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In chi o in cosa posso riporre speranza nella mia vita?

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Dolors Massot - pubblicato il 28/11/20
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L’esperienza ci dice che le cose materiali non ci danno la felicità completa. Non la dà neanche il successo. Dove rivolgere lo sguardo?Papa Francesco dice che credere nel futuro e nella vita è una necessità fondamentale dell’uomo, e che è importante riporre la nostra speranza in ciò che può aiutare davvero a vivere e a dare senso all’esistenza.

La speranza è la fiducia nel fatto di ottenere qualcosa o che un desiderio si realizzi.

Al riguardo, due sono le domande importanti:

  1. In cosa spero?
  2. In chi spero perché questo si realizzi?

In cosa speriamo

L’obiettivo della nostra speranza dev’essere quello che corrisponde alla mia natura umana, e quindi dev’essere qualcosa (qualcuno) che mi dia la felicità a cui anelano tutti gli esseri umani.

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Jenny Sturm | Shutterstock

Sperare di avere buoni risultati accademici o che l’anno finisca bene, che vinca la nostra squadra preferita o di poter vincere la lotteria o comprare quella macchina che ci piace tanto sono speranze nobili, ma realizzare questi desideri non ci darebbe la felicità completa.

Per questo, bisogna chiedersi in cosa si è riposta la speranza e se questo è sufficiente, se ci riempirà. Una vacanza mi darà la felicità completa? Me la darà la ricchezza o uno status sociale elevato? Il fatto di vincere le elezioni della mia città o del mio Paese e di raggiungere la massima autorità? Le nostre ambizioni si alimentano con la speranza, ma scopriamo anche che questo non dà la felicità completa.

Le aspirazioni umane sono limitate, come anche il premio che producono. Quante volte ci è accaduto che disponendo di qualcosa che avevamo desiderato sembrava come se si sgonfiasse e perdessimo interesse nei suoi confronti? Capita ai bambini con un gioco, e agli adulti in situazioni più importanti come l’amicizia o l’amore.

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Marina Andrejchenko | SHUTTERSTOCK

E tuttavia, tutti abbiamo questa inquietudine, che ci spinge a cercare il grande orizzonte della nostra vita, la felicità piena.

In chi spero che si realizzi la mia speranza?

Per un orizzonte così ampio, riporre tutte le nostre speranze in qualcosa di materiale non è precisamente puntare su un cavallo vincente. Abbiamo visto con i nostri occhi che le cose materiali non sono eterne: un grande edificio può essere arso dalle fiamme o distrutto da un disastro naturale. Anche la speranza in una carriera professionale può svanire per un cambiamento inaspettato dei piani: una malattia, decisioni altrui, una crisi…

Accanto a questo tipo di circostanze, che sono reali, non possiamo dimenticare che esiste lo scorrere inesorabile del tempo: l’invecchiamento è qualcosa di reale, e non possiamo evitarlo. Ed è logico pensare che non disporremo sempre delle stesse capacità.

Tutto questo deve farci riflettere su un punto essenziale: in chi ripongo la mia speranza? Confido solo in me e nelle mie forze, come vogliono farmi credere molti libri di autoaiuto? Basta sperare nel fatto che io solo – da me – costruirò la mia felicità futura, come pretende la filosofia New Age?

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PhotoGranary | Shutterstock

La fede fa sì che quella speranza grande e profonda “punti” a Dio. La speranza è l’orientamento della mia vita. E verso di Lui oriento tutto il mio essere.

La speranza del cristiano è quella che riunisce tutte le speranze parziali, umane e nobili ma insufficienti, e al di sopra di esse ne stabilisce una maggiore e che ha una portata di un altro ordine: la felicità eterna.

La persona cristiana non si conforma a speranze di breve portata. La speranza del cristiano confida in Dio e nelle Sue promesse, perché per fede sappiamo che solo Dio può colmare la nostra ansia di felicità.

Nell’incontro con la samaritana accanto al pozzo di Sicar, Gesù dice: “Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna”(Gv 4, 14).

La speranza, per i battezzati, parte da un fatto con cui spesso ci siamo imbattuti senza cercarlo: il Battesimo mediante il quale siamo figli di Dio. La filiazione divina è un dono sul quale dovremmo riflettere di più: sono figlio di Dio, e questo tesoro ce l’ho già, senza essermelo guadagnato per chissà quali meriti! È molto più di una qualsiasi carta d’identità, passaporto, visto o pass vip che si possa ottenere nella vita terrena.

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Shutterstock | G-Stock Studio

Stare “nella vita di Dio”, con la grazia che ci dona in ogni momento, ci aiuta a crescere nella speranza del cielo. Dice San Paolo nella Lettera ai Filippesi:

“Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche stato afferrato da Cristo Gesù” (Filippesi 3, 12).

È Cristo che ci dà la speranza. È un dono immeritato e un tesoro che cresce con il gioco divino e umano (la grazia e la nostra risposta ad essa). Ci infonde allegria, pace, serenità e uno sguardo di eternità di fronte alle cose che accadono, perché vediamo in esse – anche se ci sono dolore e sofferenza – la mano amorevole di Dio che ci conduce alla Casa del Cielo che ha preparato per noi.

In un versetto del salmo 2 c’è una citazione delle dimensioni di un tweet assai rivelatore: “Beati tutti quelli che confidano in lui!” In una traduzione molto libera si potrebbe leggere come “Felice chi avrà confidato in Dio”. La speranza e la felicità vanno infatti unite.

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