I bambini che aspettano i propri genitori sono anche quelli delle adozioni internazionali. L’Italia è tra i paesi più generosi, ma le coppie adottive vanno aiutate.
Bambini senza i genitori: non solo figlie della GPA
C’è stato lo scandalo, e c’è ancora, dei bambini nati da madri surrogate e rimasti bloccati nei paesi dove i costi hanno delocalizzato la loro produzione. Si sono indignate madri di desiderio, direttori commerciali di cliniche ucraine, agenti che lucrano su questo traffico. E quello dell’ospedale Venezia a Kiev è solo uno dei tanti terribili ingorghi logistici. Ma se l’escamotage di far realizzare fuori dai confini nazionali il proprio bambino perché entro gli stessi è un reato perseguibile penalmente è poi risolto in nome della pietà umana, perché i bambini che oltre quegli stessi confini aspettano i proprio genitori adottivi non se li fila nessuno o quasi?
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Non sarà mica colpa dei genitori adottivi che non si impegnano a esprimere la loro genitorialità di desiderio come gli altri, quelli che “le frontiere chiuse non ci consentono di abbracciare i nostri bambini”? Va bene, l’incipit rabbioso e sarcastico può considerarsi concluso. Veniamo ai dati e ai giudizi autorevoli su di essi.
Crisi economica, crisi sociale, crisi demografica
Ebbene sì, la crisi generalizzata da Covid19 ha colpito non solo tutti i settori economici ma anche la natalità e in senso più lato la presenza di figli nel nostro popolo: uno dei settori più offesi dalla crisi sanitaria è stato quello delle già abbastanza eroiche adozioni internazionali. Ma va riconosciuto che questa tendenza era già avviata da prima dell’entrata in scena del coronavirus.
Negli ultimi anni la disponibilità della coppie ad adottare è diminuita progressivamente, sia per ragioni economiche sia per la crescente diffidenza nei confronti delle adozioni di minori provenienti da Paesi stranieri.
Così almeno emerge dall’osservatorio parziale ma significativo della provincia di Brescia:
nel 2018 sul territorio bresciano le richieste arrivate alle Asst (Spedali Civili di Brescia, Franciacorta e Garda) e raccolte da Ats dono state 56, la metà rispetto al 2017. E 26 le procedure avviate. Per il 2019 il dato si è fermato a dieci adozioni internazionali. Ancora meno nel 2020: zero (corriere.brescia.it)
La pandemia si abbatte anche sulle adozioni internazionali
Il colpo di grazia è invece da imputare proprio alle restrizioni da lockdown generalizzato:
nonostante alcune coppie abbiano ricevuto il via libera tra gennaio e febbraio, le pratiche relative alle adozioni sono state sospese durante il lockdown. La pandemia ha inciso anche sui viaggi delle coppie adottive: per le adozioni internazionali sono previste infatti trasferte nei Paesi di origine dei minorenni, ma per le coppie idonee non è stato possibile partire e gli stessi Paesi di origine (parliamo soprattutto di India, Brasile, Russia e gli Stati africani Camerun e Senegal) hanno interrotto le procedure a causa dell’emergenza sanitaria. (Ibidem)
L’adozione è la vera surrogazione, quella nobile
I soggetti autorizzati a operare nell’ambito delle adozioni internazionali hanno continuato a lavorare fino alla metà di febbraio. Quello che stupisce proprio per il fatto che non stupisca massivamente è che si dia voce quasi solo ad altri legami interrotti: legami che non sono destinati a surrogare davvero, nel senso nobile del termine, a farsi carico, a supplire con umiltà e coraggio ad un legame naturale spezzato. In sintesi buca di più la storia di una GPA strapagata che quelle di decine di genitori adottivi in attesa di accogliere i propri figli.
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È stato pubblicata i primi di ottobre, dalla Commissione per le Adozioni Internazionali, la Relazione al Parlamento sullo stato delle adozioni in Italia.
