Rosarium è un anello che svela l’anima di chi lo indossa: abbiamo una buona notizia da portare al mondo e possiamo raccontarla porgendo semplicemente la mano. «Il metallo è capriccioso, a volte ostile». Vien da pensare a un bambino che pesta i piedi e strilla e s’impunta; vien da pensare a noi dentro la fatica del quotidiano, che stiamo a denti stretti come cani da guardia.
Anime grezze
Un anello adornato di pietre preziose fa sognare una vita liscia, perfetta e luminosa. Niente di più irreale e lontano dalle nostre giornate ruvide e spigolose. Rosarium (puoi acquistarlo qui) non è un anello liscio, perché prima di essere un prodotto di gioielleria è un’ipotesi umana intuita, verificata e amata sulla propria pelle.
Agli occhi di chi è estraneo al mestiere artigianale è paradossale avvicinare l’aggettivo malleabile alla parola metallo: come può un materiale duro assumere la forma morbida e accogliente di un cerchio perfetto? L’ho chiesto all’orafo Maurizio Tini che ha dato mente, mani e anima al successo che oggi è la collezione Rosarium. Immaginandolo nel suo laboratorio, pensavo a quel passo biblico:
Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. – Ezechiele 36, 26
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La pietra dei nostri egoismi può diventare carne, il duro metallo può piegarsi; c’è un’opera in corso nel mondo che Dio pazientemente guida ed è chiamarci a quella malleabilità che Maria ci ha mostrato in tutta la sua libertà e pienezza: «Sia fatta la tua volontà».
Forgiare un anello è sfidare la materia ed è tutt’uno col levigare i propri pensieri, così è il lavoro che mi racconta Maurizio:
Il cervello dell’artigiano è sempre sul banco di lavoro per cercare di raccontare qualcosa di nuovo. Il metallo diventa l’occasione di una sfida e se lo abbini anche a una ricerca interiore, c’è un piacere infinito. Il metallo a volte è capriccioso, ha una sua anima. Se ci sono internamente delle micromolecole che lo disturbano, te la fa pagare.
Fa eco a queste parole Federico, che è parte della stessa squadra di lavoro:
Da artigiano per me non c’è niente di più bello di vedere il pezzo di metallo che da grezzo diventa lucido. Spesso mi accorgo che la gente pensa al nostro lavoro in termini di prodotto finito e dice: «Che sogno è la gioielleria!». Ma dietro lo splendore del prodotto finito c’è tanta fatica e tanto lavoro. Noi, come artigiani, ci mettiamo molto alla prova ed è anche una prova fisica, il metallo non è sempre dolce anzi a volte è ostile.
No, non siamo puri e la mano del Padre fatica a «tirare a lucido» la nostra anima. Quante volte la facciamo pagare a Dio, per tutte quelle micromolecole di ansia, rabbia, malcontento che s’infilano nel nostro io?
Un’idea dentro una storia
Audrey voleva fare colazione da Tiffany perché lì dentro non poteva accaderle nulla di brutto. In una stanza piena di diamanti e oro e voci gentili ci sente felici e protetti. Fuori invece piove, i clacson ti gridano contro, fuori la gente ti ferisce; ma è là fuori il posto in cui Dio ci chiama e dove lui stesso ha camminato.
Anello in inglese si dice ring, parola che a noi fa pensare allo spazio di una sfida, di una lotta. Allora Rosarium è un ring, un anello che è un invito a uscire dalla gioielleria per entrare nella vita in compagnia di Maria. Un anello al dito ci ricorda che la nostra carne è circondata dalla compagnia del Cielo, proprio in virtù della Croce.
In fondo, non c’era nulla da inventare in un rosario che si porta al dito. La vera creatività non è fare qualcosa di inedito, ma sgranare gli occhi per vedere cosa rimane splendente dentro una stanza in cui si abita fin da bambini e Maurizio lo conferma:
Creare Rosarium è stato semplice: è un gioiello essenziale, la sua storia era già scritta (la Croce con le 10 palline era già una storia scritta). La sfida è stata quella di inserire in questa storia un’idea e l’idea è stata il colore. Io mi sono messo alla prova col metallo per vedere a cosa sarei approdato, poi è arrivata l’intuizione dello smalto che è diventato l’anima dell’anello.
