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Urli e pianti inconsolabili, come aiuto mio figlio?

ANGRY CHILD, MOTHER
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Cristina Buonaugurio - pubblicato il 12/11/20
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Non reagire con altra aggressività. Il nostro compito di genitori non è di fermare il pianto o la rabbia, ma accompagnare, stare, amare.Ogni genitore ha ben chiara in mente l’immagine del proprio figlio arrabbiato: se vi chiedo di recuperarla nella vostra mente qualcuno di voi sentirà ancora nelle orecchie le urla dell’ultima sfuriata, qualcuno invece tremerà al ricordo dei pianti inconsolabili, qualcun altro avrà nitido il ricordo dei piedi pestati e dei musi imbronciati… e la lista potrebbe continuare. In effetti ogni bambino ha il proprio modo di manifestare la rabbia che avverte in sé, ma tutti sanno bene come far capire che qualcosa non sta andando come dovrebbe.

Il problema è: davanti a quelle manifestazioni, noi adulti siamo capaci di comprendere cosa non sta andando bene? E siamo capaci di aiutare i nostri figli a fare altrettanto? E magari di aiutarli a capire come agire in modo adeguato per cambiare la situazione?

Il ruolo dell’adulto di fronte alla rabbia

Come ho già avuto modo di dire la rabbia è l’emozione che ci dice che qualcuno non sta rispettando i nostri diritti e che ci spinge a muoverci affinché nessuno ci metta i piedi in testa. Ma quando siamo piccoli non abbiamo la capacità di comprendere tutto questo, sentiamo solo crescere l’irritazione dentro di noi… e la scarichiamo in qualche modo, di solito esplosivo, verso l’esterno!


DONNA, RABBIA, SOLA
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Cosa dovrebbe fare allora un genitore?

Innanzitutto riuscire ad accogliere anche la rabbia, sopportarla, senza avvertirla come un affronto personale o una sfida, e soprattutto senza reagire con ulteriore rabbia. Il bambino deve sentire che gli è permesso provare quell’emozione, che non è vietato arrabbiarsi. Ma deve essere anche aiutato a comprendere cosa ha scatenato quello che sta sperimentando e cosa potrebbe aiutarlo a risolvere la situazione problematica. Se alle urla di mio figlio rispondo con altre urla di certo non gli permetto di comprendere cosa sta capitando dentro di lui!

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© NadyaEugene

Dobbiamo ricordare che le emozioni hanno una componente fisiologica (la reazione corporea), che siamo in grado di avvertire sin dalla nascita, ma anche una componente cognitiva che prende forma quando si cresce, grazie a quello che i nostri genitori (ma non solo loro) ci insegnano rispetto alle emozioni stesse.

Dare un nome alle emozioni

Il nostro compito educativo, quindi, è dare un nome alle reazioni fisiologiche che i figli manifestano, di modo che sappiano cos’è ciò che improvvisamente si trovano a vivere, per poi aiutarli a comprendere cosa le ha determinate. In questo modo i bambini imparano a collegare uno specifico tipo di emozione alle situazioni in cui si presenta e imparano che quell’emozione richiede un certo tipo di azioni per soddisfare il bisogno che le ha dato vita.

Purtroppo non sempre nel caso della rabbia questo è possibile, anche perché i diritti di cui i bambini si sentono privati molto spesso non sono diritti reali, ma frutto dei loro desideri (e quando si è piccoli è difficile separare il desiderio dalla realtà). Questo porta spesso all’esplosione di reazioni a nostro avviso ingiustificate, che definiamo capricci e che fanno perdere la pazienza ai genitori ad una velocità impressionante!

Vediamo cosa possiamo fare per gestirli al meglio.

Capricci, che fare?

Di solito noi adulti siamo capaci di gestire le nostre emozioni e la nostra frustrazione di fronte a ciò che non va come vorremmo (è finito il caffè a casa e ne ho davvero bisogno prima di andare a lavoro), perché abbiamo la capacità di guardare una situazione non ottimale da diversi punti di vista e sappiamo adottare soluzioni alternative (vado a prendere il caffè al bar). Ma non solo per questo…

Proviamo ad immaginare un bimbo di 3 o 4 anni, a cui la sorellina più piccola ha appena tolto dalle mani il gioco preferito, nuovo di zecca: la scena che possiamo facilmente immaginare è quella di una reazione – a nostro parere – spropositata, fatta di urla, grida, piedi sbattuti, magari il bimbo che si getta addirittura per terra e batte i pugni. A nulla vale provare a calmarlo e a chiedergli di avere pazienza con la sorella perché è più piccola: tutto ciò che si ottiene è una reazione di rabbia ancora più intensa.

Cosa sta succedendo nella mente di questo bambino? Perché l’adulto riesce a gestire le proprie emozioni e il bambino no?

Non è un problema di educazione (o per lo meno non solo), né deriva da una diversa capacità di problem solving: l’adulto possiede un cervello completamente formato (cosa che non ha il bambino e non ha nemmeno un adolescente) e per questo motivo ha una capacità di rielaborare ed analizzare le situazioni decisamente maggiore.

