«Dirty è un disco dei Sonic Youth, significa “sporco” e suona in italiano un po’ come “dirti”, “dire a te”. E questo è un libro di poesia». Si presentano così, sull’account Instagram dedicato. E noi, ora, li intervistiamo: le domande partono dalla lettura del manifesto e da quella di alcune poesie. Andate a leggerle, perché di nuovo si vedranno fiori spuntare dal letame.Ho già avuto modo di gustarmi le vostre poesie, là dove le avete pubblicate. Ora vorrei farvi qualche domanda sul senso di questo progetto, a partire soprattutto dal suo manifesto, che metto subito a disposizione dei nostri lettori (poi lo ritroverete nella sua forma grafica adeguata, nella foto gallery).
dirTy – UN MANIFESTO
dirTy perché la nostra ricerca è partita dalla spazzatura. Johnny era marcio (Rotten), i Sonic Youth amavano sporcare (Dirty è il loro disco a cui abbiamo rubato il nome e in italiano suona come «dirti», «dire a te»). Il punk, in generale, è per sua stessa ammissione rifiuto.
dirTy perché una volta ammiravamo lo sporco, ora è il nostro laboratorio. Da quando abbiamo capito che il Crocifisso (la «T») sublima la nostra giusta intuizione (e risolve la scocciatura dell’autodistruzione).
dirTy perché la nostra fede abbraccia la cancrena, fissa le piaghe, non spreca nessun dolore. Ma è vittima di uno scambio di persona: è una zolletta succhiata nell’estetica stucchevole e scontata che le si vuole attribuire.
dirTy perché, come diceva un ottimo scrittore, non esiste poesia che non sia religione.
dirTy perché in questo tempo igienizzato prima del segno della croce ci passiamo l’Amuchina. E noi facciamo memoria che c’è un tipo di contagio che può essere un valore.
dirTy perché un libro di poesia contemporanea con questi presupposti su Instagram stride al punto giusto.
Fant & Signorin
Che ci fa una pubblicazione di poesia contemporanea su Instagram, social delle immagini e dei filtri senza nemmeno un’immagine e un filtro?
È il luogo migliore e più immediato. E poi nessuno ci avrebbe pubblicato un libro di poesia del genere. Nessuno legge poesia contemporanea, nessuno la compra, forse per questo ci attira. E poi, tecnicamente, il tipo di immagine per cui abbiamo optato, tutta bianca con uno spazio ben preciso per le parole, ci dà dei limiti che sono quasi una forma di metrica.
Raccontateci l’idea, in prosa
dirTy è un libro di poesia contemporanea su Instagram, nato da un’affinità artistica e spirituale di due autori che innanzitutto si “seguono” (dei follower reciproci…) e si apprezzano, in particolare per il racconto La mia prima fine del mondo scritto da Emanuele sul camilliano amico dei barboni fratel Ettore Boschini (patrono di dirTy) e le canzoni dei Mienmiuaif, di cui Giuseppe è l’autore.
Se non fossimo in questo periodo non avreste lanciato dirTy? O avreste solo saltato il tema Amuchina che soppianta (provvisoriamente!) l’acqua benedetta?
Siamo in un periodo di dolore e “sporcizia” a livello mondiale, probabilmente in altri momenti non sarebbe nato questo progetto. Ma il desiderio di fare qualcosa insieme c’era da tempo. È comunque interessante provare a praticare una forma di creatività “sporca”, in questo periodo così ossessivamente igienizzato. Non che siamo contrari all’igiene e alle misure necessarie! Ma ci piace non dimenticare anche il valore di ciò che sterile non è. È sotto gli occhi di tutti la difficoltà di essere “un corpo solo” senza la presenza fisica, che necessariamente implica una qualche forma di scambio e contagio, infatti lo scambio della pace e la distribuzione dell’Eucarestia sono gesti centrali della Messa, e sono quelli che più hanno messo in difficoltà chi ha dovuto ripensare l’Eucarestia in tempo di lockdown.
C’è l’intento di sottrarre Cristo e il cristianesimo alle loro versioni asettiche, incruente, tutta dolcezza…
C’è, perché ne sentiamo l’esigenza. Il cristianesimo ha tante facce e tanti aspetti, i santi stessi sono diversissimi fra di loro, noi ci sentiamo di lavorare un po’ su questo fronte, di togliere un po’ di patina che rischia di rendere kitsch e falso un messaggio che è bellezza e verità. Ma che lo è proprio perché ha il coraggio di entrare vittoriosamente anche nelle peggiori brutture.
E il rischio di compiacersi, in questo rimanere a guardare lo sporco, le piaghe, ciò che prima vi attirava e ora rimane come esperimento?
I rischi ci sono sempre e sicuramente sbanderemo un po’ di qua e un po’ di là, ma comunque ci va di provarci. Lo sguardo che abbiamo ora ci sembra meno autoreferenziale di quello che avevamo prima. Quindi siamo ottimisti!
“dirTy perché la nostra fede abbraccia la cancrena, fissa le piaghe, non spreca nessun dolore. Ma è vittima di uno scambio di persona: è una zolletta succhiata nell’estetica stucchevole e scontata che le si vuole attribuire”. La nostra fede non lo spreca e allora cosa se ne fa di tutto il dolore? Il cristianesimo lo ama in sè stesso, il dolore? ha per caso, quello, una sua bellezza?
La Crocifissione è una delle opere d’arte più eseguite nella storia. Quindi certo che ha una sua bellezza, ma solo assieme al senso che il cristiano associa al dolore, al dolore offerto, al dolore sopportato. Amare la croce non significa amare il dolore in sé, ma il bene e l’amore che se ne può trarre.
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