In un’intervista alla Gazzetta parla anche del “poeta” Maradona, dell’ “eroe” Gino Bartali e racconta che da piccolo, sui campi di calcio, lo chiamavano “Papa Dura”
Una tirata d’orecchie agli imbroglioni che usano le «scorciatoie» per arrivare a dei buoni risultati. Gli Esercizi di Sant’Ignazio che sono come un sano allenamento di una disciplina sportiva. Il ruolo da portiere che svolgeva da ragazzino. E due personaggi che gli sono rimasti nel cuore: Maradona e Gino Bartali. Sono alcuni dei passaggi più importanti della prima intervista di Papa Francesco dedicata interamente allo sport. L’ha rilasciata a La Gazzetta dello Sport (2 gennaio), firmata da Pier Bergonzi (con l’aiuto di don Marco Pozza).
Il calcio: le giornate al Gasometro a tifare San Lorenzo
Racconta Papa Francesco: «Ricordo molto bene e con piacere quando, da bambino, con la mia famiglia andavamo allo stadio, El Gasómetro. Ho memoria, in modo particolare, del campionato del 1946, quello che il mio San Lorenzo vinse. Ricordo quelle giornate passate a vedere i calciatori giocare e la felicità di noi bambini quando tornavamo a casa: la gioia, la felicità sul volto, l’adrenalina nel sangue».
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Un portiere soprannominato “Pata dura”
Poi, prosegue «ho un altro ricordo, quello del pallone di stracci, la pelota de trapo: il cuoio costava e noi eravamo poveri, la gomma non era ancora così abituale, ma a noi bastava una palla di stracci per divertirci e fare, quasi, dei miracoli giocando nella piazzetta vicino a casa. Da piccolo mi piaceva il calcio, ma non ero tra i più bravi, anzi ero quello che in Argentina chiamano un “pata dura”, letteralmente gamba dura. Per questo mi facevano sempre giocare in porta. Ma fare il portiere è stato per me una grande scuola di vita. Il portiere deve essere pronto a rispondere a pericoli che possono arrivare da ogni parte…».
Gli Esercizi Spirituali come gli allenamenti sportivi
Una scuola di vita sportiva, che secondo Papa Francesco si può paragonare agli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio.
«Quando sant’Ignazio di Loyola ha scritto gli Esercizi Spirituali, l’ha fatto ripensando alla sua storia passata di soldato, fatta di esercizi, addestramenti, allenamenti. Intuisce che anche lo spirito, come il corpo, va allenato. Esercitarsi, poi, richiede una disciplina: gli esercizi sono buoni maestri».
Cita Guillaume de Saint-Thierry, un monaco belga vissuto nel XII secolo, secondo cui “la volontà genera la pratica, la pratica genera l’esercizio e l’esercizio procura le forze per qualsiasi lavoro”. «L’esercitazione alla bontà – osserva il Papa – alla bellezza, alla verità sono delle occasioni in cui l’uomo può scoprire dentro di sé delle risorse inaspettate. Per poi giocarsele».
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La temperanza dei campioni
Quindi Francesco lascia un messaggio ai campioni dello sport. «Ai campioni auguro di imparare una virtù preziosissima: la temperanza, la capacità di non perdere il senso della misura. Solo così potranno essere testimoni dei grandi valori come l’onestà, la correttezza, la dedizione. Non sono cose da poco».
I rischi che correva Gino Bartali
Tra i campioni, ne porta uno nel cuore, un eroe della Seconda Guerra Mondiale. Ricorda quando, durante un viaggio apostolico, «sono stato allo Yad Vashem a Gerusalemme, mi raccontarono di Gino Bartali, il leggendario ciclista che, reclutato dal cardinale Elia Dalla Costa, con la scusa di allenarsi in bicicletta partiva da Firenze alla volta di Assisi e faceva ritorno con decine di documenti falsi nascosti nel telaio della bici che servivano per far fuggire e quindi salvare gli ebrei. Pedalava per centinaia di chilometri ogni giorno sapendo che, qualora lo avessero fermato, sarebbe stata la sua fine».
