“Eccomi” è una docu-serie in quattro puntate prodotta dalla televisione della Conferenza Episcopale Italiana: in otto brevi interviste vi si raccolgono altrettante storie di preti italiani. Il prodotto ha degli innegabili pregi tecnici e dei risvolti importanti per la vita ecclesiale.
Domenica 20 dicembre, alle 18:30, andrà in onda su Tv2000 l’ultima delle quattro puntate della docu-serie “ECCOmi”, dedicata ai sacerdoti e al sacerdozio: ci aspettano venticinque intensi minuti di intervista con don Alessandro Gatti, quarantacinquenne torinese prete nella Comunità Nuovi Orizzonti, e con don Giuseppe Gioia, sacerdote perugino di ottantatré anni.
“Nelle puntate precedenti…”
Il format prevede l’accostamento in ogni puntata di due brevi interviste ad altrettanti sacerdoti, che vengono interpellati sostanzialmente sulla propria vocazione – questo “dono e mistero”, secondo la nota espressione di Giovanni Paolo II – e che vengono giustapposti secondo criterî non sempre immediatamente evidenti.
Nella prima puntata, ad esempio, i pannelli del dittico erano stati riempiti con le figure di don Dante Carraro (medico sessantaduenne e direttore di Medici con l’Africa Cuamm) e di don Matteo Prosperini (quarantatreenne bolognese dedito alla maratona delle gambe e del cuore).
Nella seconda abbiamo visto il cinquantanovenne romano don Alfredo De Marsico, sacerdote itinerante Fidei Donum in Messico, di formazione neocatecumenale, e dom Bernardo Gianni, cinquantaduenne fiorentino/pratese convertito “in un sol punto” la notte di Natale del 1992 e divenuto abate benedettino di San Miniato al Monte.
Nella terza ci ha sorpresi l’incontro con don Antonio Celletti, settantenne romano ordinato sacerdote dopo una vita da marito, padre e nonno, oltre che da Generale dell’Aeronautica Militare, e con il frate minore Francesco Pio Russi casertano quarantatreenne attualmente residente all’Eremo delle Carceri di Assisi.
Rispondere a una domanda latente ma irrinunciabile
Insomma, non sempre coetanei ma neppure sempre disparati per classe, attività, sensibilità: i sacerdoti scelti da Gianni Vukaj e Beatrice Bernacchi (entrambi autori del format – lui anche regista) non sembrano incasellarsi in raggruppamenti evidenti. «Non c’è il prete tradizionalista!», si potrà osservare. Vero, ma non c’è neppure “il prete progressista”: Bernacchi e Vukaj sembrano aver deliberatamente scavalcato l’angusto steccato delle polemichette ecclesiali per rispondere piuttosto a una domanda atavica, e lasciata perlopiù latente negli ultimi decenni – «chi è il prete per/nella comunità cristiana?».
Un mio professore di ecclesiologia mi faceva notare che in epoca moderna era stato il Concilio di Trento a produrre una prima monumentale descrizione del prete cattolico latino (e tale provvedimento intendeva puntellare una crisi plurisecolare); tre secoli dopo il Concilio Vaticano I ha esaltato come mai prima di allora l’ufficio petrino e le sue prerogative; neanche un secolo dopo l’assise interrotta dalla breccia di Porta Pia, il Concilio Vaticano II cercava di riequilibrare l’assetto ecclesiologico perfezionando la definizione del ministero episcopale e del carisma laicale… Uno degli effetti collaterali di questa serie di aggiustamenti è stato che la grande “categoria” della gerarchia cattolica lasciata più sguarnita di fronte ai marosi della contestazione sessantottina e dell’erosione della “società liquida” è stata proprio quella dei preti. La grande (e giusta) enfasi sul sacerdozio comune – un controsterzo necessario ai precedenti aggiustamenti di traiettoria – ha lasciato in sordina la questione del ruolo dei preti, e questo vuoto di elaborazione teologica, protratto per decenni, è stato una delle concause della dolorosa emorragia di sacerdoti che ha caratterizzato soprattutto (ma non solo) il lungo pontificato montiniano. Come ha ben scritto il compianto Jean Mercier in un saggio che sta (finalmente) per vedere la luce anche in italiano:
Anche se una sana ecclesiologia quale quella che emerge dal Vaticano II ci ricorda che la Chiesa corpo di Cristo riposa sulla forza sacerdotale dei battezzati, la Chiesa cattolica è pure un edificio gerarchico di cui pietra angolare è il sacerdozio ministeriale. È anche in ciò che essa è mediatrice di Cristo. Secondo la logica sacramentale, cattolica e ortodossa, il prete è al centro del dispositivo di mediazione della salvezza, in particolare attraverso l’eucaristia e la confessione, cosa che non accade nel caso del pastore tra i protestanti.
