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“Una via verso il discepolato”: il Cavaliere Supremo dei Cavalieri di Colombo sul beato Michael J. McGivney

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John Burger - pubblicato il 31/10/20
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Per Carl Anderson la beatificazione dovrebbe promuovere l’interesse per la “fraternità che cambia la vita”Nel suo rapporto annuale presentato alla Convenzione Suprema dei Cavalieri di Colombo quest’estate, il Cavaliere Supremo Carl A. Anderson ha affermato che attraverso il genio spirituale di padre Michael J. McGivney i Cavalieri di Colombo “sono diventati un modo per gli uomini cattolici per trasformare gli amici in fratelli – fratelli che si prendono cura l’uno dell’altro”.

Mentre Anderson e i Cavalieri si preparavano per la beatificazione di padre McGivney, che avrà luogo questo sabato a New Haven, il Cavaliere Supremo ha parlato con Aleteia del significato di questa pietra miliare – per lui personalmente, per i Cavalieri e per la società.

Anderson è il chief executive officer e presidente della più grande organizzazione cattolica di servizio fraterno al mondo, con quasi 2 milioni di membri. Prima di diventare Cavaliere Supremo nel 2000 ha svolto vari incarichi nella vita pubblica e nella Chiesa, servendo ad esempio come assistente speciale del Presidente Ronald Reagan e come acting director dell’Ufficio per le Relazioni Pubbliche della Casa Bianca. Ha anche fatto parte della Commissione Statunitense per i Diritti Civili.

Dal 1983 al 1998, Anderson è stato visiting professor di Diritto di Famiglia del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso la Pontificia Università Lateranense di Roma. Nel 1988 è stato vice-presidente e primo decano della sezione di di Washington, D.C., di questa scuola di teologia ora presso la Catholic University of America.

È autore del best-seller del New York Times intitolato A Civilization of Love: What Every Catholic Can Do To Transform The World e di numerosi altri libri. In Vaticano è stato membro della Pontificia Accademia per la Vita e dei Pontifici Consigli per i Laici e della Famiglia.

Ci può raccontare come ha conosciuto padre McGivney nel corso degli anni, come cattolico, come cavaliere e come Cavaliere Supremo? Quale effetto ha avuto la sua devozione nei suoi confronti sulla sua vita e su quella della sua famiglia?

Il mio rapporto con p.McGivney è diventato più personale e più intenso nel corso degli anni, pregandolo. A questo punto, direi che è quasi un membro della mia famiglia. Soprattutto con la responsabilità della guida dei Cavalieri di Colombo – in un certo senso la sua organizzazione – mi rivolgo molto a lui, che si tratti di prendere decisioni o quando si tratta di compiere scelte difficili, per ricevere la sua intercessione e capire cosa fare.

Si preoccupa davvero molto della vita familiare, e quindi, come abbiamo visto con il miracolo con il piccolo Schachle, direi che p. McGivney è una parte importante della nostra vita di preghiera.

Nel momento in cui guardiamo a quello che stiamo facendo con il rinnovamento delle parrocchie e del sacerdozio in questo Paese e auspichiamo la riapertura di tante nostre parrocchie dopo la pandemia, ancora una volta p. McGivney è un parroco modello sicuramente fonte di ispirazione. Ha ispirato molti dei nostri sacerdoti-cappellani e sacerdoti-membri, e questo è molto confortante.

Il fatto, poi, che p. McGivney sia morto come tanti Americani scomparsi durante questa pandemia, visto che è stato vittima di una pandemia nel 1890 – l’influenza russa o influenza asiatica –, ci ha colpito, per il fatto di vedere le nostre famiglie soffrire nello stesso modo. Abbiamo qualcuno a cui possiamo rivolgerci che capisce davvero cosa stiamo passando.

Penso che in tutti questi modi egli abbia fatto una grande differenza nella nostra vita.

Cosa significa per i Cavalieri di Colombo che ora venga beatificato?

