Prima su un barcone, poi in quarantena in un hotspot: il viaggio della speranza di un padre che non si è arreso per curare il figlio di 7 anni. Dire viaggio della speranza è ormai niente più che un’etichetta per indicare le rotte dei migranti, la speranza non c’entra neppure più.
C’entra molto invece con il viaggio che un padre tunisino di nome Marouan ha fatto insieme a suo figlio di 7 anni, dalle coste della Tunisia fino a Roma. Ci ha messo un mese intero, ma oggi la speranza testarda che lo ha motivato ad affrontare insidie e fatiche non è solo una bella parola.
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Per mare e per terra
Il figlio di Marouan è affetto da tetraparesi spastica a causa di una meningite, il bimbo non riesce neanche a reggersi in piedi. È per lui che il padre ha deciso di attraversare il mare su un barcone, per dargli l’opportunità di essere curato in un ospedale in grado di lenire i dolori della sua patologia e offrirgli strumenti di supporto.
«Il padre ha accudito il figlio in ogni momento – aggiunge Ammatuna [sindaco di Pozzallo – Ndr] – La sua patologia purtroppo non consente altro che forme parziali di riabilitazione». (da La Sicilia)
Quando si sono imbarcati dalla città di Sfax, lo scorso 5 novembre, Marouan non pensava all’Italia come al paese in cui magicamente suo figlio sarebbe guarito, nessuna illusione. La premura era un accudimento più degno di quello a disposizione in Tunisia.
Affrontare il mare su un barcone con un figlio segnato da una patologia che compromette gli arti è un pericolo serio, aver preso questa decisione avrà significato anche fare i conti con l’ipotesi, non poi così remota, di un naufragio. Troppo azzardato mettere a rischio la vita di un bambino fragile nell’ottica neppure sicura di trovare un posto dove curarlo meglio?
Racconta il padre di non avere avuto scelta. Sostiene che quel figlio flagellato dalla meningite meritava altre cure, lontano dal suo quartiere in Tunisia. Ripete di non avere avuto né soldi né buoni agganci per ottenere un permesso e volare in Francia o in Italia, e qui implorare i medici più bravi di prestare le cure migliori al suo bambino. Perciò ha messo nelle tasche degli scafisti un pugno di dinari ed è salito su un barcone. Avrà pensato che rischiare di morire annegati è sempre meglio che sopravvivere senza neanche aver provato a dare al bambino una migliore speranza di vita. (da Avvenire)
In quarantena nell’hotspot
La traversata li ha fatti approdare a Lampedusa, da dove padre e figlio sono stati trasferiti nell’hospot di Pozzallo in cui sono rimasti fino al 25 novembre. Tra i compagni di viaggio c’erano alcune persone che sono risultate positive al Covid, per cui anche Marouan e suo figlio hanno fatto la quarantena. Dal tampone è poi risultato che entrambi erano negativi.
Quando la notizia della loro presenza si è diffusa, in molti hanno cominciato a mobilitarsi per loro. Sapere che un bambino piccolo e con una patologia seria era ospite di un hotspot per adulti, e senza assistenza sanitaria adeguata, ha suscitato perplessità e preoccupazioni. Proprio il sindaco di Pozzallo, da medico, è stato tra i primi a muoversi per trasferire i due tunisini in un ospedale all’altezza.
Per lui si è speso anche il sindaco di Pozzallo Roberto Ammatuna, medico che ieri, saputo che comunque per il bimbo era stata trovata infine una soluzione aveva lanciato un monito e un auspicio: «Le autorità sanitarie – aveva detto Ammatuna – che non finirò mai di ringraziare per il grande lavoro che svolgono in questo difficile momento, la prossima volta devono affrontare situazioni simili in modo diverso: soggetti così fragili, devono essere trasferiti subito in strutture adeguate». (da La Sicilia)
La soluzione trovata è stata l’offerta dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma di ospitare per le cure il figlio di Marouan. L’ultima tappa di questo vero viaggio della speranza è stato il volo dalla Sicilia al Lazio e l’arrivo alla struttura del Bambino Gesù di Palidoro (vicino a Roma). Questo è avvenuto il 7 dicembre, a un mese dalla partenza dalle coste tunisine.
Uno accanto all’altro
Anche la Sottosegretaria di Stato alla Salute Sandra Zampa ha voluto esprimere la sua gratitudine nei confronti dell’ospedale romano:
La mia personale gratitudine nei confronti dell’Ospedale Bambino Gesù, e in particolare di Mariella Enoc, è grandissima. Sono anche grata al Prefetto Michele di Bari, Capo Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione, con il quale ho lavorato in piena sintonia per il trasferimento del bambino, che ha potuto avere luogo immediatamente dopo l’esito negativo del tampone. Ringrazio inoltre quanti hanno provveduto a segnalare e a seguire il caso. Sono certa che ora questo bimbo troverà cure eccellenti e una nuova opportunità di vita. (da Ministero della Salute)
Sapere che padre e figlio sono affidati a medici in grado di farsi carico delle cure di questo piccolo di 7 anni riempie il cuore di gioia. Però manca qualcosa, un dettaglio taciuto. Dov’è la madre? Non ci sono informazioni su di lei nei quotidiani che hanno documentato i fatti. La cosa mi ha lasciato un vuoto, un senso di qualcosa di sospeso.
Ma potrebbe anche essere un segno positivo, il segno di una storia trattata finalmente con pudore. È pessimo quando le persone diventano casi umani in cui ogni elemento del loro vissuto è da ghermire e poi dare in pasto al pubblico. In questo senso, il pudore di non mettere il nome del bambino, il cognome della famiglia, l’identità della madre è sacrosanto.
Nell’anno del padre
L’ipotesi più semplice che ho formulato nella mia testa è che la madre sia rimasta in Tunisia, che abbiano deciso che era più adatto al compito della traversata il padre. Durante il viaggio il bambino sarà sempre rimasto in braccio a lui, non potendo muoversi autonomamente, in caso di emergenza in mare o sulla terra la robustezza di un uomo avrebbe potuto essere decisiva. Sono solo ipotesi, le mie.
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Era certamente un compito paterno, simile e opposto a quello di Enea che si caricò il padre Anchise sulle spalle per salvarlo. Padri che portano in salvo i figli, e figli che non possono fare a meno dei padri. Questo è un altro piccolo-grande fatto di cronaca che ci porta a contemplare la presenza che è un padre, proprio mentre cominciamo a camminare in un anno dedicato a San Giuseppe.
A San Giuseppe sento di affidare tutta questa famiglia tunisina, ringranziando che la loro tribolazione mi abbia portato alla storia di Gesù con un pensiero nuovo su cui riflettere. Nel tempo di Natale anche Giuseppe è un uomo in cammino, in silenzio, senza battute da primo attore. È attivo solo perché completamente dedito alla cura e alla protezione di una madre sul punto di partorire.
Anche il loro fu un viaggio pieno di incognite. E poi sarebbe venuta la fuga in Egitto. Viaggiare e accudire. Lo fece Giuseppe, lo ha fatto Marouan. La loro parte migliore è accanto al bambino, solerti e in allerta.