Alla tradizionale Messa della Notte di Natale Papa Francesco ricorda che “Dio non riesce a non amarci” e che nel riconoscerci suoi figli amati risiede il punto di partenza di qualsiasi rinascita e “il cuore indistruttibile della nostra speranza” più forte delle paure per il futuroÈ per noi che spesso “analfabeti di bontà” e insaziabili di avere, “ci buttiamo in tante mangiatoie di vanità” scordando quella di Betlemme. Per noi che siamo nella paura e nello scoraggiamento, che Dio ha mostrato il suo amore infinito e gratuito ricordandoci con i fatti che siamo figli amati. Ruota tutta attorno all’espressione “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”, tratta da Isaia, l’omelia di Papa Francesco in questa notte santa. E, in particolare, attorno a quel “per noi” che risuona più volte in questa Messa della Notte di Natale scandita dalla gioiosità e dal calore dei canti natalizi e segnata quest’anno da una pandemia che ha riflessi nel suo svolgimento. Alla presenza di un centinaio di persone che indossano la mascherina, l’Eucaristia, anticipata alle 19.30, si tiene nella Basilica di San Pietro all’Altare della Cattedra e al momento della consacrazione, i cardinali Giovanni Battista Re e Leonardo Sandri si sono avvicinati all’altare per assistere il Santo Padre, posizionati ai lati e non di fianco al Papa come di solito avviene, per rispetto delle norme sul distanziamento.
Il cuore della speranza e rinascita
“Dio viene al mondo come figlio per renderci figli di Dio”, un dono stupendo, ricorda il Papa. E Dio dice a ciascuno di noi: “Tu sei una meraviglia”.
Hai la sensazione di non farcela, il timore di essere inadeguato, la paura di non uscire dal tunnel della prova? Dio ti dice: “Coraggio, sono con te”. E non te lo dice a parole, ma facendosi figlio come te e per te, per ricordarti il punto di partenza di ogni tua rinascita: riconoscerti figlio di Dio, figlia di Dio. Questo è il punto di partenza di qualsiasi rinascita. E questo è il cuore indistruttibile della nostra speranza, il nucleo incandescente che sorregge l’esistenza: al di sotto delle nostre qualità e o dei nostri difetti, più forte delle ferite e dei fallimenti del passato, delle paure e dell’inquietudine per il futuro, c’è questa verità: siamo figli amati.
Si tratta di un amore che non dipende da noi: “è amore gratuito”. “Questa notte – rimarca il Papa – non trova spiegazione in altra parte: soltanto, la grazia. Tutto è grazia”.
Insaziabili e analfabeti di bontà, abbiamo bisogno del suo amore
La riflessione di Francesco si concentra, quindi, sulla mangiatoia di Betlemme, che significa “Casa del pane”, proprio per ricordare che “per vivere abbiamo bisogno del suo amore gratuito”. “Quante volte invece – nota – affamati di divertimento, affamati di successo e mondanità, alimentiamo la vita con cibi che non sfamano e lasciano il vuoto dentro!”.
Il Signore, per bocca del profeta Isaia, si lamentava che, mentre il bue e l’asino conoscono la loro mangiatoia, noi, suo popolo, non conosciamo Lui, fonte della nostra vita. È vero: insaziabili di avere, ci buttiamo in tante mangiatoie di vanità, scordando la mangiatoia di Betlemme. Quella mangiatoia, povera di tutto e ricca di amore, insegna che il nutrimento della vita è lasciarci amare da Dio e amare gli altri. Gesù ci dà l’esempio: Lui, il Verbo di Dio, è infante; non parla, ma offre la vita. Noi invece parliamo molto, ma siamo spesso analfabeti di bontà.
Dio fa cose grandi attraverso le nostre povertà
Papa Francesco ricorda che il Figlio di Dio nasce in una povera stalla per “farci capire fino a dove ama la nostra condizione umana: fino a toccare con il suo amore concreto la nostra peggiore miseria”.
Il Figlio di Dio è nato scartato per dirci che ogni scartato è figlio di Dio. È venuto al mondo come viene al mondo un bimbo, debole e fragile, perché noi possiamo accogliere con tenerezza le nostre fragilità. E scoprire una cosa importante: come a Betlemme, così anche con noi Dio ama fare grandi cose attraverso le nostre povertà.
“Lasciamo – esorta il Papa – che la sua misericordia trasformi le nostre miserie!”
Il suo amore non cambia ma ci cambia
E se di fronte all’ingratitudine o all’ingiustizia degli uomini, può venire un dubbio che il Signore ci sopravvaluti, la risposta è che”ci sopravvaluta” perché “ci ama da morire”, afferma Francesco:
Non riesce a non amarci. E Lui è fatto così, è tanto diverso da noi. Ci vuole bene sempre, più bene di quanto noi riusciamo ad averne per noi stessi. È il suo segreto per entrare nel nostro cuore. Dio sa che l’unico modo per salvarci, per risanarci dentro, è amarci: non c’è un altro modo. Sa che noi miglioriamo solo accogliendo il suo amore instancabile, che non cambia, ma ci cambia. Solo l’amore di Gesù trasforma la vita, guarisce le ferite più profonde, libera dai circoli viziosi dell’insoddisfazione, della rabbia e della lamentela.
Servendo i poveri ameremo Lui
Chi ha un bambino piccolo sa quanto amore e pazienza ci vogliono. Un’esperienza che insegna a non piangersi addosso ma a consolare chi soffre. Così Dio “prende dimora vicino a noi, povero e bisognoso, per dirci che servendo i poveri ameremo Lui”, afferma il Papa richiamando le parole della poetessa Emily Dickinson: “la residenza di Dio è accanto alla mia. L’arredo è l’amore”. E il Papa conclude la sua omelia rivolgendosi proprio a quel Figlio che è nato per noi, il cui tenero pianto ci fa capire “quanto sono inutili tanti nostri capricci”:
Tu sei il Figlio che mi rende figlio. Tu mi ami come sono, io lo so, e non come mi sogno. Abbracciando Te, Bambino della mangiatoia, riabbraccio la mia vita. Accogliendo Te, Pane di vita, anch’io voglio donare la mia vita. Tu che mi salvi, insegnami a servire. Tu che non mi lasci solo, aiutami a consolare i tuoi fratelli, perché tu sai: da stanotte sono tutti miei fratelli.
Dopo il canto della Kalenda il Papa all’inizio della Messa aveva svelato, baciato e incensato la statua di Gesù Bambino. Torna ancora di fronte a quell’immagine, al termine, per un atto di venerazione mentre risuonano i canti del Natale in una Basilica che quest’anno vede meno presenze di persone per le misure di contrasto alla pandemia ma dove non meno forte risuona l’annuncio dell’amore di Dio in tutta la sua tenerezza.