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Top model posa nuda su Vogue Polonia per difendere l’aborto

PIGUŁKA ABORCYJNA
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Paola Belletti - pubblicato il 30/11/20
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Le manifestazioni sono partite da Varsavia e si sono diffuse in tutto il Paese. L’aborto è considerato un diritto umano, in quanto parte dei cosiddetti diritti riproduttivi delle donne. Una mostruosità che è però conseguenza delle premesse sull’idea di libertà individuale ed emancipazione femminile.

Top model e attivista posa nuda per difendere l’aborto in Polonia

Si chiama Anja Rubik, è polacca, di professione fa la top model ma dal fisico (e dalla posa) potrebbe essere un’atleta. Vi assicuro che appena ho visto l’immagine mi sono chiesta come mai posasse in bagher. Invece, ovviamente, vuole apparire legata, come fosse incatenata. Scusate, faccio ancora fatica con la poetica abortista e le sue allegorie.

Ma non è affatto questo il punto. Qual è, infatti, il punto? e come mai le donne che negli ultimi decenni manifestano il loro dissenso più o meno spontaneo lo fanno così spesso nude?

Difendere i diritti umani: e come ci è finito l’aborto in quell’elenco?

L’obiettivo dichiarato dalla top polacca, che è anche un’attivista, è la difesa delle donne. Il governo del loro paese – a detta sua e del movimento che sta manifestando alquanto arcigno e conservatore – vuole impedire l’esercizio di un diritto umano: l’aborto.

Sono cose che sentiamo da anni e questo, purtroppo, sembra avere affievolito la capacità di sdegno e soprattutto fiaccato la reattività logica. Come può una quota significativa di opinione pubblica e più ancora un numero consistente di donne essere convinto che l’aborto sia un diritto e di rango così alto da essere definito umano? Una considerazione che non riesco a non fare subito: significa essere accecati, vuol dire non vedere una verità che pure è accessibile alla ragione, senza troppo sforzo. La catena di distribuzione dell’ideologia sta efficientando sempre più i suoi sistemi, pare.

L’aumento di aborti è per questo movimento un indicatore di progresso

I toni che si leggono in giro a commento e a suffragio del movimento polacco sono compatibili tutti con lo stesso accordo: calante, patetico ma severo. Le donne devono opporsi al potere che impone loro dei limiti, le donne hanno bisogno di liberazione, l’aborto non si tocca. E se lo si fa è sia per estenderne l’accesso, aumentarne la facilità e persino la desiderabilità. Non è infatti desiderabile, a detta di questa intellighenzia, che di aborti ce ne siano sempre di più?

Su Vogue in un pezzo dedicato alle manifestazioni in Polonia, alle sue cause e alle conseguenze, leggiamo infatti questo:

Più persone si sentono potenzialmente colpite, in caso dovessero aver bisogno di interrompere una gravidanza, ”dice Natalia Broniarczyk del gruppo di sostegno Aborcyjny Dream Team.(…) È un grande cambiamento di linguaggio. I manifestanti scrivono il nostro numero di telefono sui muri con le bombolette spray. Nei primi 10 giorni delle proteste in corso abbiamo aiutato 33 donne, che grazie alla raccolta fondi sono potute andare in Germania, nel Regno Unito o nei Paesi Bassi. In quello stesso periodo, mille donne hanno avuto aborti terapeutici. Tre volte di più rispetto a prima delle proteste attuali.” (Vogue, 10 novembre 2020)

Una dedizione per una causa di morte che stupisce per intensità e spaventa per la natura di ciò che promuove e considera un risultato positivo: migliaia di bambini uccisi nell’utero delle madri grazie alle proteste. Raccolte fondi per viaggi della speranza al contrario, prossimità e ascolto per aiutare le donne a liberarsi dei figli.


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Il fashion system e “l’impegno sociale” per le donne. Speriamo che passi di moda

E così commenta il magazine femminile di Repubblica la presenza della bellissima Anja in copertina su Vogue Polska:

Una nuova dimostrazione del fatto che la moda non è solamente abiti ma è anche e soprattutto attualità e una presa di posizione importante da parte del magazine e della modella e attivista che, condividendo la copertina sui suoi canali social, spiega che “questo lavoro è uno dei più importanti e personali della mia carriera perché il diritto di scelta per una donna rappresenta il banco di prova di una società progressista  e sana“. (D di Repubblica)

 

“Il Governo sta reprimendo le donne vietando loro l’aborto e limitando i loro diritti riproduttivi. I diritti riproduttivi sono diritti umani, garantiscono la libertà di decidere della propria vita, del proprio corpo, della propria salute e del proprio destino”.

Propria vita, proprio corpo, propria salute, proprio destino. La maternità diventa diritto riproduttivo il cui esercizio deve essere voluto e gestito dalla donna.


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Il bambino non ha voce in capitolo. Ma i padri potrebbero alzarla

Non è mai considerata, la gravidanza e il diventare madri, un processo che coinvolge non una ma tre persone. E il bambino, che in una gara a difendere i più esposti dovrebbe balzare di colpo in cima alla classifica, non compare mai, nelle parole della giovane.

In un altro articolo di Vogue Italia si vede invece una delle manifestanti che porta sul petto, legato nella fascia, un bel bimbo di circa 8 mesi, se so ancora valutare a occhio; indossa un bellissimo cappello di lana a punta, sembra un elfo.