Il documento, a firma del Ministro della Famiglia e delle Pari Opportunità Elena Bonetti, in qualità di Presidente della CAI, illustra l’andamento delle adozioni internazionali in Italia nel periodo 2001-2017 e dedica una specifica sezione agli anni 2018-19. (Aibi)
Siamo ancora al secondo posto, dopo gli USA
Un settore che seppur sta vivendo un momento di profonda crisi a livello mondiale, vede ancora oggi l’Italia al secondo posto, dopo gli Stati Uniti per numero di ingressi.
I motivi del calo delle Adozioni Internazionali
I motivi del calo delle adozioni, si legge nel documento, sono molteplici e da ricercare più nella “offerta” che nella “domanda”. Infatti: “Pur essendovi stata una diminuzione delle domande di adozione rispetto agli anni passati, queste sono sempre di gran lunga superiori ai bambini destinati all’adozione internazionale, il cui carattere sussidiario si è andato progressivamente accentuando nel corso del tempo. Permane però l’idea – continua la CAI, Commissione Adozioni Internazionali- che l’adozione sia un diritto che deve sempre essere soddisfatto e non invece una mera disponibilità ad accogliere minori in stato di abbandono”. (Ibidem)
I fattori della crisi sono quindi diversi:
Il desiderio delle coppie di adottare bambini piccoli, possibilmente sani, minori che oggi “sono quasi scomparsi dal panorama adottivo”.
Un numero di bambini destinati dai Paesi di origine all’adozione, sempre più ridotto perché, come sottolinea la CAI: “Sovente i Paesi stranieri tendono a privilegiare forme di protezione dell’infanzia sul territorio”.
Pressioni di alcune ONG per la chiusura dell’adozione internazionale
“Le pressioni della comunità internazionale e di alcune ONG – che spiega la Commissione – hanno spinto, all’esito di alcuni scandali (Regno di Cambogia, Nepal, Repubblica Democratica del Congo), nella direzione della chiusura dell’adozione internazionale”.
Il bambino non è al centro ma è funzionale al desiderio di famiglia degli adulti. Questo è un serio ribaltamento di prospettiva che ha inciso progressivamente sul calo delle richieste di adozione.
Una cultura che tende a privilegiare a tutti i costi il legame biologico: “rispetto al diritto del bambino ad avere una famiglia anche diversa dalla propria, principio invece che ha ispirato la nostra Legge 184/83”. (Ibidem)
Calo delle adozioni internazionali: quali conseguenze?
Questa tendenza significa meno bambini in Italia che vengano a dare linfa vitale a un popolo moribondo ma soprattutto significa per loro, per quei bambini, abbandono. Cionondimeno l’Italia continua ad eccellere per disponibilità ad accogliere e farsi carico proprio dei bambini più fragili e malati.
Le famiglie italiane spiccano, nel panorama mondiale, per la capacità di accoglienza e per la disponibilità ad accogliere e farsi carico dei bambini più fragili, ed è per questo che i nostri numeri rimangono alti”. (Ibidem)
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Cosa si può fare per cambiare rotta?
È giunto il momento di un’attenta riflessione per indirizzare un cambiamento nella normativa e nelle politiche dell’Adozione Internazionale.
Le coppie disponibili all’adozione possono essere aiutate a comprendere cosa implicherebbe accogliere bambini malati o con esigenze speciali: se adeguatamente preparate e sostenute dai servizi sicuramente molte di esse si scoprirebbero in grado e allargherebbero volentieri il cuore anche a questi bimbi.
“Nella fase pre-adozione deve essere rafforzata la preparazione delle coppie ad accogliere bambini con special needs, che rappresentano la maggioranza dei minori adottati – suggerisce il Ministro Bonetti nella relazione – A questo fine andrebbero incrementate le risorse dei servizi pubblici per la creazione a livello regionale di équipe specializzate in materia di adozione. Analogamente deve essere posta maggiore attenzione al post-adozione la cui competenza oggi è suddivisa tra servizio pubblico ed Enti Autorizzati, entrambi allo stato attuale insufficienti. Peraltro la scelta – se avvalersi dell’uno o dell’altro – è lasciata alla libera valutazione dei genitori adottivi”. (Ibidem)