Un bambino può imbattersi in pubblicità che rasentano la pornografia, ma da oggi la Disney lo mette in guardia dal guardare un capolavoro come Dumbo. Se questo weekend vi siete concessi un pomeriggio o una serata coi vostri figli a guardare un classico cartone Disney come Dumbo vi sarete accorti che la pellicola è introdotta da questa striscia:
Questo programma include rappresentazioni negative e/o trattamenti errati nei confronti di persone o culture. Questi stereotipi erano sbagliati allora e lo sono oggi.
Così la piattaforma Disney + si adegua alla levata di scudi in tema di razzismo. Dai tragici fatti sulla morte di George Floyd uno tsunami di proteste sta facendo tabula rasa di libri, statue, film.
In buona compagnia
Era già successo a film indimenticabili come Via col vento, tolto dal catalogo della HBO poi riammesso alla visione con un disclaimer iniziale. Si potrà dunque continuare a vedere Miss Rossella, ma dopo aver ascoltato un’introduzione al film in cui si spiega che la pellicola è frutto di un’epoca in cui lo stereotipo sullo schiavismo è lontano dalla riflessione matura di oggi. Ma chiunque abbia davvero visto quel film sa che pilastro di casa O’Hara fosse Mamy nonostante la voce così caratterizzata secondo la macchietta dello schiavo nero.
E’ capitato anche a una scrittrice come Flannery O’Connor. Anche su di lei le ombre del razzismo si sono insinuate in modo molto viscerale e poco ragionato. Alcune librerie di oltreoceano hanno ripulito i propri scaffali da titoli come Il cielo è dei violenti. (… forse qualcuno ha trovato un’ottima scusa per far fuori – o illudersi di – una scomoda penna cattolica).
Faccio mia la riflessione di Davide Brullo letta su Pangea:
La letteratura esiste per turbare, per promuovere la rivolta dentro di sé, per cauterizzare e lottare – è uno sputo in faccia, una rosa in gola, la nudità potente e l’atto impuro. Per questo, gli scrittori, i poeti – a cui non va perdonato nulla, perché niente è assolto e scrivendo si è martiri – vanno ospitati. Se non ci consentiamo la libertà di esprimere ed esplorare gli estremi nella scrittura, siamo destinati alla frustrazione, all’infatuazione per una pallida idea di purezza claustrofobica più che claustrale. Chi igienizza la stanza è degno del vuoto, del noto.
Battaglie ideologiche
Alla parola “letteratura” possiamo aggiungere anche arte, cinema, musica. Una buona causa non si difende buttando giù le statue o igienizzando le stanze, cioé svuotandole. Ed è quantomeno assurdo che nel mondo dell’infanzia proprio quei capolavori che sanno ancora parlare al cuore di tutti debbano indossare la lettera scarlatta di un bollino rosso, mentre altre pellicole ben più scandalose attraversino con spavalderia quella fascia – che dovrebbe essere – protetta.
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E poi a Disneyland i bambini non sono stati affatto protetti, quando le porte del grande parco divertimenti di Parigi si sono spalancate per ospitare il Gay Pride, furbescamente chiamato Magical Pride. Siamo certi che fosse davvero l’anelito all’amore al centro di quella trovata? E perché, inoltre, la Disney ha boicottato lo stato della Georgia quando fu varata una legge a tutela dei nascituri? I diritti LGBT e l’aborto sono priorità che hanno a che fare con una premurosa cura della fantasia dei bambini?
Il panorama è denso di foschia. Dietro le quinte, evidentemente, ci sono spinte ideologiche e dettami moralistici che nulla hanno a che fare con la premura di un racconto animato che stimoli l’immaginazione dei più piccoli. Questo è amaro di per sé e si somma a un altro dato lapalissiano.
Quotidianamente, noi genitori dobbiamo sgranare ben bene gli occhi perché su ogni schermo spuntanto contenuti davvero inadatti per i nostri figli.
Questa nostra realtà assomiglia tanto a una trama distopica in cui un bambino può imbattersi in certe pubblicità che rasentano la pornografia e a cui dovremo dire: «Vieni, ora guardiamo assieme un film proibito e pericoloso: Dumbo!»
Le scene incriminate
Scendiamo nei dettagli e vediamo quali dei cartoni animati con cui siamo cresciuti sono stati messi all’Indice e per quali motivi.
Partiamo dagli Aristogatti. A quanto pare non è la sfacciata bianchezza di Duchessa a impensierire le menti di casa Disney, bensì Shon Gun, il micio siamese che suona il piano con le bacchette e se ne esce con la battuta «Quando fanno il jazz a Honk Kong battono il tempo con il gong». I suoi tratti caricaturali spiccatamente asiatici sono stati giudicati irrispettosi, con buona pace di quel meraviglioso brano che è Tutti quanti voglion fare jazz.
In Dumbo, invece, è l’apparizione dei corvi a essere sotto accusa: sono neri e uno di loro si chiama Jim Crow, lo stesso nome delle leggi che in America che servirono a creare e mantenere la segregazione razziale in tutti i servizi pubblici.
Kipling è uno degli autori che è stato preso di mira dagli studi postcoloniali ed è il classico caso in cui con l’acqua sporca si butta via il bambino. Il suo Il libro della giungla in versione cartoon è un’altra pellicola da bollino rosso: compare l’orango Re Luigi la cui voce motteggia la voce black dei jazzisti. Personalmente, ciò che mi aveva molto rammaricato in quel cartone era il completo fraintendimento del personaggio del serpente Kaa, che nella versione originale di Kipling è un personaggio di grande importanza, e tutt’altro che negativo, nella crescita di Mowgli.
Lilli e il vagabondo: un errore dietro l’altro
La scena degli spaghetti, quella ci resta nel cuore! Eppure in Lilli e il vagabondo c’è più di una scena che è stata giudicata razzista per i tempi in cui viviamo: ci sono quei due pestiferi gatti siamesi che visti con il senno di oggi irridono l’immagine dell’Asia e c’è un canile multietnico che farebbe il verso a russi e messicani.
Anche a Peter Pan va malissimo a causa della scena con gl’indiani d’America, chiamati «pellerossa» e rappresentati secondo lo stereotipo dei selvaggi.
Cortocircuito di voci smarrite
La logica del disclaimer mette a nudo la sempre più grave incapacità di giudizio critico dell’uomo di oggi. Questo è il punto. E per darne una prova lampante basti accennare a un’evidente crepa. Perché oggi la Disney «mette al bando» Dumbo e nel 2017 il film è stato selezionato per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti per essere “culturalmente, storicamente ed esteticamente significativo”?
E resto su Dumbo, solo a titolo esemplificativo. Proprio Whoopi Golberg, che possiamo ritenere voce a fuoco sui diritti degli afroamericani, difese la figura dei corvi neri – che oggi sono sotto accusa – liberandoli dall’infamia di irridere il tema della schiavitù; l’attrice si è dichiarata fan di questi uccelli e voleva che la Disney li valorizzasse:
quei corvi sono coloro che cantano la canzone di Dumbo più conosciuta, più amata e più cantata dal pubblico. (da Disney Fandom)
È evidente che il punto di tutta questa vicenda non ha davvero a che fare col razzismo, con la corretta educazione dei bambini, con il rispetto delle minoranze. Ha solo a che fare con la costruzione di una facciata adeguata. Ciò che conta, ahimé, è solo un’apparenza che si mostri rispettosa dal punto di vista formale degli imperativi che a livello mediatico catturano i riflettori.