Sono malata di Natalite ma quando parlo con mia madre penso che forse tutti i miei pacchettini sotto l’albero danno meno gioia di quella che riceveva lei, cui mancava tutto, quando cantava “Che magnifica notte di stelle” a squarciagola nel campo profughi con i suoi amici. Ormai lo sanno tutti: non appena il calendario avverte che è decente cominciare a preparare la casa per il Natale, acquistare i regali, confezionare i pacchetti, accendere le lucine ed allestire il presepio, Chiara è lì pronta allo scatto come una centometrista vorace di vittoria.
Poco da fare, sono malata di natalite. Mi conforto pensando sempre che, tutto sommato, come patologia è piuttosto innocua.
Come vivo il Natale
Mi incanto come una bambina pregustando la gioia dei miei cari nello spacchettare i pensierini che ho preparato per loro; nel complottare con i diversi membri della famiglia escogitando sorprese per gli altri; nel gustare la poesia di un albero illuminato nella sera buia di dicembre; nel fare tappa tutte le sere davanti al presepio per attendere il Natale con una piccola preghiera in famiglia; nel pensare e ripensare al pranzo di Natale, dal menu alle decorazioni.
In questo devo essere rimasta bambina, ma in fondo non me ne vergogno.
Parlavo di tutto ciò ieri con la mia mamma, che mi conosce meglio di chiunque altro e tollera pazientemente tutte le mie follie decembrine.
Con l’occasione, si rievocavano Natali lontani, e in particolare quelli di tanti anni fa, molto prima che io nascessi.
Come viveva il Natale mia mamma
Esule istriana, la mia mamma ha vissuto anni durissimi nell’adolescenza, avendo dovuto abbandonare casa, beni, affetti e terra amata, ed avendo trovato miseria estrema ed accoglienza gelida nell’Italia tanto sognata.
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Mi colpiva un elemento della sua narrazione: in quei Natali in cui non c’era nemmeno un dolce per i bambini né un regalo da scambiarsi, c’era comunque tanta gioia, e il campo profughi risuonava di canti.
Canti che popolavano anche tutte le celebrazioni in chiesa, e che, ancora adesso, non smettono di emozionarla nel ricordo.
Il ruolo della musica nella notte di Natale
Mi viene da pensare che la musica, ed in particolare la musica sacra che abbelliva le celebrazioni di tante Chiese cristiane, sia stata veramente creatrice di felicità per tutti, e in particolare per i più poveri.
Nella Storia, anche chi non possedeva nulla poteva entrare in una chiesa, persino in una cattedrale, e godere gratuitamente di musica bellissima, fatta per amore di Dio ma anche delle persone più indigenti.
La povertà forse aiuta a gustare sempre di più le cose belle, ed anche a cercarsi, a tessere relazioni; chi ha troppo in casa sua, tende a rintanarvisi senza condividere e senza incontrare gli altri.
Chi ha una vita troppo piena rischia di non incantarsi più.
I canti di Natale degli esuli istriani
E forse tutti i miei pacchettini sotto l’albero danno meno gioia di quella che riceveva un’adolescente istriana, cui mancava tutto, quando cantava “Che magnifica notte di stelle” a squarciagola nel campo profughi con i suoi amici.
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