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La chiusura delle scuole e il prezzo che i giovani stanno già pagando

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Paola Belletti - pubblicato il 05/11/20
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Il CTS mette in guardia il governo dai rischi per la salute causati non dal Covid-19 ma dalla didattica a distanza. I danni non solo di apprendimento, ma anche psicologici e sociali ci sono e avranno effetti a lungo termine

Oltre al fatto che da DAD (Didattica a Distanza) sia diventata DID (Didattica Integrata Digitale) per i ragazzi non è cambiata, non cambierà per niente. E' sempre lei, la scuola fatta allo schermo. Quella che ha ispirato e ispira decine di youtuber e che ha catalogato almeno 10 tipi di insegnanti (quello che sta incollato alla webcam, quello che urla, la prof un po' svagata e sexy, quello che minaccia anche da remoto, quello che un po' se ne frega, quello che balla e si beve il caffè...). E svelato altrettanti trucchi usati dai ragazzi per fingere di seguire la lezione o di saperla (post it fuori campo, complici in piedi dietro lo schermo, cellulari nascosti). E' sempre lei, la dad, la videolezione: quella che si fa seduti in cameretta, possibilmente non sul letto, con almeno i denti e il viso lavati e non in pigiama. Vero, Martina?

Una delle mie figlie, la primogenita, è collegata online ormai da un mese perché il suo istituto superiore si era già- faticosamente!- organizzato con una complessa coreografia di orari, accessi e uscite scaglionati, lezioni a distanza e in presenza. Uno sforzo encomiabile e comune a tutte le scuole, compiuto per garantire agli insegnanti e a tutti gli studenti, dalla prima alla quinta, un'esperienza scolastica almeno accettabile.

Lasciamo stare le mancate decisioni con relativa messa in campo di risorse necessarie a renderla davvero sicura, a cominciare dal tragitto casa-scuola. Soprassediamo, è il caso di dire, sull'arrivo -accolto con prevedibile goliardia dai ragazzi- dei banchi con le rotelle ma senza un minimo di criterio ergonomico. Teniamo conto della continua incertezza che tutti ci tiene sospesi e che, per una certa quota - e solo per quella- non è imputabile a nessuno, se non al virus e al suo andamento.

Ma dopo tutti questi sforzi, ricaduti tanto sulla scuola quanto sulle famiglie, martiri silenti di questa pandemia, ecco che ci si ritrova daccapo. Che non è come trovarcisi per la prima volta, è peggio.

Il 3 novembre, dunque, è stato firmato il DPCM che entrerà in vigore dal 6 novembre al 3 dicembre prossimo. Quello che già consociamo un po' come decreto Risiko, con l'Italia divisa in tre colori e con regole diverse a seconda del livello di allerta rilevato sul territorio. Tra le restrizioni, per le zone rosse, la didattica a distanza dalla seconda media all'università è una delle più difficili da digerire; salvata almeno la scuola in presenza per i bambini dell'infanzia, delle elementari e della prima media (vedo che quando si tratta di emergenze le cose si dicono ancora alla vecchia: la secondaria di primo grado sono pur sempre le medie).

Meglio che niente, la DAD; ma deve essere un dignitoso e il più possibile breve surrogato. Portasse come frutto anche solo questa consapevolezza diffusa dovremmo esserne contenti: nessuno impara da solo, nessuno cresce se non in una relazione e la relazione richiede prossimità.

Per quel poco che so da esperienze dirette di insegnanti davvero dediti al loro lavoro, tanti ancora si dovevano riprendere dal carico di lavoro e stress subìto nel primo lockdown. Tanti di loro sono anche madri o padri di famiglia, quindi immaginiamoci il mix esplosivo: mamma fa l'appello o interroga in soggiorno, mentre butta l'occhio al ragù messo a cuocere; il figlio alle medie alla scrivania in camera da letto che si barcamena tra classroom, codici di accesso che non trova, microfono da disattivare, avvio di Meet e chat sottobanco coi compagni.

Ciò che si è cercato di salvare, sia come scuola, quella fatta di insegnanti e presidi con anni di esperienza e di generosissimi "precari", sia come famiglie spesso colpite nel lavoro e nella stabilità, è il bene integrale dei nostri ragazzi. Quello che fa soffrire, ora, è proprio il vederlo dis-integrato.

Un benessere che non venga negato del tutto dalle condizioni chiaramente eccezionali della pandemia. Un bene intero, quello della vita dei nostri figli così preziosa e così degna di cura, che forse viene negoziato troppo facilmente. Davvero non c'era altra soluzione? Parliamo di tutela della salute: bene, consideriamola tutta.