Jean Mercier, Il celibato dei preti. La disciplina della Chiesa deve cambiare?, San Paolo (in uscita entro febbraio 2021), 343
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Se fino a un secolo fa si era forse ecceduto nel sacralizzare la figura del prete, l’ultimo postconcilio ha forse sofferto di un’implicita e neppure sempre tematizzata contestazione del ruolo ecclesiale del prete – contestazione che però sembra oggi più figlia del contesto di critica corrosiva verso ogni autorità che di un’autonoma e libera riflessione ecclesiologica –, ma alla lunga questo ha fatto soffrire le comunità non meno dei preti. Questi e quelle, nondimeno, ci hanno sorpresi sviluppando degli anticorpi. Lo ha annotato ancora Mercier:
I giovani preti e le giovani generazioni di cattolici non vogliono una evoluzione “piccolo-borghese” del sacerdozio. I giovani parroci non hanno voglia di assomigliare a laici che non sempre possono dare alla preghiera il posto che le tocca. La rivendicazione del “matrimonio dei preti” è rifiutata dai giovani cattolici che entrano in seminario, mentre nel 1968 appassionava i seminaristi… […] |
Parallelamente, il fulcro del celibato sacerdotale s’è spostato: è stata abbandonata l’esaltazione della purezza verginale, ancora molto forte nel dopoguerra. I giovani preti non sono gelosi delle prerogative coniugali dei laici: non abbracciano il celibato per diffidenza verso il sesso, che sarebbe “sporco” o che li avrebbe allontanati da Dio. In molti sottolineano che non si può dare una vera rinuncia se non di un oggetto buono e bello in sé, per definizione. La loro continenza non è una questione di ascesi o di privazione, ma la scelta di un’altra felicità. Essi ricordano che Gesù non ha mai descritto la propria rinuncia all’uso della sessualità come una svalutazione dell’atto coniugale, ma l’ha spiegata come un segno “per il Regno dei cieli”.
Ivi, 358-359 passim.
Tutto questo traspare vividamente dalle coppie di interviste proposte in Eccomi, che anzi hanno il forte pregio di accostare preti giovanissimi a sacerdoti che invece hanno attraversato le vicissitudini del post-concilio (e non solo quelle, nel caso di don Giuseppe Gioia – classe 1937!). Lo specialissimo caso di don Antonio Celletti, poi, ci spinge a porre la riflessione sui viri probati in un modo radicalmente diverso rispetto a quello – impregnato di ideologia – che anima le rivendicazioni di certe “left wings”: la sua ordinazione, avvenuta senza clamori e senza remore all’interno di una nutrita concertazione ecclesiale, è perfettamente in linea con il “paradosso ecclesiologico” della disciplina particolare promossa da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, i quali
[…] hanno notoriamente riaffermato l’intangibilità della regola del celibato sacerdotale per la Chiesa latina. Allo stesso tempo, però, hanno moltiplicato le eccezioni alla disciplina ufficiale. Oscillano fra i trecento e i quattrocento gli uomini sposati (mancano statistiche esatte e ufficiali) che hanno ricevuto l’ordinazione sacerdotale per la Chiesa latina con la piena approvazione di Roma.