Appartenere alla storia che è stata scritta dalla Croce, stare al passo del popolo che cammina da secoli guidato dalla maternità di Maria è un seguire, sì; ma da uomini vivi. È vero per l’orafo come lo è per l’infermiera o l’insegnante: il cristianesimo è questa compagnia antica ma nuova, che chiede a ogni uomo di ridare anima e smalto alla buona notizia di duemila anni fa.
Il cerchio che si chiude
Ogni cristiano rinfresca le pareti della Buona Novella perché la speranza che Dio ci ha affidato non si smorzi fino a sparire. Come si possono ravvivare i colori del Bene in un mondo che trabocca di immagini accecanti fino a nausearci? Siamo bombardati di apparizioni folgoranti su tutti gli schermi, ma è come se i colori parlassero una lingua di cui abbiamo dimenticato l’alfabeto.
Oggi la via per ritrovare quella meraviglia passa dal verbo togliere: e non è un verbo brutto se ci aiuta a moltiplicare il valore e il gusto di un’esperienza. Se i colori sono l’anima di Rosarium (puoi acquistarlo qui), lo sono proprio perché sono ridotti all’essenziale: un tocco di blu al dito è un segno che ridesta la voglia di alzare gli occhi al cielo, un tocco di rosso è una memoria grata a Dio di essersi fatto carne e sangue come noi.
Maurizio ha dato credito a questa chiarezza:
Il colore blu l’ho scelto perché era il cielo e si sposava benissimo con l’argento. Se alzi gli occhi al cielo non puoi non pensare all’infinito, al senso dell’eternità, alla speranza. In senso ancestrale noi abbiamo dentro il senso dei colori, ma oramai è stato condizionato dalle immagini e dalla nostra routine. Non associamo più il colore al suo senso. Il rosso abbinato all’oro è stato l’altra simbiosi potente: il rosso ha un forte impatto cristologico, il Suo Sangue, la Passione. Nell’insieme, il blu e i rosso, sono i due colori della Madonna: nell’iconografia classica Maria ha il vestito rosso e il mantello blu. Quando sono arrivato a mettere in fila tutti questi pensieri, il cerchio si è chiuso: doveva essere così. Noi non cambieremo colori mai.
Ed è tipico di Maria essere presente, senza far rumore. Capita di riconoscere a posteriori che in certi passi fatti c’era l’ombra solerte della sua mano ad accompagnarci.
Indossare è svelare
Il dettaglio fa la differenza; lo sentiamo dire ovunque. C’è una smania di distinguersi dalla massa, di mostrarsi unici a furia di tanti piccoli trucchi che coprono la persona. Proprio questa smania è il grido di un’assenza, è nostalgia della voce di un Padre dimenticato, quello che creando ogni cosa disse che era bella e buona – così com’era. Scoprire, e non coprire, è il verbo che come cristiani possiamo donare al mondo con fiducia rinnovata.
Rosarium non è nato come accessorio, il desiderio di Maurizio era quello di mostrare la sostanza della fede cristiana:
L’anello è nato perché doveva raccontare qualcosa di bello, doveva raccontare un’esperienza e doveva dare forma a qualcosa di sublime che non mi piaceva vedere nascosto. Quando ho cominciato Rosarium, la spinta a farlo così fisico e portante era per fare qualcosa che si vedesse, che avesse un messaggio da raccontare.
In alcuni modelli c’è un diamante o un rubino o uno zaffiro incastonato nella Croce, un dettaglio prezioso e piccolissimo ma tutt’altro che eccentrico. È un messaggio scritto in modo non sfacciato ma sorprendente: ciascuno di noi è un’anima preziosa che Gesù ha portato con sé nel momento del suo sacrificio. Questa è la buona notizia che splende senza bisogno di essere urlata, è ben piantata nel mondo e noi ne siamo testimoni.
Mi piace pensare che Rosarium al dito di una persona lo rappresenta, lo racconta. E cosa racconta? Racconta un’esperienza di vita che si basa sull’alzare gli occhi al cielo. In questo modo noi siamo testimonianza stando zitti. Quando lo indosso si vede chi sono dentro; non mi copre, mi svela.