La santità della gente comune, opera omnia, di Madeleine Delbrêl: un testo edito da Gribaudi con la presentazione di S.E. il Card. Matteo Zuppi, è una meravigliosa dichiarazione di resa dell’umano davanti a Dio, in una passione che è tipicamente femminile per i volti delle singole persone, le loro storie, i loro dolori, le amarezze che nessuno vede, le rabbie pronte a saltarci alla gola.
Madeleine Delbrêl e il suo faccia a faccia con Dio attraverso il mondo
Questo libro, per me, è un regalo: sia per il fatto che mi è stato regalato sia perché è un dono da cui la mia vita trae già beneficio e l’ho appena cominciato. Ecco perché voglio offrirvelo ed è uno dei pochi casi in cui fare un regalo con ciò che si è ricevuto non è riciclo.
La santità della gente comune, opera omnia, di Madeleine Delbrêl, edito da Gribaudi e con la prefazione di Sua Eminenza il Card. Matteo Zuppi è una sciabolata vera nelle carni tremule di noi uomini e donne 2020. Non uno squarcio di luce, per prima cosa, ma un taglio che ferisce, apre e squarcia. Ho lasciato sanguinare. Ieri ero al telefono con un’infermiera specializzata in “cura delle ferite” e ho pensato a come guarda lei le persone, ferite al piede, alla coscia o al torace e a come ci si avvicina.
Non importa, non è questo che vorrei darvi, ma un rapido commento il meno deformante possibile, a uno scritto della Delbrêl risalente al 1948. Si intitola “Chi segue me non cammina nelle tenebre”(cfr Gv 8,12).
E la prima cosa che si deduce è che ci sono fitte tenebre, e che vi siamo totalmente, e se non fosse per Cristo, invincibilmente immersi.
E’ una meditazione perfetta per il Natale che ci aspetta, ché l’Avvento è più di Dio che scalpita per venirci incontro che nostro che ci sforziamo di abbandonare cinismo, paura e frenesia per farGli spazio.
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Le due grandi tenebre
Bisogna aver preso coscienza di queste due grandi masse tenebrose fra le quali si inserisce la nostra vita: tenebra insondabile di Dio e tenebra dell’uomo, per consegnarsi perdutamente al Vangelo, per scoprirlo come la sola pista decifrabile, capace di farci vivere attraverso il duplice nulla del nostro stato di creatura e del nostro stato di peccatore. (Ibidem, p.116)
Madeleine chiede a Dio, che aveva a lungo dichiarato morto e per questo esultava persino per la morte in sè, la sola cosa che Lui freme di darci e che finisce spesso in fondo alle nostre liste di desideri: salvami. Signore, o il tuo Vangelo o i gorghi dell’abisso.
Bisogna essere sprofondati nella morte che invade tutto ciò che costituisce il nostro amore umano: le devastazioni del tempo, della fragilità universale, dei lutti; la decomposizione di tutti i valori, dei gruppi umani, di noi stessi.
Non è così anche per noi, ora? Senza l’innesto con una pianta sempreverde, non vediamo prevalere il disfacimento, l’esaurirsi, lo sfinirsi di tutto soprattutto di ciò che amiamo? Onestamente è così, tutto si disfa, tutto è incoativamente impegnato a morire. Lo provano i tapis roulant, le creme antirughe, le fasce addominali. Senza innesto con qualcosa di verde in modo invincibile il nostro destino è un irreversibile inverno. Si sta a terra come foglie già cadute e il ricordo dell’albero è molesto.
Lei si era ritrovata atea e positivista, ogni cosa credibile doveva essere quella vagliata dai sensi, misurata dalla scienza sperimentale. Da quelle lenti si vede solo arrivare la corruzione e la fine di ogni cosa. Non le basterà a lungo questa visione, non tanto perché insopportabile ma perché incompleta, traballante ipotesi scientifica che amputa quasi tutto l’umano di cui siamo fatti.
La luce del Vangelo, corda tesa sopra un duplice abisso
Bisogna aver palpato, all’estremo opposto, l’impenetrabile della sicurezza di Dio per provare dentro di sé un tale orrore per il buio che la luce evangelica ci diventa più necessaria del pane. Solo allora ci aggrappiamo a essa come a una corda tesa sopra un duplice abisso.
