Il giornalista de Le Iene si ferma ad ascoltare Natale, 89 anni ricoverato per Covid: ringrazia per la vita, il bicchiere di prosecco prima di pranzo, la moglie e l’albero di cachi.Irriverenti, aggressive, sfacciate, sono così Le Iene. E tra il ritmo incalzante dei loro video, a volte serissimi a volte davvero trash, ieri sera c’è stato un momento in cui uno dei loro inviati ha ceduto il passo alla lentezza della meraviglia. Un uomo anziano di nome Natale ricoverato nel reparto Covid dell’ospedale di Padova si è preso la scena con un imprevisto canto di gratitudine per la vita.
Qui Covid Padova
Il servizio di Alessandro Politi e Marco Fubini, andato in onda ieri sera nella puntata de Le Iene, ci ha portato dentro l’emergenza Covid nell’ospedale di Padova. Il giornalista Politi si è affiancato al personale medico del pronto soccorso e dei reparti Covid per monitorare l’emergenza, che è tale davvero. Le ambulanze arrivano a ritmo serrato, il triage deve essere effettuato in modo tanto veloce quanto accurato. Trascurare un sintomo può diventare fatale.
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I famosi DPI (dispositivi di protezione personale) trasformano il personale medico e infermieristico in alieni coperti da piedi a testa, forse gli occhi sono l’unica cosa umana riconoscibile. Una volta indossata la tenuta anti-contagio si deve resistere fino a fine turno per espletare i bisogni fisiologici.
Le immagini hanno qualcosa di apocalittico, a ritornare nel qui e ora – di una realtà che resta vissuta da esseri umani – ci pensano le voci. Calme, poche parole efficaci, se possibile dette con un accenno di sorriso nel tono. Accanto alle storie, i dati: sempre più reparti destinati al Covid, l’età dei pazienti che si abbassa (“Nelle ultime settimane oscilla tra 50 e 60 anni”), ambulatori che riescono a occuparsi solo delle emergenze non-Covid più serie.
In terapia intensiva con Dante e un colombo
Lasciato il Pronto Soccorso, l’inviato de Le Iene si sposta nei reparti Covid dell’ospedale. L’impatto con le storie che incontra è una vera e propria onda d’urto. (Non sono solita guardare questo programma, ma ieri sera quei volti mi hanno tenuta incollata allo schermo).
Ho avuto l’impressione di attraversare una frontiera, oltre cui la realtà è più realtà. Chi sta vivendo la malattia e ha corso da troppo vicino il pericolo di morire, non parla più con la nostra usuale distrazione. Siamo sempre soprappensiero, in fondo, di fronte a tutto ciò che ci sta a un palmo di naso. Ecco, nelle voci dei malati o dei sopravvissuti la realtà riguadagna il posto che le spetta, è un’eccezione: eccede ed è eccezionale.
Gennaro, ad esempio. Racconta il suo mese in terapia intensiva col terribile-e-benedetto casco dell’ossigeno in testa, sempre a un passo dall’incubo di essere intubato:
Il mio obiettivo era di rimanere lucido, in terapia intensiva. Facevo di tutto: poesie, Divina Commedia, calcoli matematici. Perché se non ero lucido non riuscivo a superare questo posto. […] Per 3 giorni alle 6 di sera è arrivato un colombo sopra la finestra, era il mio punto di riferimento, alle 4 andava via.
Chi è in pericolo di vita vede segni in tutto, vede anche in un colombo qualcosa che parla di una presenza compagna. I segni ci sono sempre, in effetti. Ma chi ha occhi per vedere? (… e Dante scrisse appunto il suo poema più famoso per testimoniare come “rivede le stelle” chi è stato a un passo dalla morte).
Proseguendo lungo il corridoio, il giornalista Alessandro Politi raggiunge una stanza in cui lo attende un incontro imprevisto.
Natale, il sogno di servire
Nella stanza in cui entra la Iena ci sono due pazienti che hanno attraversato insieme le fasi acute del Covid e sono diventati profondamente amici. Il più giovane, anagraficamente, è Gabriele, poi c’è un anziano la cui giovinezza ha a che fare con altro, con una gioia che lascia ammirato anche il giornalista.
Nato il giorno di Natale di 89 anni fa, non poteva che chiamarsi Natale. Ogni frase che pronuncia è un quadro di vita fatto e finito, una storia che meriterebbe di essere toccata solo dalla maestria di Fellini:
Siamo in 12 fratelli, 6 maschi e 6 femmine. Sono rimasto da solo, maschio. Sono resistito abbastanza. Ho 2 figli meravigliosi, 4 nipoti ancora più meravigliosi e ho fatto un lavoro che mi piaceva, il barista. E’ stato il mio sogno da bambino, mi piaceva servire la gente.
[DOMANDA: qual era il tuo drink preferito?]
Un prosecco alla spina, frizzantino. Me ne bevo un goccetto, prima di mangiare, come aperitivo.
L’intero servizio è bello e intenso, ma potete ascoltare la sola testimonianza di Natale dal minuto 13.30. C’è quasi una santa nostalgia della vita, le sue parole sono una ricapitolazione dell’essenziale a cui dice grazie, forse presagendo che il tempo da vivere è poco. Da cosa viene la sua gioia? Me lo sono chiesta, vedendolo così vulnerabile in un letto con la mascherina per l’ossigeno e i lividi sulle mani.
“Mi piaceva servire la gente“, e chi credeva di poter ancora sentire una frase del genere? Se una vita dedicata al servizio lascia questo entusiasmo di vita, c’è di che stupirsi e gridarlo fuori dalla finestra. L’uomo comune – diceva Chesterton – è più autorevole di tanti blasonati eruditi che parlano ai microfoni.
Occhi innamorati
Il giornalista s’inchina alla sorpresa umana in cui s’è imbattuto e resta in compagnia di Natale ancora un po’. Gli chiede cosa farà una volta tornato a casa.
Vorrei stare tranquillo a casa mia, godermi la mia casa. Ho un albero di cachi che quest’anno avrà fatto quasi 10 quintali di cachi. Ogni giorno vado lì e me lo guardo. E’ qualche cosa di meraviglioso. Guardando lui cresce. Sente la mia presenza. Mia moglie è morta, mi dispiace. Era la mia donna. Proprio ho trovato una donna per me. Perché trovare una donna per sposarsi non è difficile, però trovare quella giusta con cui tu riesci a capirti … è una cosa meravigliosa. Io sono stato fortunatissimo.
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Ringrazio di aver ascoltato queste parole alla fine della mia giornata di ieri, proprio quando la stanchezza mi stava facendo tirar fuori lamentele a non finire. L’amore di cui tanto ci riempiamo la bocca, dal profano al sacro, è una parola strana. Ammazziamo il senso dell’amore parlando di amore. E invece il suo senso esplode quando s’incarna. Un prosecco, un albero di cachi e una moglie, questa è il modo in cui il mistero del bene s’infila preciso come un cecchino dentro la vita di ciascuno. Di recente un amico, profondo conoscitore di letteratura, mi ricordava che quando ci innamoriamo è per dei dettagli, al massimo un paio.
Natale mi ha riportato lì, nel mezzo di una vita normale vissuta con l’intensità straordinaria che merita. Il diavolo è nei dettagli che si omettono, Dio c’è in ogni microscopico frammento di vita.
Se l’occhio che guarda un albero di cachi è spalancato insieme alla coscienza, non serve altro per dire grazie e farlo come un’autentica preghiera di lode.