Ironia e complicità, domande e suggerimenti: 12 lettere scritte a Dio dai bambini che fanno riflettere gli adulti.Quando gli adulti parlano di Dio non è sempre detto che pensino a Dio. Ma se i bambini parlano di Dio, pensano davvero a Lui.
Perciò mi ha incuriosito approfondire uno spunto che è arrivato da quel gran calderone che è Twitter: un utente dall’enigmatico nickname di Sapietem ha pubblicato una serie di immagini in cui campeggiavano frasi di bambini rivolte a Dio. Quei tweet hanno avuto quasi 30mila like e 20mila retweet. Il binomio infanzia & Dio fa tendenza, al punto che anche alcuni giornali hanno acchiappato al volo il trend, costruendo contenuti ad hoc.
https://twitter.com/GospelJosiah/status/1309196612883939335
Ci sono esempi meravigliosi di catechismo proposto attraverso lo sguardo dei bambini, padre Maurizio Botta docet. Ma questo contenuto, buttato nel mare magnum del virtuale, è diverso: non nasce con uno scopo dichiaratemente religioso. Il pubblico che è stato catturato dalle folgoranti domande e intuizioni dei piccoli non è detto che abbia una fede, anzi è probabile che faccia parte di quella grande massa sostanzialmente disinteressata all’argomento religioso nel quotidiano. Magari con un vago sentore che Dio potrebbe esistere.
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Perché un contenuto del genere è diventato virale? Di solito sono ben altri scandali o notizie mondane a scaldare le tastiere. Ho provato a immedesimarmi nel lettore che, smanettando col cellulare, s’imbatte nella voce dei bambini che parlano con Dio e decide di fermarsi un po’ su quelle parole. E credo di poterne desumere che ne tragga un preterintenzionale ripasso di autentico senso religioso, magari un’occasione per far scaturire domande sepolte e non del tutto dimenticate.
Un bestseller
L’autore del tweet che ha innescato la reazione di migliaia di lettori ha pescato le immagini pubblicate da un bestseller del 1966. Si intitola Letters to God e ne è autore lo scrittore e fumettista Stuart Hample; l’opera è stata un successo tale che nel corso degli anni si sono susseguite edizioni rinnovate e ne è stato tratto anche un musical.
È un libro fatto dai bambini, ma è per adulti. Hample ha raccolto intuizioni, domande, riflessioni, osservazioni, preghiere, richieste formulate da bambini che hanno immaginato di poter rivolgersi a Dio. Non si sa né l’età né la provenienza dei protagonisti, compare solo il loro nome. Si potrebbero sprecare fiumi d’inchiostro sull’innocenza dei bambini che apre gli occhi agli adulti. Per non parlare in astratto, ho fatto un esercizio pratico. Prendendo spunto da alcune delle loro spontanee parole rivolte al Padre, ho cercato di starci di fronte a coscienza scoperta per vedere in quale direzione di senso puntavano le loro dita entusiaste.
Il Creatore
Caro Dio, volevi che le giraffe fossero proprio così o è stato un incidente? – Norma
Un primo buon esercizio per l’adulto è smetterla di guardare la realtà come se fosse una cosa normale. Norma ha ragione: non c’è nulla di normale in una giraffa. O è un errore o è una meraviglia; di sicuro non è un caso. Una creatura così strana non fa pensare a una generica Natura, ma a un Creatore vero e proprio che prima immagina poi disegna. Lo stupore dei bambini non è una dote puramente emotiva, se la prendessimo sul serio ci renderemmo conto che è una delle capacità più ragionevoli che anche l’adulto non deve trascurare:
Caro Dio, è fantastico che tu riesca a mettere tutte le stelle al posto giusto – Jeff
Jeff non ha solo constatato che l’universo non è caotico, ma ha anche espresso una preghiera gigante. Il posto giusto, Dio non ha genericamente dato ordine alle cose: ha dato loro il posto giusto. Ed è quello che per una vita intera noi cerchiamo di capire, è la sfida quotidiana. Tu, Padre, mi hai messo qui dove sono; se c’è ordine tra le galassie del cielo, anche io sono qui – in questo ritaglio di terra – perché lo hai pensato per me.
