Fu costretta a sposarsi a 14 anni e oggi una dei suoi 4 figli rischia lo stesso destino. Noor è fuggita e ha impiegato 8 mesi per arrivare in Inghilterra, in fuga dallo Yemen straziato da guerra e pandemia.l viaggio coraggioso di noor madre yemenita in fuga per salvare i figli
Per una giovane donna yemenita il 2020 non è stato (solo) l’anno della pandemia, ma l’anno di una fuga durata 8 mesi per salvare la propria vita e quella dei suoi 4 figli. Ha appena 29 anni e si fa chiamare Noor (nome fittizio per proteggere se stessa e la sua famiglia) per raccontare la propria storia al Guardian.
Deserto, mare e poi l’Inghilterra
Il viaggio di Noor è cominciato nel novembre del 2019 ed è arrivata sulle coste dell’Inghilterra nel luglio 2020. Ha viaggiato sola attraversando 8 confini, due deserti e il mare per poter raggiungere il Regno Unito e chiedere asilo. Unici e pericolosi compagni di viaggio i trafficanti a cui di volta in volta ha dovuto affidare la sua vita. Perché correre un tale rischio?
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Noor fu costretta a sposarsi all’età di 14 anni, ma poi è riuscita a ottenere il divorzio dal marito ed è diventata una paladina dei diritti umani, impegnandosi per il diritto all’educazione delle ragazze e nella battaglia contro i matrimoni forzati di bambine.
La sua figlia maggiore è a rischio di diventare una sposa bambina, lei si è perciò resa conto che doveva fare in fretta per mettere in salvo la figlia e anche i tre figli più piccoli. (da The Guardian)
Yemen suona alle nostre orecchie come il nome di un paese lontano dalle nostre urgenze. E’ una terra dilaniata da una guerra che va avanti dal 2015 e non sembra vedere la fine. Inquadrare, anche sommariamente, la situazione fa sbarrare gli occhi e tremare.
Via dallo Yemen
È il paese più povero della penisola araba ed è propstrato da una guerra civile che dura da 5 anni. Bastino i numeri a catapultarci nell’inferno di questo popolo: 100 mila vittime (secondo il rapporto di Human Rights Watch il 25% sono donne e bambini); 24 milioni di persone carenti di assistenza sanitaria, 3 milioni di sfollati, 2 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni sono malnutriti.
Al panorama già tragico va aggiunto il dramma della pandemia, anche se è difficile reperire dati chiari su morti e contagi. L’Oms parla di 2000 contagi e 600 morti, ma si tratta solo di un quadro approssimativo. Essendo l’acqua un bene scarsissimo e spesso essa stessa portatrice di altri virus è impossibile che siano garantite le norme di base per l’igiene personale, in un paese in cui si muore ancora di malaria e colera.
La fuga di Noor è stato un salto nel buio, con ben poche garanzie di uscirne viva. L’alternativa era peggiore, rimanere in balia di violenze e morte: si può intuire che una madre sia disposta a correre ogni rischio, se intravede anche solo un barlume piccolissimo di luce per i propri figli.
Contanti e acido delle batterie
Le valigie sono sempre un problema per chi parte, quando si tratta di un viaggio di svago. Immaginiamo che possa servirci anche quello che a casa non usiamo mai, e ci ritroviamo a portarci dietro un sacco di roba inutile. Noor è scappata e nella sua borsa c’era assai poco: contanti e acido delle batterie.
Il viaggio di Noor è cominciato il 14 novemebre 2019 in aereo ed è continuato a bordo di una Jeep nel deserto, e poi a piedi prima di raggiungere l’Europa. Ha attraversato lo stretto di Calais a bordo di una piccola barca nel luglio del 2020. Per arrivare fin lì aveva attraversato Egitto, Mauritania, Algeria, Marocco, Spagna, Francia.
Non è riuscita a prendere con sé molte cose prima di lasciare i suoi figli, affidandoli ad altri membri della famiglia. Ma ha messo in valigia due cose – contanti e acido delle batterie.
«Ho venduto tutti i miei gioielli e preso in prestito tutti i soldi che ho potuto, da amici e familiari, per poter pagare i trafficanti che mi hanno aiutato a spostarmi da un paese all’altro» racconta.
«Insieme ai soldi ho estratto l’acido dalle batterie dell’auto e l’ho nascosto in un contenitore vuoto di crema per il viso. Se qualche uomo mi avesse aggredita durante il viaggio mi sarei difesa gettandoglielo addosso».
Fortunatamente, non c’è stato bisogno di usarlo. (Ibid)
Attacco e difesa, ecco il bagaglio essenziale di chi parte sul serio, lascia tutto e va verso un destino ignoto. I soldi per raggiunere la meta, l’acido per proteggersi dai pericoli. Né gli uni né l’altro avranno lenito la paura che immaginiamo compagna di questa giovane donna. Non solo paura comunque, l’avrà sostenuta una forza che non ha a che fare coi muscoli. Fa pensare che la durata del viaggio di Noor sia quasi equivalente a una gravidanza, un lungo travaglio attraversato per il bene dei suoi figli.
Il paradosso della situazione femminile
«Mio padre mi costrinse al matrimonio e mio zio falsificò i documenti per dimostrare che avevo 18 anni. Dopo un anno diedi alla luce la mia prima figlia, che oggi ha quasi l’età in cui io fui costretta a sposarmi. Spero di riuscire a portare fuori dallo Yemen tutti i miei figli prima che possa succedere anche a lei la stessa cosa». (Ibid)
Da quando lo Yemen è in guerra i casi di matrimoni forzati di ragazze molto giovani sono aumentati, ed è una mera faccenda economica: la famiglia della sposa bambina ottiene una cifra che va dai mille dollari in su. Significa riuscire a garantirsi la sopravvivenza per un anno almeno.
Guerra e carestia hanno la capacità di deformare l’umano fino al punto di ammettere la barbarie. Cedere all’incubo del sopruso e del terrore stravolge lo sguardo e i propri simili, addirittura i figli, diventano oggetti. Li si riduce a merce di scambio. E non c’è distinzione di genere, se le femmine devono subire i matrimoni forzati, i bambini maschi diventano prestissimo soldati o usati come forza lavoro.
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Ma la storia di Noor svela anche un paradosso che contiene un seme positivo. Già prima di intraprendere il suo viaggio della speranza, la donna militava nell’ambito dei diritti umani. Proprio la guerra ha insospettabilmente offerto alle donne opportunità di riscatto, dal momento che gli uomini adulti sono impegnati in ambito militare. Ne ha parlato la giornalista Laura Silvia Battaglia che conosce a fondo la realtà dello Yemen (ha girato dieci documentari di cui l’ultimo si intitola Yemen nonostante la guerra):
La guerra e la morte o l’impegno degli uomini in battaglia dà loro [alle donne – Ndr] la possibilità di lavorare di più, e anche in ruoli di maggiore responsabilità. Allo stesso tempo, in un Paese infestato dalle milizie religiose, le donne sono dei fantasmi nella società e tutte le donne attiviste, politiche, artiste, musiciste, o che non rispondono al cliché tradizionale di moglie/madre di potenziali difensori della patria e che si pongono come attori di cambiamento sociale in settori più critici, sono particolarmente avversate e rischiano di diventare target sia dei predicatori che delle milizie stesse. (da Voci globali)