Tanti nostri membri hanno una devozione molto forte nei confronti di p. McGivney, e quindi è un grande incoraggiamento dal Cielo che sia stato intrapreso questo passo importante. Penso che sia anche una conferma della chiamata che ha rivolto ai laici a condurre una vita dedita a carità, unità e fraternità. Quando si pensa ai grandi ordini della Chiesa cattolica, che si parli di Francescani, Domenicani, Gesuiti o Benedettini, sappiamo tutti cosa significa: sono uomini che hanno preso i voti e vivono in base a questi. Ma dove sono i laici in tutto questo scenario? Dov’è il laico che deve andare a lavorare nel mondo, che dev’essere attivo nella sua parrocchia e sostenere la famiglia? Ecco p. McGivney, con una fraternità per laici che vivono nel mondo con una famiglia e una via di discepolato basato su carità, unità e fraternità. È un passo enorme, e penso che abbia cambiato la vita di milioni di uomini cattolici negli Stati Uniti e in tutto il mondo – in Canada, in Messico e in altri luoghi.

Penso che questo sia parte di ciò che significa questa beatificazione – una conferma di questo tipo di via di discepolato. E penso anche che sarà un’occasione per compiere un’analisi. La Chiesa ora presenta p. McGivney come una persona che può essere imitata, che dovrebbe essere imitata, e misuriamo la nostra vita rispetto alla sua vita di santità, venendo forse incoraggiati a colmare un po’ la distanza.

Parliamo di un uomo del XIX secolo, ma è difficile sfuggire al fatto che ora viviamo nel 2020, in un mondo pieno di divisioni e di molti altri problemi. Cos’hanno da dire al nostro mondo – e non solo ai cattolici – la sua vita e il suo esempio di santità?

Si pensa che ci sia molta differenza tra il XIX secolo e oggi, ma quali erano i problemi che ha dovuto affrontare? Povertà, crimine, violenza, divisione… E oggi ci guardiamo intorno e vediamo che anche se le forme sono magari diverse, c’erano molti pregiudizi nei confronti degli Irlandesi e degli immigrati. Ora ce ne sono molti nei confronti di altri immigrati. Violenza: la vediamo nelle strade, anche questa settimana. Anche alla sua epoca c’era sicuramente violenza nelle strade.

Qual è stata la reazione? Avrebbero potuto essercene molte. Avrebbe potuto essere “Rispondi alla violenza con la violenza”, o “Ritiratevi in un ghetto”. P. McGivney ha detto: “No, non faremo nessuna di queste cose. Vincercemo il male con il bene, con un senso di fraternità, con un senso di carità. Non ci tireremo indietro. Andremo avanti in questa società, e i nuovi immigrati cattolici che arrivano faranno la differenza in senso positivo in questa società”.

Penso che la vera tentazione in qualsiasi periodo di immigrazione – e lo vedeva anche p. McGivney, perché anche molti uomini della sua parrocchia erano tentati in questo senso – sia quella del tipo “Vuoi andare avanti? Vole spalle al tuo cattolicesimo. Unisciti a una società segreta non cattolica, o anticattolica. È così che si va avanti nella società americana. Abbandona quello che ti distingue, e unisciti alla folla”. P. McGivney diceva “No, manterremo la nostra eredità cattolica, la nostra fede cattolica, e allo stesso tempo saremo buoni cittadini americani. Non bisogna rinunciare al proprio cattolicesimo per essere un buon americano”.

Penso che questa possa essere anche una tentazione di oggi per molti immigrati cattolici che arrivano nel Paese. Forse non vedono una società fortemente protestante com’era l’America del XIX secolo, ma si trovano di fronte a una società sempre più secolare. E vogliono diventare buoni americani, vogliono integrarsi nella società americana. E allora sorge il problema: per farlo devi rinunciare alle tue tradizioni cattoliche, alla tua eredità cattolica, alla tua identità cattolica. I Cavalieri di Colombo hanno detto di no, che si possono fare entrambe le cose. Si dovrebbero fare entrambe. Questo è forse uno dei punti più importanti al giorno d’oggi.

