Fondatore e priore della comunità monastica della Famiglia di San Giuseppe, padre Joseph-Marie Verline ci introduce alla grande figura di san Giuseppe, a cui papa Francesco ha consacrato un anno speciale in occasione del 150º anniversario della sua proclamazione a patrono universale della Chiesa. L’uomo del silenzio, patrono della vita nascosta, doveva essere un uomo bello, e la sua bellezza parlava per lui.
Qualcosa della bellezza di Davide (1Sam 16,12) potè passare ai suoi discendenti, e anche a Maria, in cui la Chiesa riconobbe «la più bella delle donne» (Ct 1,8). Per provare a ricostruire la persona fisica di Giuseppe, padre Denis Buzy (1883-1965) – che fu superiore generale dei Prêtres du Sacré-Cœur de Bétharam – si lasciò guidare da un ragionamento basato sulle Scritture:
Davide era bello (cf. 1Sam 16,12), bello di viso, bello per la capigliatura rossastra; bello nella statura, alta e snella fin dalla giovinezza; bello nella forza, ché si misurava con leoni e con orsi selvatici. La bellezza di Davide è passata a tutti i suoi discendenti; la Scrittura lo segnala, anche quando i suoi figli hanno fatto di quella bellezza un uso criminale. […] Possiamo quindi supporre che questa arcaica bellezza, raffinata da secoli di regalità e di disgrazie, si sia conservata e perpetuata nello sposo della “più bella tra le donne” (Ct 1,8).
Quanto a Gesù, il “figlio di Giuseppe” (Lc 4,22) e di Maria, anch’egli doveva essere di bellezza incomparabile:
Doveva essere così – precisava il padre Buzy – perché la radice di Iesse stava per sbocciare, dopo un millennio di preparazione e di elaborazione, in un fiore meraviglioso, e la Vergine Maria doveva dare la luce a Gesù, «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 44,3). Figlio di Davide, scelto da Dio per diventare il padre putativo del più bello tra i figli dell’uomo, chi potrebbe dubitare che Giuseppe abbia ricevuto questa dote dalla sua impronta genetica? Doveva essere bello per la giovinezza, bello di volto, bello di statura, bello nella forza e nell’innocenza. Era bello, e la virtù aggiungeva fascino a quella bellezza.
Immagine della bellezza di Dio
Les Grandeurs de saint Joseph [Le glorie di san Giuseppe, N.d.T.] di Jean-Jacques Olier (1608-1657), fondatore della comunità e del seminario di Saint-Sulpice, annovera indubbiamente tra le sue alcune tra le pagine più belle sullo sposo di Maria. Per Olier, san Giuseppe doveva rendere percettibili per il Bambino divino le perfezioni adorabili di Dio, suo Padre, «le sue bellezze, la sua purità, il suo amore, la sua sapienza e la sua prudenza, la sua misericordia e la sua compassione». Per poter essere così «l’immagine universale di Dio Padre in terra», san Giuseppe ha dovuto ricevere da Dio una somiglianza con la sua natura invisibile e nascosta:
Dio Padre lo plasmò con le proprie mani appunto perché potesse rappresentare Sé stesso al Figlio unico, per mettere incessantemente a Questi, davanti agli occhi, il suo vero ritratto e l’immagine, come una compensazione nel tempo della sua assenza e una sorta di sollievo durante gli anni del suo pellegrinaggio.
Jean-Jacques Olier, Les Grandeur de saint Joseph, I,1.1
Per Jean-Jacques Olier, tali privilegi pongono san Giuseppe fuori dalla portata della comprensione dell’umana intelligenza. È dunque mediante la fede che siamo invitati a venerare in san Giuseppe quel che altrimenti non riusciremmo a comprendere.
Lo sguardo chiaro, pieno di nobiltà
Nella sua opera La Vierge Marie, Jean Guitton (1901-1999) s’immagina
un Giuseppe giovane e forte, silvestre, vivace come il pastore libanese descritto nel Cantico. Diversi giovani eroi che la vita mi ha permesso di conoscere nei campi e nell’esercito mi hanno proposto tale tipo d’uomo dallo sguardo chiaro: paesani, soldati, aviatori; il tipo del “maschio” e del “puro” fusi in un unico bagliore.
In una lettera che il 24 marzo 1911 scrisse da Praga al suo amico Sylvain Pitt, Paul Claudel (1868-1955) azzardò qualche confidenza su come s’immaginava san Giuseppe:
Era al contempo un operaio e un gentiluomo. Era sorridente e silenzioso, con un grande naso nobile, delle braccia muscolose e delle mani delle quali qualche dito era spesso fasciato, come è per chi lavora il legno. Lo vedo nella sua officina una mattina assolata, sento la scia e il sonoro rumore dei pezzetti di legno, sento un bambino che viene a cercarlo e che grida “Giuseppe! Giuseppe!”. La sua bottega doveva essere amata dai bambini così come lo sono sempre quelle dei falegnami.
Il patrono della vita nascosta
E poi – proseguiva Claudel – lo vedo che torna da Gerusalemme nello stupore di tutti, con la sua fidanzata tanto giovane e dolce. Lo vedo quando arrivano, vedo la vicina che aveva loro amichevolmente tenuto d’occhio la casa. Quanti commenti su tutto questo, la sera alla fontana del paese! Giuseppe è il patrono della vita nascosta, la Scrittura non riporta di lui una sola parola. È il silenzio che è il padre del Verbo. Quanti contrasti in lui! Egli è il patrono dei single e quello dei padri di famiglia, quello dei laici e dei contemplativi insieme! Quello dei sacerdoti e degli uomini d’affari – perché Giuseppe era carpentiere. Era tenuto a discutere con i clienti e a firmare piccoli contratti, a perseguire debitori recalcitranti; a esortare, a fare compromessi, a comprare le forniture al miglior prezzo riflettendo sulle occasioni, eccetera…
Paul Claudel, Positions et propositions, II, 147-148
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[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]