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100 anni fa iniziava l’era dell’aborto di Stato

ABORCJA
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Paola Belletti - pubblicato il 18/11/20
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Un anniversario di morte tuttora spacciata come liberazione: il 18 novembre del 1920 la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa inaugurava le legislazioni sull’aborto libero e gratuito. Un’epoca di menzogna e schiavitù per l’umanità, braccata nei suoi membri più preziosi e fragili: le madri e i bambini.Che fiume in piena di dolore, menzogna e soprattutto morti innocenti. Quante vite perse, quanti popoli si sono ammalati per la diffusione, sempre quasi per via aerea, della stessa tossina. Esattamente cento anni fa uno stato totalitario offriva alle donne e al popolo intero un frutto avvelenato nella legislazione dell’aborto.

Da allora argomenti e slogan per promuoverlo diffonderlo e difenderlo non sono cambiati poi tanto: è per la liberazione della donna, per la sua emancipazione, e a difesa della sua salute.

Mentre ciò che si voleva e si vuole liberare è la società dell’impiccio della maternità e della fatica di tirare su nuove persone, inizialmente così poco produttive.

La maternità è di ostacolo al lavoro, alla ricchezza, al potere.

Il 18 novembre 1920 in Russia il Commissario Popolare della Salute del Popolo ed il Commissario Popolare della Giustizia del Popolo emanarono un #decreto congiunto «Sulla protezione della salute delle donne», che proclamava che l’#aborto era libero e gratuito.

In realtà era cambiata la scala dei valori: per l’ideologia sovietica (comunista) il valore supremo era il lavoro in fabbrica, la produzione; i figli che intralciavano il ruolo della donna lavoratrice andavano scartati. (semprenews)

Davvero le donne sono più libere?

Commenta la testata giornalistica  della Comunità Papa Giovanni XXIII. Che si domanda, senza retorica: l’aborto ha reso le donne più libere?

Se lo chiede davvero poiché ha un elenco di risposte vive, straziate, fatte di donne vere, incinte, lasciate sole o peggio vessate fino a cedere all’aborto e quindi alla morte del figlio e in differita anche di sè stesse.

Le storie che come Comunità Papa Giovanni XXIII abbiamo conosciuto in questi anni, rispondendo alle richieste di aiuto che arrivano al numero verde o al numero whatsapp ci fanno dire che l’aborto è una nuova forma di schiavitù delle donne del XX e del XXI secolo, più insidiosa di quelle del passato perché presentata come opzione, possibilità, libera scelta. Non per nulla una delle leader del movimento femminista statunitense del secolo scorso, Alice Stokes Paul, definì l’aborto «la forma finale di sfruttamento delle donne». (Ibidem)

Anziché organizzare la società e il lavoro intorno alla famiglia, si sacrificano queste alla produttività

Gravidanze vissute come inciampi, come appelli ai quali non si ha voglia di rispondere, come paure che si è lasciati soli ad affrontare. Possibile che ci si sia abituati a chiamare tutto questo “diritto umano”?
Quando la gravidanza non ha le caratteristiche previste da questa società (in sostanza se la donna non è in grado di farsi carico per intero del bimbo perché non ha una famiglia, un lavoro stabile, ecc.) il bambino deve essere eliminato.
Una società che ha rinunciato a mettere al centro ciò che la fa esistere, ovvero la famiglia e la nascita di nuove persone, destinate a farsi carico dell’unico futuro possibile, è una società di zombie. Di morti deambulanti senza sangue nelle vene da trasmettere altrui.
Non ci sono dubbi in merito: raccontare da tutti i microfoni questa falsità, predisporre reparti e procedure all’uopo, rimuovere continuamente bambini minuscoli impegnati a crescere in uteri materni ha diffuso nel mondo una certa dose di follia schizofrenica.

Frutti amari per tutti

Che tanta ansia, depressione, scontento e senso di colpa senza nome non ci vengano da queste schiere di bambini lasciati abortire?
Ed ecco i frutti, amari, di tanta libertà:
In questi anni non abbiamo incontrato libertà ed autodeterminazione, ma solitudine, abbandoni, ricatti, violenze, disistima e un mare di indifferenza della società e delle istituzioni verso la mamma ed il bambino. (Ibidem)

Diritti per i quali marcire

Sappiamo quanto questa libertà sia stata slabbrata ed estesa all’inverosimile fino a rendere logiche altre agghiaccianti opzioni: aborto terapeutico, esami preimpianto, aborto a nascita parziale, infanticidio. Sappiamo quanto la marcia globale pro aborto sia andata avanti e quanto si faccia arrogante anche oggi, a tutte le latitudini.
Ma mentre gli Stati più evoluti si affrettano ad allargare queste voragini di falsa libertà, si moltiplicano le storie di coraggio e di accoglienza della vita, e si formano o si ricompattano piccoli eserciti a difesa della vita. Pensiamo solo all’Italia: da una parte le grandi corrazzate della legge 194/78, dell’aborto libero e gratuito, della pillola abortiva alle minorenni spacciata come contraccezione d’emergenza. Dall’altra il Movimento per la Vita, la comunità Papa Giovanni XXIII, i CAV, gli Universitari per la Vita, il mondo pro life in genere, le grandi storie di coraggio silenzioso e quotidiano.
Meglio festeggiare compleanni che questo tristo anniversario di nascite negate.
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