Stiamo celebrando la beatificazione. Quali sono le prospettive per la canonizzazione? C’è qualche favore che potrebbe essere considerato un possibile miracolo?

Il processo è cauto, prudente. Dobbiamo aspettare la beatificazione e poi cercare un secondo miracolo. Se anche ne avessimo uno oggi non penso che conterebbe, perché ne abbiamo bisogno da domenica, dopo la beatificazione.

Pensiamo un momento a tutto il processo, al fatto che abbiamo aperto la causa nel 1997 e il primo stadio è stato seguire tutto l’iter, vedere se c’era qualche motivo per non procedere in quella direzione. Abbiamo trovato il semaforo verde, per andare avanti.

Il passo successivo è stato preparare un documento – in latino si chiama positio – per spiegare la sua santità di vita e le sue virtù eroiche. Se questo viene accettato, allora la persona riceve il titolo di venerabile Servo di Dio, che p. McGivney ha raggiunto.

Il miracolo per la beatificazione è una sorta di ratifica celeste del fatto che ci si sta muovendo nella direzione giusta. È quello che abbiamo raggiunto. Permette una sorta di devozione limitata a p. McGivney nella liturgia, soprattutto nell’arcidiocesi di Hartford, ma anche in altre diocesi in cui sono attivi i Cavalieri di Colombo.

È un processo graduale. Una volta che si segue, se c’è un secondo miracolo la Chiesa può giungere alla conclusione “Sì, è una vita santa. Questa è una persona la cui vita può essere presentata alla Chiesa universale perché venga imitata e per la devozione”.

Perché speriamo questo? Perché attualmente i Cavalieri di Colombo si trovano in Canada, Messico, Filippine – nelle Filippine abbiamo quasi mezzo milione di membri. E negli ultimi 10-15 anni ci siamo introdotti in Polonia, Ucraina, Lituania, Francia, Corea del Sud… Sentiamo dire sempre più dai laici e dai sacerdoti “P. McGivney è davvero una persona che ci ispira. La sua vita di carità e unità è molto importante nella nostra vita”.

E allora pensiamo che abbia quel fascino internazionale, universale, in base a quello che possiamo dire della storia dei Cavalieri di Colombo.

Questa beatificazione è sicuramente una pietra miliare nella storia dei Cavalieri e nella sua carriera – è Cavaliere Supremo ormai da vent’anni –, e lei deve esserne molto felice. Quali sono le prospettive circa la crescita dell’ordine e lo sviluppo negli anni a venire?

Penso che ci ponga su un nuovo livello, e dovrebbe farlo. È questo l’obiettivo delle beatificazioni e delle canonizzazioni. Non è per il bene del santo: non si può fare di meglio che stare in Paradiso. È per il nostro bene.

La mia grande speranza è che i membri dei Cavalieri di Colombo guardino a p. McGivney e dicano che è una via di discepolato che gli uomini cattolici troveranno davvero in grado di cambiare la loro vita. Unitevi ai Cavalieri, imboccate questa via di discepolato e fate la differenza nel mondo, in una fraternità dedita alla carità e all’unità, e vedete come rafforzerà la vostra famiglia, la vostra parrocchia e la vostra comunità. Penso che più uomini lo faranno, più vedranno che è davvero un modo per fare la differenza.

Ovviamente nella pandemia, con il distanziamento sociale e tutte le varie restrizioni, la nostra vita comunitaria si è un po’ contratta, ma una volta che lo avremo superato penso che i Cavalieri andranno avanti in modo rinnovato, più profondo. Ancora una volta, è una questione di servire la Chiesa e la comunità, e penso che i Cavalieri siano pronti a svolgere un ruolo ancor maggiore in futuro.

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