Il CTS ha lanciato un serio allarme. Leggiamo su Repubblica che per voce del presidente dell'Iss, Silvio Brusaferro, che la "didattica a distanza non è un tabù ma deve essere solo di breve periodo" (Rep, 5 nov 2020, p. 19)

E il pediatra Alberto Villani e il pneumologo Luca Richeldi chiedono sia messo a verbale che esistono eccome rischi psicologici per i ragazzi dai 12 ai 19 anni legati alla pandemia e alla sua gestione. E' facile corroborare le loro ipotesi con la semplice osservazione da genitore. I nostri ragazzi stanno perdendo tempo, contatti, occasioni. Perdono la bellezza di una relazione, persino quelle un po'ostiche, persino quelle con quel professore "che mi ha preso di mira". Perché è quello il medium di ogni apprendimento serio e duraturo. La motivazione non si innesca senza coinvolgimento, l'intelletto non funziona sospeso ad una connessione di soli dati: servono rapporti, servono relazioni asimmetriche, quelle per cui uno è maestro e l'altro discepolo, servono confini, luoghi e ritmi.

Rincara la dose il pediatra Giorgio Tamburlini presidente del Centro per la salute del bambino di Trieste,

E' evidente che il bene della vita, meglio, delle nostre vite così interdipendenti, e il rischio di un contagio fuori controllo devono incidere imperativamente sulle altre dimensioni. Non fino ad annullarle, non senza aver tentato una mediazione.

Il presidente Conte ha dichiarato che non appena i dati sulla curva epidemiologica ce lo consentiranno le scuole saranno le prime a trarne beneficio e si tornerà tutti in presenza. E mi pare una considerazione condivisibile e responsabile. Con tutti i dubbi e le possibili critiche che si possono, anzi si devono muovere a chi è al governo, non dimentichiamoci che hanno una enorme responsabilità sulla vita del nostro paese. Come cristiani abbiamo il dovere e il potere di pregare per loro.

Nel frattempo assistiamo a questo paradosso per cui i nostri figli diventano quasi hikikomori preterintenzionali e per decreto governativo. Perché alla mancanza di rapporti un poco ci si abitua, agli imbarazzi che non si devono più vincere anche. Ci si affeziona alla riduzione del rischio di un rifiuto altrui, di un dolore, di un attacco.

Ah, magari il tema fosse ancora il caro, vecchio, sano bullismo, ma in presenza! E' un'iperbole, non è vero proprio per niente. Ma è per dire che la relazione non è mai un accessorio e che lo schermo la mortifica. E' per dire che siamo esseri sociali fino in fondo ai talloni e in ogni sinapsi del nostro cervello. E soprattutto lo siamo nella nostra dimensione spirituale che ha bisogno del corpo per esprimersi.

Perdere giorni di formazione di qualità provoca un danno economico nel lungo periodo. Ne ho sentito parlare ieri sera su Radio24, ne scrivono i giornali. Qualcuno si è preso la briga di fare due calcoli (sarà qualcuno che la scuola l'ha frequentata con profitto e presumibilmente senza troppa DAD?). E così ha scoperto che per ogni giorno in meno di formazione vera corrisponde una perdita di euro di stipendio del futuro lavoratore. Autore dell'analisi la Fondazione Agnelli, nello specifico il direttore Andrea Gavosto, e la ricercatrice Barbara Romano.

Pare che, sulla base dei loro conti, le 14 settimane già perse di scuola e non sufficientemente supplite dalla DAD, significheranno perdite future di ciascuno studente pari a 21.197€.  I calcoli sono eseguiti su un modello USA e non sembrano in realtà tanto precisi né del tutto disinteressati. Di sicuro non è con questa sorta di intimidazione matematica che si troverà la soluzione. Ci basti considerare come positivo almeno l'approccio: la privazione di condizioni di apprendimento adeguate ha un costo elevato e a lungo termine. 

Per la verità, per rendersene conto, basta uno sguardo storico: come è stata ridotta la scuola italiana in questi decenni? Con quanta asfissiante burocrazia è stata ingessata? Quanto pesano già i criteri di formazione e assunzione del corpo insegnanti, la totale assenza di vera meritocrazia, la responsabilità in capo ad un dirigente che non sia un passacarte o uno smista-problemi?

Ultima domanda: quanto era necessario e urgente approvare una legge, per ora alla Camera, il cosiddetto DDL Zan contro una inesistente omo lesbo bi transfobia, farcita di misoginia e cosiddetto abilismo, con la quale assicurarsi interventi scolastici di indottrinamento ideologico?

La scuola, lo abbiamo sotto gli occhi tutti, ha bisogno di tutt'altro e da questo tipo di ingerenze, invece, occorre difendersi.

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