Quella mamma, protesa in avanti ad urlare slogan sul diritto di uccidere figli prima che nascano, il suo se lo tiene al sicuro, al caldo, protetto dai pericoli che il mondo comporta. Che paradosso, che eredità per quel piccino. Non sa che gli sta costruendo il dossier di un cold case per cui, fra 20 anni, lui potrà dire “mia mamma poteva uccidermi, avrebbe potuto volerlo, voleva poterlo fare”.

Ecco un altro debito sovrano che stiamo scaricando sui nostri figli: troppo pochi, troppo desiderati o troppo poco, considerati un diritto in caso li si desideri, intralcio ad altri diritti in caso non si voglia farli nascere. Iscrivetevi a medicina, specialità psichiatria: ci sarà tanto dolore da raccogliere e rielaborare, futuri psichiatri e terapeuti.

L’origine delle proteste

Sono passate due settimane da quando Diritto e giustizia (PiS) – il partito conservatore polacco salito al potere nel 2015 – ha annunciato la prossima entrata in vigore di una draconiana legge anti-aborto che permette l’interruzione di gravidanza solo nei casi di stupro, incesto o grave minaccia per la salute della madre. Casi come questo rappresentano solo il due per cento degli aborti legali. Anche se il feto mostrasse segni di una malattia grave a causa della quale il bambino morirebbe subito dopo la nascita, l’aborto sarebbe illegale. Le proteste che sono seguite alla modifica della legge il 22 ottobre hanno sorpreso tutti, inclusi i manifestanti. Le dimostrazioni sono cominciate a Varsavia, vicino alla casa del leader del PiS, per poi diffondersi in tutta la città. Due giorni dopo si sono estese a tutto il territorio nazionale.

La modifica alla legge è stata l’ultima goccia, e anche se la reazione del movimento a favore dell’aborto può sembrare improvvisa agli osservatori internazionali, in realtà si preparava da tempo. Il 3 ottobre 2016, quando era stata pubblicata la prima bozza della proposta di legge, milioni di donne erano scese in piazza in tutto il paese, vestite di nero, dando luogo alla Czarny Protest, o Protesta nera. (Vogue, ibidem)

La rabbia verso la Chiesa cattolica considerata colonna portante dell’edificio da abbattere

Una delle manifestanti, riporta sempre Vogue Italia, racconta delle proteste contro la Chiesa. Per colpire l’istituzione però non si fanno problemi a colpire i singoli edifici sacri e a interrompere e violare le celebrazioni con grave danno per i fedeli e (forse non lo sanno) per loro stesse.

La scorsa settimana, Zofia ha lanciato delle uova contro il muro di una chiesa per protesta contro l’irrigidimento delle posizioni politiche della chiesa cattolica e contro la stretta sulla legge sull’aborto. Da allora, Zofia e un gruppo di amiche protestano all’interno delle chiese di Poznan durante la messa – sollevando striscioni con scritto ‘Vergogna’. (Ibidem)

Dogma scaccia dogma

La polizia minaccia di arrestarle (che strano, da noi invece deve proteggerci se andiamo a dire pubblicamente che i figli nascono da un uomo e una donna. Ma si sa, paese che vai, usanze che trovi). Quello che rinfacciano alla Chiesa è che consideri l’aborto un peccato. E così scrivono sui loro striscioni i loro propri dogmi: “l’aborto non è peccato”.

Che non sia la loro stessa coscienza, intrecciata al loro corpo femminile che sanno essere capace di generare un’altra vita, a ricordargli che sopprimere un bambino, in qualsiasi momento del suo sviluppo, significa stroncarne l’esistenza?

Povere donne, così sole. E se sorgessero gli uomini, con i loro slogan?

Ora, non è giusto che le donne si trovino sole a dover decidere della vita di un figlio, che portino da sole il peso di una nuova nascita. Perché è anche un peso, è fatica, è dolore, interrogativi, sfinimento e non solo bellezza, gratitudine e pigiamini rosa o azzurri da piegare nei cassetti. Perché gli uomini non si radunano e fanno una contro manifestazione, che contagi le piazze del mondo, e che abbia tra i suoi slogan delle promesse: “Saremo al vostro fianco” “Proteggeremo i vostri e nostri figli”; “Non sarete sole”; “La maternità è un’opera grandiosa: mettiamo la nostra forza per proteggerla”.

Dovremmo scegliere meglio le nostre cause. Altro che Girl Power imposto dall’alto

Non è giusto che abbiano di sé così poca stima da ritenersi padrone del proprio corpo come fosse un’auto. E’ un vero peccato che non si ricordino invece di essere titolari di un’identità umana psicosomatica e spirituale con la quale non si gioca a fare Invio o Annulla comando come fossimo un file di Word.

Non è giusto che la nostra forza sia impiegata solo per rivendicazioni da Girl power telecomandato. Né che la capacità di resistenza ai soprusi sia rivolta contro il maschio in quanto tale e la nostra rabbia ferina, essenziale a difendere i più piccoli, si riversi invece sopra di essi. Siamo donne, e non sappiamo più cosa significhi?

Peccato solo che persino dalla nostra amata Italia si sia levata la voce e non solo quella di una bellissima attrice di origini polacche a difendere la stessa causa autolesionista. Kasia Smutniak, ti avremmo voluta porta bandiera di altri giochi, simbolo di più degni gemellaggi.

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