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Errore o peccato? Forse non pecchiamo più, commettiamo solo errori?

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Juan Ávila Estrada - pubblicato il 23/11/20
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La nostra società attuale sembra aver paura di chiamare le cose col proprio nome, nel tentativo di evitare che la realtà la interpelliLa Bibbia narra di come l’uomo, avendo tutta la creazione davanti a sé, diede il nome a ogni animale della terra; diede anche il nome a tutte le cose, le situazioni e le relazioni che stabiliva. L’uomo è un essere nominale (dà nome a tutto), e ha bisogno di dare un nome a ogni cosa, perché attraverso i nomi dà consistenza e identità a una realtà determinata e cerca un modo particolare per relazionarcisi.

Non è meno vero che a un certo punto l’essere umano ha percepito che c’erano alcuni termini duri e scandalosi a sentirsi, e ha dovuto affrontare concetti e realtà che infastidivano la sua coscienza e turbavano la sua tranquillità.

Per riuscire ad alleviare questa sensazione e sentirsi tranquillo con se stesso, o per mostrarsi un po’ più colto, ha optato per creare i cosiddetti “eufemismi”, manifestazioni dolci e decorose di idee la cui espressione franca e diretta sarebbe dura o censurabile.

All’inizio questi eufemismi cercavano solo di infiorettare un po’ le parole che potevano sembrare dure o volgari, e così le persone hanno preferito cambiare i nomi di certi comportamenti anziché trasformare le realtà che stavano vivendo in modo inadeguato, per non dover affrontare la durezza della censura.

Sentirsi “bene”

In questo modo, potevano sentirsi più tranquilli con se stessi, senza dover modificare il loro modo di agire. Non si trattava più di “fare” il bene, ma semplicemente di “sentirsi” bene; non si interessavano più alla bontà, ma a cercare di far sì che la cattiveria non sembrasse tanto “cattiva”.

Con gli eufemismi, si è smesso di parlare di “aborto” per parlare di “interruzione di gravidanza”, l’“adulterio” è diventato “scivolone amoroso”, le “prostitute” hanno iniziato ad essere chiamate “professioniste del sesso” e così via.

Gli eufemismi sono la tipica espressione di una società relativista e manipolatrice, che non crede più a principi universali, eterni e immutabili, ma a utilitarismi morali; che è convinta che cambiare il nome alle cose ne trasformi l’essenza, e che quindi la condotta smetta di essere riprovevole, fino a diventare quasi una virtù; che ciò che è negativo diventi positivo solo perché un nome gradevole ha reso possibile questo “miracolo”.

La nostra società è eufemistica, e così pretende di porre fine al male col peso della coscienza e sentire che alla fin fine tutto cambia con una parola. L’eufemismo manipola la società, rendendoci politicamente corretti ed evitando che abbiamo problemi per il fatto di chiamare le cose con il loro nome.


THREE GENERATIONS
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Soggettivismo

Con gli eufemismi, ciò che interessa non è fare il bene, ma sentirsi bene, perché il soggettivismo ha gettato l’obiettività nella spazzatura, e il sentimento è diventato più importante della ragione e l’opinione conta più della verità.

L’eufemismo morale indebolisce la coscienza e tende a farla addormentare, perché a furia di ripetere gli stessi concetti finiamo per perdere di vista la vera dimensione delle realtà che affrontiamo. La dolcezza con cui si esprime, che sembra una specie di diplomazia, non è sempre innocua.

Solo quando le cose ricevono il loro vero nome possiamo affrontarle con realismo e cercare soluzioni, ma per questo bisogna essere disposti alla scomodità che questa impresa suscita in noi.

L’ultima “perla” eufemistica in voga è chiedere a Dio di perdonare i nostri “errori”, visto che non vogliamo più chiamare “peccato” quello che è proprio questo: peccato.

Gli errori non meritano perdono, ma scuse. Il peccato dev’essere chiamato “peccato” senza alcuna paura, perché la persona possa essere perdonata dal Signore.



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