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Francia, il Consiglio di Stato ribadisce il divieto di assemblee liturgiche

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Agnès Pinard Legry - pubblicato il 12/11/20
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Caduto nel vuoto il ricorso di molti vescovi presso il massimo vertice di appello civile, i preti sono costretti a organizzarsi altrimenti per permettere ai fedeli di continuare ad esercitare la loro vita cultuale.Davanti alla proibizione delle messe pubbliche, confermata dall’ordinanza del Consiglio di Stato del 7 novembre, numerosi cattolici oscillano tra il disorientamento e l’incomprensione. Sentimenti largamente condivisi, se si sta a quanto compare nel trend topic #RendezNousLaMesse su Twitter.


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A Nantes come a Versailles o a Lione, nello scorso fine-settimana ci sono stati raduni di fedeli davanti alle rispettive cattedrali per reclamare la possibilità di tornare fisicamente a messa. Se quello di Versailles era nato da un appello lanciato il giorno stesso sui social da alcuni studenti, quello di Nantes era stato preventivamente autorizzato dalla Prefettura.

Se alcune parrocchie parigine hanno lasciato aperte le porte delle chiese, la scorsa domenica, all’ora della messa, per permettere a quanti lo avessero desiderato di raccogliervisi a titolo individuale, altre – come nello scorso lockdown – si sono rimesse a diffondere la messa in diretta, con la presenza fisica in chiesa delle sole persone necessarie alla buona diffusione tecnica. Altri ancora, come a Lione, hanno proposto messe limitate a dieci persone «previa iscrizione».



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«Non ci si può divertire nell’essere a margine, a giocare coi limiti», assicura ad Aleteia padre Leraitre, parroco di Sainte Marie des Batignolles, nel XVII arrondissement parigino.

Lo scopo non è andare contro una decisione ufficiale, ma fare come possiamo per vivere ciò che per noi è essenziale.

Diffusa in diretta, la messa è stata dunque celebrata a porte chiuse, domenica scorsa. Per consentire ai fedeli di vivere sacramentalmente l’eucaristia, egli ha proposto e continuerà a proporre a chi lo desidera un’ora di adorazione alla fine della messa «al fine di unirsi e fare corpo». Nel corso di quest’adorazione, è possibile un accompagnamento sacramentale personale, «che sia per una discussione, per la confessione o per la comunione». Anche a Lione diverse parrocchie hanno proposto a quanti avevano seguito la messa online al mattino di recarsi al pomeriggio in parrocchia per vivere un momento di adorazione e ricevere il sacramento del perdono. «Abbiamo anche avuto la possibilità di fare la comunione, cinque alla volta, in una cappellina di fianco», ha raccontato una parrocchiana.


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Nelle Yvelines, diverse parrocchie hanno già iniziato a proporre le fasce orarie, per permettere ai fedeli di fare la comunione malgrado la sospensione delle messe pubbliche. La diocesi di Versailles ha effettivamente ricordato che nel quadro dell’accoglienza individuale dei fedeli i preti devono valutare, «secondo il contesto pastorale loro proprio» il miglior modo di assicurare il legame dei fedeli con l’Eucaristia, la domenica e in settimana:

con tempi di adorazione del Santissimo Sacramento esposto o mediante la distribuzione dell’Eucaristia fuori dalla messa. Si farà allora riferimento alla forma breve del rito proposto ne Il culto eucaristico fuori dalla messa (no 42 ss.).

«Invito i miei preti a lasciare aperte le porte delle loro chiese, anche quando celebrano la messa privatamente», dichiara ad Aleteia mons. Marc Aillet, vescovo di Bayonne, Lescar e Oloron.

Alcuni fedeli possono naturalmente essere presenti, ma in numero limitato per garantire il rispetto delle regole sanitarie.

Il prete che celebra la messa privatamente non ha canti, non ha risposte dell’assemblea da attendere né fa l’omelia. In questo caso specifico, le persone presenti in chiesa non ricevono la comunione nella messa, ma possono chiederla alla fine, quando il prete ha terminato di celebrare. Più in generale, egli invita i fedeli «a partecipare ad appuntamenti connessi con l’eucaristia», come l’adorazione o le visite al Santissimo, magari con supporto di Parola di Dio. Proibire l’eucaristia? «Certamente no!», riprende mons. Marc Aillet, il quale volentieri riconosce che nella sua diocesi c’è meno rischio di sovrappopolamento delle chiese che in altre, e che del resto riconosce il bisogno dei fedeli. «Ma l’eucaristia non è un atto su cui si possa rivendicare un diritto. È un dono, non un debito».

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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