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Don Luigi Lenzini, il sacerdote martirizzato dai comunisti, presto sugli altari

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Lucandrea Massaro - pubblicato il 28/10/20
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Nel dopoguerra modenese essere un prete fedele a Cristo poteva costare la vitaIl linguaggio è quello asciutto dei comunicati stampa, ma è sempre festa quando una storia di testimonianza cristiana viene glorificata e riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa:

Il 27 ottobre 2020, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Durante l’Udienza, il Sommo Pontefice ha autorizzato la medesima Congregazione a promulgare i Decreti riguardanti:

– il martirio del Servo di Dio Luigi Lenzini, Sacerdote diocesano; ucciso, in odio alla Fede, a Crocette di Pavullo (Italia) nella notte tra il 20 e 21 luglio 1945;



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Chi era Don Luigi Lenzini?

Un sacerdote, nato alla fine dell’800 in terra emiliana, da una famiglia benestante, il padre un medico la madre lo tira su come un buon cristiano e lui con gioia a 17 anni prende la talare e va a studiare in seminario.
A 23 anni viene ordinato sacerdote e celebrata la prima S. Messa nella sua Fiumalbo – tra la gioia dei suoi cari e dei concittadini-, viene mandato vice-parroco prima a Casinalbo, quindi a Finale Emilia, dove resterà sei anni. E’ un giovane prete colmo di amore a Dio che lo spinge ogni giorno di più a essere apostolo del Redentore in mezzo, ai fratelli. In Italia, in particolare in Emilia, in questi anni, dilaga il socialismo, ateo e materialista, che si propone di sradicare la Fede cattolica. Fin da giovane si troverà a dover confutare il materialismo ateo dei marxisti di quella regione, uno sgarbo che – visti gli esiti – gli costerà caro.

Nei suoi diari di sacerdote ritroviamo questa riflessione piena di amore per l’Eucarestia:

“So di essere alla tua presenza, o Gesù mio, e benché con gli occhi non ti veda, pure la Fede mi dice che Tu sei lì in quell’Ostia, vivo e vero, come lo fosti un dì sulla terra. Sì, lo credo, o Gesù, più che se ti vedessi con gli occhi, e sapendo di essere alla tua reale presenza, il mio primo dovere è di adorarti. Ti adoro con lo spirito di adorazione con cui ti adorò tua Madre, quando ti vide nato nella grotta di Betlemme. Voglio la Fede e la carità del tuo padre putativo S. Giuseppe per adorarti come meriti. Ti adoro con le adorazioni dei tuoi Apostoli e soprattutto con quella del tuo diletto Pietro, quando ti disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Fa’, o Gesù, che la mia adorazione non si limiti a questo giorno, ma che il mio pensiero sia sempre vicino al tuo santo Tabernacolo” (sito).

Alla fine del 1937, don Luigi Lenzini si sente chiamato a farsi religioso redentorista a Roma, lascia così Montecuccolo, ma a Roma non resiste a causa dell’età non più giovanile (ha quasi quarant’anni): così nel 1939 chiede e ottiene di poter tornare nella sua diocesi di origina, a Modena. Per 2 anni è cappellano nella casa di cura di Gaiato, servendo Gesù nei malati e ha la gioia, di vedere due giovani – già suoi parrocchiani-, da lui guidati, farsi sacerdoti.



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Tutt’altro che fascista, solo prete

Nel gennaio del 1941, ormai 60enne, è nominato parroco di Crocette, 700 abitanti, nel comune di Pavullo (Modena). Don Luigi è subito benvoluto e stimato da molti della sua parrocchia e del paesello, durante gli anni finali del regime e durante la Resistenza, aiuta i partigiani che rispettano la dignità dell’uomo e nasconde in canonica anche alcuni ricercati. La sua preoccupazione di cristiano è “salvare” chiunque abbia bisogno. Non usa il pulpito per fare propaganda politica per qualche partito, ma esprime con chiarezza, in chiesa e fuori, il suo timore per il diffondersi di ideologie avverse al Cristianesimo: “Se il comunismo ateo avesse a prevalere – afferma con coraggio nelle sue omelie – un giorno sarà anche impedito alle famiglie di battezzare i loro bambini”. Nella notte del 21 luglio del 1945 i comunisti del “triangolo della morte” provano con una scusa a farlo uscire dalla canonica, Don Luigi intuisce subito la trappola e non esce, allora essi armati di scala e mitra entrano nella casa accanto alla chiesa e intimano a chi sta accorrendo di non impicciarsi.

I briganti, introdottisi in canonica, sono assai, pratici dei. luoghi e, scendendo la scala interna, si portano in chiesa e sparano diversi colpi, quindi salgono sul pianerottolo del campanile, dove trovano don Luigi. Lo afferrano – quattro contro uno, buon affare, vero? – e lo strappano via dal luogo santo con brutale sacrilega violenza.
Nel tragitto dalla chiesa verso la morte ormai sicura, don Luigi vive il suo calvario. Gli assassini infieriscono su di lui con sevizie ed efferata crudeltà. Vogliono costringerlo a bestemmiare il suo Dio, quel Dio che lo ha elevato alla dignità più alta sulla terra: “alter Christus”.
Giunto nella vigna a mezzo chilometro dalla chiesa, con il corpo orribilmente straziato, il parroco viene finito con un colpo alla nuca, quindi viene “semisepolto” sotto poca terra, intrisa del suo sangue (Santi e Beati).

Muore, ma poiché muore in Cristo non muore davvero e oggi la sua Chiesa tanto amata si appresta ad accoglierlo, come dicevamo, tra le schiere dei martiri del Signore.

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