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«La musica di Beethoven, cammino misterioso che collega il visibile all’Invisibile» 

Elizabeth Sombart

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Marzena Wilkanowicz-Devoud - pubblicato il 15/12/20
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Grande pianista, in occasione del 250º anniversario dalla nascita di Beethoven (15 dicembre 1770) Elizabeth Sombart ha pubblicato un’edizione integrale dei suoi Concerti per pianoforte. Abbiamo incontrato l’artista, che vive la musica come un atto di fede. 

Elizabeth Sombart, pianista di fama internazionale per la quale la musica è luogo di trascendenza e “porta del paradiso”, pubblica un’edizione integrale dei Concerti per piano di Beethoven, accompagnata dalla Royal Philarmonic Orchestra diretta da Pierre Vallet. Con l’occasione, l’artista riflette con Aleteia sulla musica di Beethoven, «portatrice di una verità che rende liberi», ma anche sulla sua Fondazione Résonnance, la cui missione è di offrire musica nei luoghi in cui non se ne fa – gli ospedali, le case di riposo, le prigioni… Un incontro raro con la grazia e la bellezza, dove la musica è vissuta come atto di fede, come un ponte tra il visibile e l’invisibile.



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Aleteia: Perché ha registrato l’integrale dei Concerti per piano di Beethoven? 

Elizabeth Sombart: Era diventata quasi questione di vita o di morte, per me, proporre il cammino dal primo al quinto Concerto, perché è un cammino spirituale molto profondo. Il primo Concerto contiene contiene movimenti lenti che esprimono profondità tipiche di Beethoven. Ci fa entrare subito nel suo mondo interiore, donde la sua musica è sgorgata: uno spazio di generosità, di gratuità, di reale compassione. È quel che si sente quando a propria volta si entra in questo spazio, che sta al di sopra di ogni dualità. Si entra in un’unità luminosa, quella che conduce fino al quinto Concerto, che parla dell’esperienza della morte in uno dei più lunghi pianissimo di Beethoven. 

Quando lo si suona e si arriva in fondo a quel diminuendo non c’è più niente, si è come morti. Resta solo il corpo, solo un sottofondo che resta lì, così… Non so dove si trovi la forza interiore per uscire da questo silenzio, per andare verso la luce dischiusa da una nota del coro in lontananza… Poco a poco, nelle ultime misure di questo lento movimento, s risale verso la luce per giungere alla risurrezione, alla gioia straordinaria, allo sgorgare, a una sorgente quasi miracolosa. 

A.: li ha registrati proprio prima dell’inizio del primo lockdown

E. S.: L’ho visto come un segno. Certo, tutti i concerti sono stati annullati, ma ho potuto lasciare una traccia del cammino che mostra che bisogna ascoltare questa musica, portatrice di una verità che libera. Non per nulla, del resto, i nazisti avevano proibito agli ebrei di suonare Beethoven. Certo, avevano proibito loro di suonare qualunque autore “ariano”, ma soprattutto Beethoven: proprio per questo sono voluta andare a suonare Beethoven nel campo di Auschwitz. 

A.: L’ha suonato alla Judenramp, il luogo in cui gli ebrei venivano ricevuti e si decideva subito chi era adatto al lavoro nel campo e chi sarebbe andato direttamente a morte nelle camere a gas…

E. S.: Anche quando ci proibiscono qualcosa, c’è sempre un modo di porre degli atti, e la nostra resistenza può implicare il martirio. In quel campo ci sono stati 280 bambini che, grazie a un maestro di coro ceco, hanno cantato l’Inno alla gioia nelle latrine. Questo è l’anno della commemorazione del 250º anniversario, e malgrado la quarantena c’è comunque stato modo di celebrarlo – lui che è stato scelto per essere cantato come inno dell’Europa! Dal suo cielo, Beethoven ha visto una Germania che non era la sua, che proibiva ai musicisti di suonare, e questo deve avergli dato un profondo dolore: per questo ho sentito il bisogno di suonarlo ad Auschwitz, per lui e per tutte le persone che sono morte fra tanta cieca violenza. 

Credo profondamente che la sua musica sia un cammino misterioso capace di rannodare il visibile all’Invisibile, infondere la consolazione eterna e il coraggio, perché di tutto questo c’è in abbondanza, nella musica di uno che ha dovuto trascendere l’organo essenziale per un compositore, l’udito. Con incredibili forza e determinazione, egli andò ad attingere altrove, nella sua interiorità. 

A.: Il visibile tocca l’Invisibile… è questa la missione della musica?

E. S.: La musica non è un fine in sé ma, come dice Haydn, essa è la porta del paradiso. Quando si apre la porta del paradiso, la prima cosa che si avverte è della musica – e già questo non è male! Non bisogna idolatrare la musica, ma ad ogni buon conto essa porta in sé una risposta all’incrinatura della simmetria che è la caduta in cui noi viviamo, in cui l’essere umano sta nell’infelice dualità di cui parlava san Paolo: «Non faccio il bene che vorrei, ma il male che non vorrei» (Rom 7,19). La musica classica, proprio perché basata sui due modi – maggiore e minore – permette all’uomo di ritrovare il paradiso perduto, l’unità primordiale che tanto gli manca. 

A.: C’è un nesso tra la sua ispirazione artistica e la sua fede? 

E. S.: La fede non si sceglie; il talento e la vocazione nemmeno. Sono cose che s’impossessano di noi a un certo punto, è tutto nell’ordine dell’esperienza. La musica è un cammino verso l’esperienza di un tempo differente da quello puramente cronometrico/cronologico. Il tempo musicale è un tempo in cui la fine è contenuta nel principio, in cui il presente offre adito alla presenza. In un dato momento, la questione non è forse di sapere se in me ci sia qualcosa più grande di me stesso, o di sapere se l’uomo supera l’uomo, se ci sia dell’altro oltre a quello che si vede? 

Quando suono Beethoven, non ci sono più i morti da una parte e i vivi dall’altra: c’è una relazione, una comunicazione al di là di quello che conosciamo nella dimensione fisica in cui viviamo. Poco importa il modo in cui si accede a questa presenza interiore: quel che è certo è che se la si tocca, suonando, sperimentando tutto ciò, allora si sa Dio – è nell’ordine dell’esperienza. Quelli che mi dicono che Dio non esiste, che non esiste l’anima… prego molto per loro, e al contempo mi rallegro al pensiero della bella sorpresa che avranno un giorno.

A.: Venti anni fa lei ha creato la Fondazione Résonnance, la cui missione è proprio quella di portare la musica nei posti in cui non la si suona: gli ospedali, le case di riposo, le prigioni… Che cosa la colpisce di più quando va a suonare in questi luoghi inusitati?

E. S.: Non c’è verità senza condivisione. La prima cosa è che la menzogna istituzionalizzata vuole far credere che la musica sia cosa da gente ricca – e questo è falso. Io credo che tutta la mia vita si sia spesa nel fare di tutto perché la musica giungesse al maggior numero di persone possibile. Ho spesso pianto di gioia, dagli occhi o dalle dita, quando ho constatato che la musica appartiene a tutti, perché parla da cuore a cuore, da anima ad anima. Certo, devo sapere tante cose per suonare, ma chi mi ascolta no: la sola cosa che sentirà è se io sono veramente sincera, che suono non per sedurre ma per un’autentica condivisione. 

Ludwig van Beethoven : intégrale des Concertos pour piano. Elizabeth Sombart, piano ; Royal Philharmonic Orchestra, Pierre Vallet. 1 coffret Signum Records.

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[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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