Vivere la vita nella sua spaventosa gratuità, nell’azzardo spregiudicato che ci ha voluti e invece potevamo non esserci; nell’apparente ma assai convincente assurdità dei suoi moti, nella durezza di amori che ci strappano il cuore e finiscono, nel fortuito ripetersi di intuizioni di bene smentite dalla marea montante di dolore che il mondo continuamente prepara, e poi decidere. Decidere che non si è guardato bene, non si è scrutato abbastanza l’orizzonte, dentro di sè e dietro gli occhi dell’altro. I mille altri che si affollano, spintonano, ci urtano, ci assediano coi loro bisogni tanto molesti e voraci. Così arriva la conversione, come un incontro: Dio esiste e ora mi rivolgerò a Lui. Uscire da una tenebra e addentrarsi nell’altra, quella densa nube in cui Dio si nasconde e con la quale ci protegge dai nemici e dalla sua stessa insostenibile potenza.
Voler essere salvati
Bisogna sapersi perduti per voler essere salvati.
Chi non prende in mano l’esile libro del Vangelo con la determinazione di un uomo che non ha altra speranza, non può decifrarne nè riceverne il messaggio.
E il Vangelo, prima di essere un libro, è la storia di Dio che si viene a nascondere nel tessuto della storia, tra le persone, nei giorni che sono i nostri, nella carne di una donna, in quella di un bambino, che è e sarà sempre Quel bambino. Come ogni bambino è un mistero pazzesco e ingestibile ma Quel bambino lo è in modo smisurato e inesauribile; così il libriccino del Vangelo non è solo un misterioso amplesso di materiale e spirituale come lo è ogni libro umano. Solo sapendolo si capisce così si capisce il verso in cui va girato il libro della storia e delle nostre vite: capovolgendolo iniziamo a capire cosa c’è scritto. Quel bambino è il nostro modello, la nostra matrice e quel libro è la Prima copia che cerchiamo di ristampare in noi.
Chi incontra il Vangelo è un felice disperato
Poco importa allora che questo felice disperato, povero di qualunque attesa umana, prenda quel libro dal ripiano di una ricca biblioteca, o nella tesca della sua giacca da lavoro (…) afferrerà il libro, ma egli stesso sarà afferrato dalle parole che sono spirito. Penetreranno in lui come il seme nella terra, come il lievito nella pasta, come l’albero nell’aria, ed egli, se vi consente, semplicemente potrà divenire come un’espressione nuova di quelle parole. (Ibidem, p.117)
Il Vangelo è la notizia di Dio che si è fatto uomo (noi non avremmo potuto farlo, solo Lui può farsi noi) per far cominciare il suo regno nei nostri cuori e da lì, cuore per cuore, nel mondo. Sempre in un continuo movimento da dentro a dentro, quasi. Il fuori eccede, il fuori esonda da dentro ma, come fece Madeleine, è nella città larga, sconfinata e caotica, piena del dolore degli uomini che noi dobbiamo addentrarci e accettare di perderci.
Incontro l’altro perché so che è nel suo cuore il grande alleato dell’Annuncio che Dio è con noi; nel cuore del lontano, dell’ateo, del nemico giurato resiste sotto copertura uno dei nostri. Uscirà allora allo scoperto, non senza qualche rissa, non senza che qualche volta ci scappi un ferito o peggio. Uscirà e dirà: “sono anche io uno di voi, ero in attesa della parola d’ordine. Sono dei vostri, sono per Dio, voglio essere sotto il suo comando, vengo allo scoperto. Ero stanco…”
Il vero spirito del vero Natale, in ogni tempo, anche questo nostro tempo
Incontrare il Vangelo è allora come il primo Natale per i pastori, per i Magi, per la zingara Stefania dei nostri presepi, per chiunque nella storia si sia imbattuto in Cristo vivo. Perché è solo da vivo che lo si può incontrare.
Il Vangelo per consegnare il suo mistero non richiede né uno scenario, né un’erudizione, né una tecnica, chiede un’anima prostrata in adorazione e un cuore spogliato di ogni affidamento all’umano. (Ibidem)
Oh, come sarà bello lasciarmi cadere in ginocchio senza assumere pose troppo da presepe davanti a Cristo che nasce per me, ora! Poiché
(…) ogni dono di Dio si versa solo nelle mani della fede; ogni dono di Dio si riceve solo nelle profondità vertiginose della speranza. (Ibidem)