Ma, sempre battendo su questo tasto della Creazione, il bambino è predisposto all’avventura. A noi verrebbe in mente di chiedere a Dio di risolverci qualche problema spicciolo, o di toglierci qualche sassolino dalla scarpa. Non so se saremmo propensi a chiedergli qualcosa di nuovo e inaspettato come, invece, qualcuno desidera:
Caro Dio, perché da molto non inventi animali nuovi? Qui abbiamo solo quelli vecchi – Johnny
Di padre in figlio
Caro Dio, mio nonno dice che gli stavi vicino quando era piccolo. Da quale tempo lontano ci sei? – Dennis
Ecco riassunto il succo del cristianesimo senza scomodare nessun trattato teologico: è un’esperienza che si tramanda di padre in figlio. La Buona Novella è arrivata a ciascuno di noi con una voce che ha il suono familiare delle preghiere recitate con mamma e papà, oppure coi nonni. Trascuriamo questo dato essenziale e nelle discussioni astratte di religione si parla spesso della fede come di un’imposizione o di una struttura. Il suo posto, invece, è nell’esperienza: Gesù raccolse intorno a sé un gruppo di amici con cui condivise le sue giornate e la sua missione. Da quell’amicizia, con tutte le montagne russe di cui l’umano è capace, la voce di Dio è arrivata a nostro nonnno, a nostro padre, a noi.
Le relazioni pericolose
Caro Dio, grazie per l’arrivo del mio fratellino. Ma io avevo chiesto un cucciolo – Joyce
Quando si dice «la bocca della verità!». La parte più enigmatica e aggrovigliata della Creazione è l’uomo ed emerge in modo cristallino dal modo in cui i bambini parlano a tu per tu con Dio delle relazioni umane. L’arrivo di un fratello è un terremoto: è un’invasione di campo che segna l’inizio di un gioco nuovo, senza esclusione di colpi. Non è facile fare spazio a un altro in casa propria. Non è un caso che l’ultima enciclica del Papa sia proprio dedicata al tema della fratellanza.
Caro Dio, forse Caino non avrebbe ammazzato Abele se ciascuno avesse avuto la sua stanza; con mio fratello ha funzionato – Larry
Ognuno al suo posto, insomma. I legami sono un’impresa che tira fuori il meglio e il peggio di noi; la via d’uscita facile per non trovarsi con le ossa rotte è quella delle stanze separate. Ed è una tentazione quotidiana quella di essere cordiali con l’altro, ma non oltrepassando un certo limite di reciproca lontananza. S’intuisce che la rivoluzione di San Francesco, il suo osare chiamare «fratello e sorella» ogni essere del Creato, fu l’opposto di una spontanea esultanza emotiva. La spontaneità ci porta all’opposto del sentirci fratelli.
Caro Dio, scommetto che sia faticoso per te amare tutti nel mondo. Ci sono solo 4 persone nella mia famiglia e io non ci riesco – Nan
La presenza amica
Caro Dio, sei davvero invisibile o è un trucco? – Lucy
Ho letto questa domanda pensando a Chesterton, agli occhi che aveva da giovane adolescente quando scriveva che Dio si nascondeva sotto il mantello verde di una collina. C’è un’avventura immensa nelle parole di Lucy: ognuno di noi può scoprire che dietro ogni piega del visibile c’è l’impronta digitale di un Padre. Lui non è visibile come lo è il semaforo che ci fa frenare bruscamente. Ma c’è con la stessa presenza efficace. Solo talvolta a noi si aprono gli occhi e, in momenti di profonda immedesimazione con la realtà, sentiamo che ogni filo d’erba o riflesso di luce è un richiamo che ci invita a Casa; c’è dentro il visibile tutta la sostanza dell’invisibile.
Non abbiamo bisogno dell’esistenza di Dio, abbiamo bisogno della sua presenza accanto a noi. La nostra distrazione nel non riconoscerlo sempre dentro la trama del nostro quotidiano è direttamente proporzionale al bisogno di sapere che non siamo invisibili ai suoi occhi. Per questo lascio al giovane e sconosciuto Mickey un congedo strepitoso, quella voce genuina che mendica uno sguardo innamorato dal Padre.
Caro Dio, se mi guardi domenica prossima a Messa vedrai le mie scarpe nuove – Mickey