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Cosa mi ha ricordato una lettera di santa Caterina da Siena a sua madre

SAINT CATHERINE OF SIENA AND JESUS
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Giuseppe Corigliano - pubblicato il 07/12/20
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In una lettera a sua madre Caterina usa un tono didattico, quasi autoritario, per spiegare una cosa semplice ma sostanziale: che le contrarietà e i dolori della vita vanno presi di buon animo perché ci rendono partecipi delle sofferenze di Cristo e ci aprono la strada ai beni eterni.Santa Caterina da Siena era la ventiquattresima figlia di Monna Lapa. Era nata assieme a una gemella, la ventitreesima, che poi morì.

La mamma ci tenne ad allattare Caterina personalmente senza affidarla a balie e aveva un affetto particolare per lei.

Si ritrovò una figlia così unita al Signore da parlare con autorità a papi e regnanti e perfino alla sua mamma che certo non era priva di autorevolezza nei confronti della figlia.

Una lettera di Santa Caterina da Siena a sua madre

In una lettera a sua madre Caterina usa un tono didattico, quasi autoritario, per spiegare una cosa semplice ma sostanziale: che le contrarietà e i dolori della vita vanno presi di buon animo perché ci rendono partecipi delle sofferenze di Cristo e ci aprono la strada ai beni eterni.



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Con questa pazienza, spiega alla mamma, non si correrà il rischio di vedere come grandi dei problemi “piccioli” ma sembreranno “piccioli” i dolori grandi.

Perciò il bravo “cavaliero” di Gesù non si scandalizzerà dei dolori che Dio permette, volgendosi indietro, ma potrà “godere ed esultare” nelle tribolazioni aspettando con “perfetta allegrezza la vita durabile” cioè la vita eterna.

È il messaggio cristiano che risulta sempre così nuovo da meritare una lettera apposita per la propria mamma.

Chi di noi non ha bisogno di una lettera del genere?

Viviamo come se la Provvidenza avesse il compito di farci la vita prospera e facile e invece ci sbagliamo.

Ci vuole il coraggio, prestato da Gesù, di affrontare lietamente le contrarietà perché la fede ci fa comprendere che conviene unirsi a Cristo per risorgere con Lui.

La saggezza cristiana è di una semplicità disarmante, richiede però la fede vera che è quella che chiedo al Signore per me e per chi mi sta leggendo.

Ma il progetto di Dio su di noi non si esaurisce nella capacità di accettare le sofferenze.

L’imitazione di Gesù ci porta a saper voler bene.

“Vi ho chiamati amici” (Gv 15) dice Gesù ai suoi, per far capire che non li considera subalterni ma sullo stesso suo piano.

È il piano di chi sa voler bene.

Il compito mio è quello di saper voler bene come conviene al vero “cavaliero” di Gesù.

Gesù dolce Gesù amore, come diceva Caterina al termine delle sue lettere.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA GIUSEPPE CORIGLIANO

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