Corsi di team building per manager che si svolgono in cucina? Sì, perché è il luogo del servizio e della collaborazione, e tutto parte dall’intuizione di San Benedetto sul monastero.Arles è una città del Sud della Francia che vanta una storia gloriosa: ne sono testimonianze l’anfiteatro romano, le terme, la grande cattedrale romanica e tanti insigni monumenti dell’Era antica e medioevale. È stato uno dei più grandi centri urbani dell’Impero Romano.
Carità anche in cucina
Nel VI secolo ha dato i natali a San Cesario, monaco e vescovo, che nell’anno 512 fonda un monastero femminile proprio ad Arles, del quale è prima badessa sua sorella Cesaria (i loro genitori comunque avevano poca fantasia nella scelta dei nomi). Scrive per le monache una Regola che diventa un modello per tutti i monasteri femminili nei secoli successivi.
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Le religiose si dedicano alle opere di carità verso i poveri ma anche allo studio e alla lettura dei testi sacri. Le cronache le descrivono come donne intellettuali, studiose e assetate di cultura, che ricopiano libri, li studiano e custodiscono con cura e passione. La Regola, tra le tante indicazioni, prescrive che a turno ciascuna monaca dovrà badare alla cucina, perché non c’era nessuna di loro dedita esclusivamente ai lavori domestici. Si alternano tutte nel dare il proprio contributo ai fornelli e nella cura della tavola.
Benedetta corvée
Lasciamo Arles, percorriamo una lunga strada, ben 1000 chilometri, e arriviamo a Montecassino dove un contemporaneo di san Cesario che si chiama Benedetto da Norcia nel 529 fonda un monastero. Scrive la sua Regola monastica, che è molto simile a quella che il vescovo francese ha predisposto per il monastero di Arles. Meraviglie della grazia di Dio, illuminazioni di uomini santi, o più prosaicamente possiamo dire che due uomini saggi, usando la ragione e facendo tesoro dell’esperienza, arrivano con molta probabilità alle medesime conclusioni, una volta considerate le esigenze pratiche della vita in comune.
San Benedetto stabilisce che: «Nessuno sia dispensato dal servizio in cucina». Ci sono monaci agricoltori, amanuensi, scultori, architetti, farmacisti, teologi e letterati. Ma a tutti toccava, di tanto in tanto e per la durata di una settimana, la corvée in cucina: si servono l’un l’altro con umiltà, è un servizio e un’incombenza che fa bene a tutti.
Team building al lavello
D’altronde sappiamo che la cucina è una palestra di vita, è generosa laboriosità applicata a vantaggio del prossimo. Ben lo sanno quei formatori aziendali che organizzano corsi di team building per manager proprio facendoli cucinare insieme. In un certo senso, non si sono inventati nulla, già lo facevano secoli fa i monaci, che consideravano la cucina il luogo ideale per insegnare l’umiltà e il servizio, la disciplina e l’ordine, ma anche la creatività, l’innovazione, la voglia di fare gruppo e di condividere successi e crescita.
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E in famiglia? È bello ed educativo che tutti diano il loro contributo e si possono abituare anche i bambini al lavoro in cucina. Possono imparare a comprendere tutta la filiera, dall’acquisto nel supermercato o nel negozio sotto casa (così imparano il valore delle cose) fino a portare in tavola il risultato, frutto del loro impegno e della loro creatività. E poi bisogna aiutare a rigovernare: è un team building in famiglia che favorisce la coesione del gruppo e la formazione del carattere. San Benedetto e san Cesario avevano intuito il valore educativo del lavoro in cucina: ancora una volta, il monachesimo si dimostra precursore geniale di scelte azzeccate.
Al contrario, la perdita della buona abitudine di dedicarsi all’attività culinaria va a discapito non solo del piacere puro e semplice del mangiar bene, ma anche dell’educazione al vivere in comune e della maturazione personale. Cucinare è un impegno al quale ci si può dedicare con profitto e divertimento, gratificazione e generosità e nello stesso tempo è educativo e formativo. E’ una strada verso la bellezza, la carità e la verità.
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