“Ha lasciato il mondo meglio di come lo ha trovato”
Così facendo, sottolinea il Papa, «offrì una vita nuova a intere famiglie perseguitate dai nazisti, nascondendo qualcuno di loro anche a casa sua. Si dice che aiutò circa ottocento ebrei, con le loro famiglie, a salvarsi durante la barbarie a cui vennero sottoposti. Diceva che il bene si fa e non si dice, se no che bene è? Lo Yad Vashem lo considera ‘Giusto tra le nazioni’, riconoscendo il suo impegno. Ecco la storia di uno sportivo che ha lasciato il mondo un po’ meglio di come lo ha trovato”.
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Il “poeta” Maradona
Un altro campione che cita il Papa nell’intervista è Diego Armando Maradona. Dice di averlo incontrato in occasione di una partita per la Pace nel 2014: ricordo con piacere tutto quello che Diego ha fatto per la Scholas Occurrentes, la Fondazione che si occupa dei bisognosi in tutto il mondo.
«In campo è stato un poeta, un grande campione che ha regalato gioia a milioni di persone, in Argentina come a Napoli. Era anche un uomo molto fragile. Ho un ricordo personale legato al campionato del Mondo del 1986, quello che l’Argentina vinse proprio grazie a Maradona. Mi trovavo a Francoforte, era un momento di difficoltà per me, stavo studiando la lingua e raccogliendo materiale per la mia tesi. Non avevo potuto vedere la finale del Mondiale e seppi soltanto il giorno dopo del successo dell’Argentina sulla Germania, quando una ragazza giapponese scrisse sulla lavagna “Viva l’Argentina” durante una lezione di tedesco. La ricordo, personalmente, come la vittoria della solitudine perché non avevo nessuno con il quale condividere la gioia di quella vittoria sportiva: la solitudine ti fa sentire solo, mentre ciò che rende bella la gioia è poterla condividere. Quando mi è stato detto della morte di Maradona, ho pregato per lui e ho fatto giungere alla famiglia un rosario con qualche parola personale di conforto».
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Lo sport e il “guadagno facile”
Lo sport visto da Papa Francesco trova un approdo nell’ultima enciclica, “Fratelli Tutti”. In quel documento «ho voluto precisare che il mercato, da solo, non risolve tutto anche se la cultura di oggi sembra volerci far credere a tutti i costi a questo dogma di fede neoliberale. Questo accade quando il valore economico detta legge, nello sport come in tanti altri settori della nostra vita. La ricchezza, il guadagno facile, rischiano di far addormentare la passione che ha trasformato un ragazzo qualunque in un fiore all’occhiello».
«Personalmente – continua – credo che un po’ di “fame” in tasca sia il segreto per non sentirsi mai appagati, per tenere accesa quella passione che, da bambini, li ha affascinati. È triste vedere campioni ricchissimi ma svogliati, quasi dei burocrati del loro sport: facciamo di tutto perché sia salva la dimensione amatoriale dello sport».
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“Ad ognuno Dio ha dato un campo”
Anche Dio, in qualche modo, ha un “rapporto diretto” con il mondo dello sport.
«Ad ognuno – dice Francesco – Dio ha dato un campo, un pezzo di terra nel quale giocarsi la vita: senza allenamento, però, anche il più talentuoso rimane una schiappa, si dice così? Ecco: per me allenarmi – e anche un Papa si deve sempre tenere in allenamento! – è chiedere ogni giorno a Dio “Che cosa vuoi che faccia, che cosa vuoi della mia vita?”. Domandare a Gesù, confrontarsi con Lui come con un allenatore. E se si fa uno scivolone, nessuna paura: a bordo campo c’è Lui che è pronto a rimetterci in piedi. Basta non aver paura di rialzarsi».
“Meglio una sconfitta pulita, di una vittoria sporca”
Infine il suo auspicio “sportivo” nel 2021 è «è molto semplice» «lo dico con le parole che hanno scritto su una maglietta che mi è stata regalata: “Meglio una sconfitta pulita che una vittoria sporca” – sentenzia Papa Francesco – Lo auguro a tutto il mondo, non solo a quello dello sport. È la maniera più bella per giocarsi la vita a testa alta. Che Dio ci doni giorni santi. Pregate per me, per favore: perché non smetta di allenarmi con Dio!».
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