“Ora posso dire che è colpevole fino al terzo grado” ha commentato Gessica Notaro, il cui volto parla ancora di cicatrici ma di una bellezza nuova più forte dell’apparenzaUn verdetto definitivo: è stata confermata dalla Cassazione la condanna a 15 anni, cinque mesi e 20 giorni di reclusione per Edson Tavares, l’ex compagno di Gessica Notaro, accusato di averla perseguitata e sfregiata con l’acido. Questa sentenza conferma il verdetto emesso dalla Corte di Appello di Bologna il 15 novembre del 2018.
La Notaro ha commentato con poche parole questo momento decisivo per la sua storia personale:
È una storia finita, ora forse posso rilassarmi […] Sono molto contenta, ho fatto bene a riporre la mia fiducia nella magistratura che non mi ha tradita. (da Ansa)
Sfigurata, non schiacciata
«Dio prenditi la mia bellezza, ma non la vista» è il 10 gennaio del 2017 quando Gessica Notaro pronuncia questa preghiera istintiva e disperata. Il suo ex-fidanzato Edson Tavares le ha appena rovesciato addosso una bottiglietta di acido. Nonostante ciò, lei resta presente a se stessa; non si guarda allo specchio per non crollare psicologicamente e corre al Pronto Soccorso.
È il 10 gennaio e non è una data casuale, il suo aggressore ha scelto di colpire con perfidia chirurgica nel giorno in cui ricorre l’anniversario della morte del fratello di Gessica, suicidatosi all’indomani della morte del padre per tumore.
C’è tutto questo nel curriculum umano della ventottenne riminese che fino al giorno maledetto dell’aggressione era nota come finalista di Miss Italia; bella, sorridente e fortunata – si pensa di solito.
A Miss Italia c’è tornata, col volto sfigurato ma non meno sorridente: ha raccontato la sua storia e testimoniato qualcosa che non basta classificare sotto l’etichetta «violenza di genere». Perché quando una persona mostra la sua vulnerabilità, e mostra la forza nata dalla vulnerabilità, non sta difendendo una bandiera o una categoria; è voce autorevole per chiunque s’imbatta nella contraddizione, quella brutale che precipita addosso in un giorno qualunque della vita.
Lei è stata colpita al volto, un gesto tremendamente simbolico. Non si è trattato solo di cancellare la bellezza, ma la persona nella sua unicità irripetibile. Riconosciamo le persone a noi care dall’odore, anche da un sussurro, ma ognuno di loro è essenzialmente un volto. La storia di Gessica è esemplare anche da questo punto di vista: amare la nostra unicità, imperfetta e non omologabile.
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Gessica Notaro, un volto da ritrovare
Avevo un amico il cui mestiere era quello di elaborare insieme ai pazienti un’immagine di sé al computer, dopo incidenti che li avevano sfigurati. Ore e ore trascorse su dettagli degli occhi, del mento, del naso; a cercare la sfumatura più simile a ciò che era e non è più. Ho sempre immaginato quasi con tremore che sfida potesse essere un lavoro del genere. La chirurgia estetica ha questo lato operoso e indispensabile, nascosto al grande pubblico che pensa a labbroni, zigomi e botox. Le vip rifatte sono tutte uguali, che peccato davvero: questa bulimia di turgidezza e levigatezza è un acido non meno sfigurante. Con protesi e sieri si scioglie un’identità così amabile perché fatta di storture e rughe.
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Il viaggio di Gessica è in corso, un percorso per rimanere se stessa pur con tutte le cicatrici del caso (esterne e intime). Il grande pubblico ha ammirato la sua bravura a Ballando con le stelle, dove ha confessato a Stefano Oradei, suo maestro di danza:
Spero che l’innominabile mi stia guardando dal carcere. Gli arrivi il messaggio: il bene vince sempre sul male. (da Huffington Post).
Eddy Tavares è l’aggressore innominabile che la Notaro non vuole perdonare, ma ammette di non odiare.
Gessica Notaro, una vista da recuperare
Fare i conti con la violenza altrui e con il proprio dolore è un ginepraio, una burrasca dell’anima. Il perdono è donarsi fino in fondo, dunque se preso seriamente è un atto di forza pressoché sovrumano, eppure possibile. Non odiare è già una gran cosa, tutt’altro che scontata. La scorciatoia per arrivare a un traguardo pacificante non c’è; si sta dentro la selva fino in fondo, a fare i conti con tutte le obiezioni, le amarezze, la rabbia e – perché no – le ispirazioni della buona volontà.
All’orizzonte s’intravede anche il chiarore che il temporale porta ai coraggiosi che l’attraversano in pienezza di terrore e speranza. L’istintiva preghiera di Gessica nel momento dell’aggressione porta già l’indicazione più importante: Dio, toglimi la bellezza ma non la vista.
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Sfrondati di ogni accessorio, possiamo vivere. Ma la vista, no. Abbiamo bisogno di discernere, di snebbiare gli occhi e di poterli usare per cercare insistentemente il nostro volto più autentico dentro le circostanze mutevoli, contraddittorie, fortificanti che il destino ha in serbo per noi.