Una ricerca condotta in Italia mostra cosa è stato trovato dentro la placenta donata da alcune neomamme: particelle microplastiche provenienti da cosmetici, profumatori d’ambiente, inchiostro per stampantiUna ricerca, condotta dagli esperti dell’Università Politecnica delle Marche guidati dal Prof. Antonio Ragusa e in collaborazione con l’Ospedale Fatebenefratelli di Roma, ha trovato particelle microplastiche nella placenta di alcune donne che l’hanno volontariamente donata dopo il parto. Cosa significa? Occorrerà approfondire il senso di questi dati, intanto si fanno ipotesi sui rischi per i nascituri.
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Plasticenta
Lo studio pubblicato dall’equipe guidata dal prof. Ragusa ha un titolo suggestivo: Plasticenta e si apre citando l’enciclica Laudato Si’:
evitare l’uso di plastica e carta, ridurre il consumo d’acqua, differenziare i rifuti.
Il Papa non si è semplicemente allineato all’ondata green del mondo suggerendoci una buona condotta ecologica, ma ha ricordato l’orizzonte originale in cui si innesta la presenza dell’uomo come creatura:
Noi non siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data. […] È importante leggere i testi biblici nel loro contesto, con una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a « coltivare e custodire » il giardino del mondo (cfr Gen 2,15). Mentre « coltivare » significa arare o lavorare un terreno, « custodire » vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura.
Plasticenta, dunque, è un terribile neologismo che sintetizza cos’è l’inquinamento ambientale: un danno che noi procuriamo allo spazio esterno e si ritorce contro di noi, letteralmente si infila fino all’origine della vita. La plastica dispersa nell’ambiente si frammenta in porzioni microscopiche che l’uomo finisce per ingerire o respirare, sono queste le microplastiche. Era già nota la presenza di queste particelle negli intestini dei mammiferi, la novità allarmante è quella di averne trovato tracce nella placenta.
Lo studio
Sei donne hanno aderito alla proposta di partecipare alla ricerca in corso all’Università Politecnica delle Marche. Sono state scelte secondo parametri che inquadrassero le loro gravidanze come «normali» (dieta variabile, nessuna assunzione di medicine, nessuna droga o alcol, nessuna patologia gastrointestinale).
Hanno tutte avuto un parto naturale all’ospedale Fatebenefratelli di Roma e la loro placenta è stata analizzata. Il risultato:
In totale sono state trovate 12 particelle microplastiche in 4 placente su 6. Cinque particelle sono state trovate nella parte di placenta attaccata al feto e che è parte integrante del feto, quattro nella parte attaccata all’utero materno e tre dentro le membrane che avvolgono il feto.
Si tratta di piccolissimi frammenti del diametro inferiore ai 5 millimetri, dimensioni compatibili con il trasposto nel flusso sanguigno. Ma non è ancora chiaro come queste microplastiche abbiano raggiunto la placenta, plausibile anche il passaggio dall’apparato respiratorio.
Nella placenta tracce di cosmetici e profumatori d’ambiente
Ciascuna di queste particelle microplastiche è stata studiata per capire di cosa si trattasse. E il campionario che è emerso dai risultati è vario e quanto mai sconcertante: le piccolissime tracce presenti nella placenta esaminata derivano da cosmetici (BBcream, ombretti, mascara, fondotinta, rossetti), profumatori d’ambiente, saponi, additivi alimentari, coloranti tessili, inchiostri per stampanti, pigmenti per il legno.
È amaramente ironico scoprire che ciò che usiamo per la nostra cura personale ci ritorna addosso come un pessimo boomerang in grado procurare un danno enorme. Ma come è possibile che il nostro corpo ingerisca la plastica che viene dispersa nell’ambiente?
La degradazione a cui è soggetta la plastica quando viene abbandonata nell’ambiente è un problema serio. L’esposizione ai raggi ultravioletti e alla foto ossidazione in combinazione col vento, l’azione delle onde e l’abrasione, degradano i frammenti di plastica in microparticelle di grandezza microscopica. Per queste particelle è molto facile passare attraverso i filtri dell’acqua, rendendo impossibile il loro recupero una volta che finiscono in mare. (da Plasticenta)
E mare significa pesce, spiagge, aria. Ecco, dunque, che ciò che scartiamo viene di nuovo – inconsapevolmente – respirato o mangiato come rifiuto nocivo.
Quali rischi corre il feto?
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La placenta lega il feto alla madre, grazie a cui riceve ossigeno, nutrimento e protezione immunitaria. La presenza di microplastiche in un organo dalle funzioni così essenziali quali rischi comporta per il feto? È questa la domanda che si apre alla luce della recente scoperta.
Qualche ipotesi è già stata messa a fuoco e tratteggia uno scenario preoccupante:
I rischi per la salute dei bambini che già dalla nascita hanno dentro di loro delle microplastiche ancora non si conoscono – sottolinea Ragusa – bisogna continuare a fare ricerca. Ma già sappiamo da altri studi internazionali che la plastica per esempio altera il metabolismo dei grassi. Riteniamo probabile che in presenza di frammenti di microplastiche anche la risposta del corpo e del sistema immunitario, possa essere diversa dalla norma. (da Il Fatto Quotidiano)
A fronte di tante campagne ecologiche costruite su un’astratta idolatria di Madre Natura, ecco che senza filtri green vediamo il corpo di una madre come teatro di un inquinamento che aggredisce la vita appena concepita. Siamo rimasti stupiti di trovare tracce di acqua su Marte e alcuni hanno immaginato un futuro più sostenibile in cui anche nuovi pianeti saranno abitabili. Sapere che lì dove attecchisce la vita c’è plastica, cosa ci lascia immaginare? L’urgenza di rendere di nuovo abitabile questo pianeta.
E non si tratta tanto di addestrare la mano che deve smistare i rifiuti, quanto piuttosto di ridestare l’anima che muove quella mano a chiedersi, a riflettere e a darsi da fare riguardo al compito che le è stato dato sulla terra.
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