Ivi, 215
Don Celletti non proviene neppure dalle comunità ecclesiali a vario titolo scaturite dalla Riforma del XVI secolo, e se facilmente si osserverà che in quanto “vedovo” gli ostacoli giuridici alla sua ordinazione non sono stati particolarmente impegnativi… ascoltando la sua intervista non si può non restare colpiti dallo spazio che la moglie occupa in tutta la sua vita e nel ministero («Lei è sempre con noi, anche adesso qui», dice il prete, la cui fede matrimoniale scintilla ancora all’anulare). Un uomo lungamente purificato nel crogiolo dell’amore e del dolore: «Questo sì – esclamiamo come Mercier riguardo a Larry Blake (cf. ivi, n. 1 p. 256) – che è un vir probatus!».
Intervista doppia (anzi congiunta) sulle “vocazioni parallele”
Considerando queste cose (e molte altre ce ne sarebbero ancora), il lavoro prodotto da Tv2000 con Eccomi appare non solo opportuno, ma provvidenziale per la salute delle comunità cattoliche (e della Chiesa tutta). Sull’inedita impostazione del format, che riecheggia le Vite parallele di Plutarco proprio nell’obiettivo di enfatizzare al contempo i tratti comuni ai personaggi coinvolti e quelli peculiari dei singoli, abbiamo avuto il piacere di incontrare Beatrice Bernacchi e Gianni Vukaj e di porre loro qualche domanda.
Aleteia: Perché avete disposto due storie a puntata? Come avete assortito gli abbinamenti?
Beatrice Bernacchi & Gianni Vukaj: Abbiamo scelto due storie a puntata proprio per avere la possibilità di fare gli abbinamenti: uniti nella vocazione al sacerdozio e a quell’eccomi ma totalmente diversi come provenienza, cultura, stato sociale della famiglia di provenienza, età. L’altro motivo è il linguaggio, semplice come struttura ma veloce, tanti particolari, dettagli, l’uso della tecnica super slow motion per marcare la bellezza che c’è in quell’eccomi… come una vera storia d’amore tra i nostri protagonisti e la loro vocazione.
A: A che prete pensavate, quale sacerdote cercavate (magari del vostro vissuto?), quando avete concepito la serie?
B. B. & G. V.: Non avevamo un’idea precisa di sacerdote, abbiamo riflettuto che se essere sacerdote è una risposta a una chiamata, ci sono molti modi per chiamare. Attraversare quelle differenti chiamate è stato come entrare in una zona delicata, quella della conoscenza di Dio. Per cui Dio a che cosa chiama? Vita conventuale, monastica, missionaria, diocesana… e questo è quello che ci hanno raccontato i nostri sacerdoti.
A: Mentre il lavoro si compiva, e da quando facevate la post-produzione, veniva fuori qualcosa di nuovo, di inatteso per voi?
B. B. & G. V.: Riascoltando queste testimonianze esce sempre qualcosa di nuovo, sicuramente su tutte la felicità, questi uomini sono felici, perché hanno veduto e creduto.
A: E se, ora che sta per andare in onda l’ultima puntata, poteste aggiustare il tiro del vostro lavoro, fareste qualcosa? Se sì, che cosa? Se no, aggiungereste un’altra puntata? Se sì, con chi?
B. B. & G. V.: Aggiustare qualcosa… è sempre una tentazione… Ma in questo caso la parola è stata lasciata ai nostri sacerdoti che hanno fatto una vera e propria professione di fede. E non si tocca. È come dire, un valore prezioso e fragile, da maneggiare con cura. Speriamo, questo sì, di averlo fatto con la dovuta attenzione. Se potessimo aggiungere una puntata con chi? Con il Sommo Pontefice allora, il Santo Padre!