza
La storica sentenza dell’8 gennaio è arrivata dopo un processo di 8 anni.
Da allora alcuni dei querelanti originari sono morti e sono sono stati sostituiti dalle rispettive famiglie. Tokyo, in questi anni, ha boicottato il procedimento e sostiene che tutte le questioni di risarcimento derivanti dal suo dominio coloniale sono state risolte con il Trattato del 1965 che normalizza le relazioni diplomatiche con i Paesi i vicini.
Il governo giapponese nega inoltre di essere direttamente responsabile degli abusi di guerra, insistendo sul fatto che le vittime erano state reclutate da civili e che i bordelli militari erano gestiti da privati. La disputa si è inasprita nonostante Seul e Tokyo avessero trovato un accordo nel 2015 volto a risolvere la questione “definitivamente e irreversibilmente” con le scuse giapponesi e la creazione di un fondo da un miliardo di yen per i sopravvissuti.
Ma il governo sudcoreano di Moon ha dichiarato difettoso l’accordo raggiunto sotto il suo predecessore conservatore e lo ha di fatto annullato, citando la mancanza del consenso delle vittime. La mossa ha portato a un’aspra disputa diplomatica che ha finito per incidere sui legami commerciali e di sicurezza fra i due Paesi.
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Altro che MeToo
Questa settimana lo stesso tribunale della capitale coreana dovrebbe pronunciarsi su un’altra causa omologa intentata da altre 20 donne e dalle rispettive famiglie. Di sicuro ci sono molti aspetti politico-strategici legati a questi procedimenti; cionondimeno resta la rilevanza etica di un simile traguardo, visibile da ogni parte del mondo.
Fa riflettere constatare come le forme di mercificazione della donna, di sfruttamento sessuale e di violazione della sua dignità trovino sempre nuovi modi per esprimersi. Oggi il fenomeno della schiavitù sessuale è tragicamente florido e recluta nel suo traffico spaventoso sempre più bambini, oltre che donne. Un processo come quello di Seul per un crimine che si poteva ritenere inghiottito dalla storia e dalle sue tante vergogne, è incoraggiante. Non solo l’economia del male procede e si ingegna, ma anche quella di chi lotta per la giustizia ha i suoi operatori.