Un cervello che deve ancora formarsi

In altri termini grazie al nostro cervello adulto abbiamo (o dovremmo avere) la capacità di relativizzare quello che ci sta capitando in un certo momento, che porta a saper guardare le situazioni da un altro punto di vista. Il bambino non ha le strutture cerebrali che gli consentono di relativizzare quanto accade e il fatto che la sorellina gli abbia tolto di mano il suo gioco preferito rappresenta una tragedia.

Cosa differenzia il cervello del bambino? Essenzialmente il fatto che nel bambino sono ben formate due delle tre parti di cui è formato il cervello – il cervello rettiliano che ci fa scappare davanti ai pericoli e il sistema limbico, che permette di sperimentare le emozioni – ma non si è ancora ben sviluppata la corteccia prefrontale, ossia la parte che permette di gestire le altre due. Questa sorta di capitano della nostra nave durante i primi 5/6 anni di vita dorme (e ci mette ancora qualche anno a giungere a piena maturazione). L’immaturità della corteccia prefrontale spiega le crisi emozionali – quelle che ci ostiniamo a chiamare capricci – dei nostri figli, perché evidenzia come non sia ancora entrata in funzione la parte del cervello capace di gestire le emozioni e controllare il comportamento conseguente.

Quindi non sono capricci!

Semplicemente il bambino non sa agire diversamente. Ma noi che siamo capaci farlo, in quei momenti invece di dare in escandescenza, dovremmo cercare di ascoltare e comprendere quanto il bambino sta vivendo, rispettandolo per quello che è in quel momento. Anche perché queste crisi, oltre ad essere normali, gli fanno bene, dal momento che sono l’unico modo che conosce e che possiede per liberare il sacco quando è troppo pieno di emozioni e stress che ha accumulato durante la giornata.

MOTHER AND LITTLE CHILD,

Paul Biryukov | Shutterstock

Infatti, tante delle esperienze che quotidianamente i bimbi fanno (lasciare i genitori per andare a scuola, confrontarsi con maestre e compagni, vivere tante ore senza mamma e papà…), rappresentano enormi fonti di stress e a volte diventano motivo di frustrazione. Quando ne accumulano un po’, il loro sacco delle emozioni si riempie e finisce per esplodere, proprio perché non possiedono altre strategie per svuotarlo un po’ per volta. E basta davvero poco per farlo esplodere! Ma una volta che si saranno sfogati, si sentiranno meglio, più rilassati, e potranno continuare la loro giornata come se nulla fosse successo.

Accettare la crisi

Con il tempo e la progressiva maturazione del cervello, impareranno a gestire le emozioni, ma nel frattempo bisogna accettare queste crisi proprio perché sono salutari. Come dice la psicoterapeuta francese Isabelle Filliozat:

voi chiedete al bambino di calmarsi dalla crisi, ma sarà proprio questa crisi che farà calmare il bambino.

Cosa fare allora in queste situazioni?

Restare accanto al bambino, essere presenza che non lo lascia da solo a fare i conti con le sue emozioni. Ma allo stesso tempo rispettare la giusta distanza, ossia avvicinarsi quel tanto che ogni bambino può sopportare. (C’è chi vuole stare da solo e chi vuole essere preso in braccio, non bisogna mai forzarli). Una volta che la crisi è passata, bisogna verbalizzare l’emozione che ha attraversato: descrivere quello che è successo senza esprimere giudizi, così che possa riconoscere le proprie emozioni sentendosi compreso.

In nessun caso va sminuito quello che il bambino sta vivendo con frasi tipo “non è nulla di grave”: ogni bambino ha bisogno di sostegno e di empatia, non di svalutazioni!



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Accompagnare, stare, amare

Non è semplice accogliere in questo modo le manifestazioni emotive dei bambini, lo so bene! Per questo, per aiutarci a fare nostro questo modo di stare accanto alla rabbia, vi lascio con uno bellissimo consiglio trovato sul web. E’ il mio augurio per tutti noi genitori!

Sii la calma nella tempesta del tuo bambino.

Sii la brezza e la pioggia morbida quando le sue emozioni bruciano nel fuoco.

Sii la voce che invita al sollievo, non l’urlo che aumenta lo spavento e la disperazione. Un adulto alterato/fuori controllo non sarà mai in grado di contenere una capriccio, perché per chiedere calma, dobbiamo offrirla per primo. L’adulto sei tu, e quello che tuo figlio vede di te è quello che farà. Se di fronte a una situazione difficile, tu esplodi, anche lui esploderà. Se al contrario respiri, ti avvicini e cerchi una soluzione, quello che gli dai è un bellissimo regalo che si porterà come esempio per tutta la vita. Il nostro lavoro non è nemmeno fermare il pianto o la rabbia, ma accompagnare, stare, amare.

Sii il tipo di persona che vorresti avere accanto quando sei molto arrabbiato. Qualcuno che rispetti e “accompagni” quello che senti, non che cerchi di tagliarlo prepotentemente. Sii qualcuno empatico e amorevole, qualcuno che ha la certezza che presto tutto andrà meglio.

dott.ssa Natalia Nilo Acevedo

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA CRISTINA BUONAUGURIO

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