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Il bilancio della Santa Sede: quanto costa la Curia e cosa fa?

Pope Francis - Christmas greetings to the Roman Curia
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Lucandrea Massaro - pubblicato il 01/10/20
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Parla padre Guerrero Prefetto della Segreteria per l’EconomiaAccompagnata da una lunga intervista di rilasciata di Prefetto della Segreteria per l’Economia Padre Juan Antonio Guerrero Alves ad Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione, la Santa Sede ha pubblicato per la prima volta un bilancio della Curia romana in cui si spiegano entrate ed uscite della “macchina amministrativa” che più da vicino accompagna il Papa nella sua missione di evangelizzazione nel mondo.

Le recenti tensioni attorno alle operazioni finanziarie, anche quelle su cui ci sono indagini aperte, così come la volontà espressa dal Papa fin dalla sua elezione nel 2013, ovvero quella di rendere trasparenti le finanze vaticane e in generale ripensare il più possibile il rapporto tra la Chiesa e la finanza, hanno spinto le autorità vaticane a rispondere – finalmente – alla richiesta di molti, fedeli in primis, circa l’uso del patrimonio e delle donazioni che ogni anno affluiscono da tutto il mondo a Roma.

Ma qual è la missione della Curia?

Un passaggio essenziale dell’intervista è nella spiegazione a 360 gradi di cosa sia la missione della Santa Sede, il prefetto Padre Juan Antonio Guerrero Alves spiega che

«La missione della Santa Sede, della Curia romana, non è solo la carità del Papa, intesa come una sorta di ONG che riceve le donazioni e le distribuisce là dove ce n’è bisogno. La Chiesa fa tanto, tantissimo per aiutare chi ha bisogno. La maggior parte di questo tipo di aiuti viene fatta a livello locale, nelle parrocchie e nelle diocesi. E fa tanto anche la Curia. La missione principale della Santa Sede è contribuire a portare il messaggio del Vangelo fino agli estremi confini del mondo comunicandolo, mediando nelle situazioni in cui esso diventa opaco, con l’assistenza ai bisognosi, lavorando per il bene dell’umanità, sostenendo le Chiese locali in difficoltà, comunicando il magistero del Papa, cercando l’unità nella dottrina e nella liturgia, giudicando nei conflitti all’interno della Chiesa, incoraggiando la riflessione su alcuni temi, instaurando un dialogo ad alto livello, dando indicazioni alle Chiese locali, ecc. La “carità del Papa” esprime in tutti questi modi l’amore del Papa per la Chiesa e della Chiesa per il mondo».

Sebbene si stia parlando di denaro, di aiuti concreti in giro per il mondo, lo scopo – probabilmente talvolta tradito da chi è interno alla macchina amministrativa – di tutto l’apparato vaticano è il Vangelo. Comunicare il Vangelo vuol dire viverlo, spiegarlo, annunciarlo. Va da sé che per fare queste cose servono risorse, risorse che vengono dall’Obolo di San Pietro così come dalle rendite dei beni ecclesiali, o da investimenti oculati che fruttano. Il tema è appunto che il Vaticano non è uno Stato come gli altri, è un unicum, che ha come scopo di servire la Chiesa. Essere uno Stato permette di emettere un passaporto, e di intrattenere rapporti diplomatici che possono aiutare a servire la pace. Anche questo servizio è “la carità del Papa” e non è in contrasto col Vangelo, ne è la sua realizzazione qui e ora.


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Ma di quanti soldi stiamo parlando dunque?

La Santa sede nel 2019 (il bilancio si riferisce all’anno scorso) ha incassato a vario titolo 307 milioni di euro, e ne ha spesi 318 milioni di euro. Il deficit è dunque di 11 milioni. Ma ha anche – a garanzia di questo deficit – un patrimonio netto pari a 1.402 milioni di euro. Cifre che per uno Stato non sono granché. La prestigiosa (e ricca) università di Harvard negli Stati Uniti ha una dotazione finanziaria e patrimoniale di 34 miliardi di euro (40 miliardi di dollari), tanto per fare un paragone. Ma la Curia non è tutto il Vaticano. Padre Guerrero precisa:

«Aggiungendo il bilancio del Governatorato, dell’Obolo, dello IOR, del Fondo pensioni e delle Fondazioni che aiutano la missione della Santa Sede, si ottiene un patrimonio netto di circa 4.000 milioni di euro. Se dovessimo consolidare tutto, nel 2019 non ci sarebbe deficit, né c’è stato nel 2016, l’ultimo anno in cui tutti questi conti sono stati consolidati. Con ciò non voglio però dire che non abbiamo difficoltà e che in questa crisi del coronavirus non ne avremo di più grandi».

Poco più della metà dei ricavi (164 milioni, il 54% del totale) vengono dal patrimonio stesso della Santa Sede, il resto da altre voci come le attività commerciali (visite alle catacombe che diversamente dai musei fanno parte della Santa Sede, produzioni vendute dal dicastero della comunicazione, Libreria Editrice Vaticana, ecc.) e i servizi (tasse per alcuni certificati, tasse accademiche di istituzioni universitarie, ecc.) hanno portato un 14%, cioè 44 milioni di euro. Le entità vaticane che non si consolidano in questo bilancio (IOR, Governatorato, Basilica di San Pietro) hanno contribuito per il 14% delle entrate, 43 milioni. E le donazioni delle diocesi e dei fedeli sono state pari a 56 milioni di euro, il 18%.



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E come vengono spesi questi soldi?

I costi si possono dividere in 3 blocchi: quello che abbiamo definiti come asset management pari a 67 milioni di euro, che rappresentano il 21% dei costi, e includono 18 milioni di euro di tasse e 25 milioni di euro spesi per la manutenzione degli edifici. A questo si aggiungono i servizi e l’amministrazione assorbono che il 14% delle spese. E infine le spese di missione che assorbono il 65% delle spese. 

Nel novero delle spese per la missione sono considerati i costi dei media vaticani (che trasmettono 24 ore al giorno in 40 lingue, rappresentando in molti casi l’unico modo di far conoscere le parole vere del Papa in molti paesi), le nunziature apostoliche (che sono la diplomazia del Papa), il supporto alle chiese locali, le donazioni e l’aiuto per situazioni specifiche, i beni storici e museali della Chiesa, i centri formativi e culturali come ad esempio l’Università Lateranense (che è l’università del Vescovo di Roma, cioè il Papa) e tutti i dicasteri e le congregazioni.

Ma la Santa Sede non mira al pareggio di bilancio, la questione viene ribadita nell’intervista:

«Ho già detto che non possiamo considerarci semplicemente come generatori di deficit. La nostra missione tenderà sempre a produrre deficit, non genererà entrate sufficienti. È un servizio che non facciamo a scopo di lucro. Dobbiamo trovare il modo di sostenere la missione a lungo termine.

Qual è la linea su questo fronte?
Non bastano solo i necessari controlli orientati al risparmio e al contenimento delle spese per ridurre il deficit. Nella Santa Sede ci sono molti Enti che fanno molto con poco. Il risparmio deve essere accompagnato da un discorso di esame dei ricavi, cioè degli investimenti, mobiliari o immobiliari che siano, per cercarne un’ottimizzazione. Questo lavoro in collaborazione, piano piano, si sta avviando a conclusione. Per quanto riguarda il discorso dei ricavi dobbiamo pensare anche alle donazioni. Le donazioni dei fedeli, sommando anche l’Obolo, contribuiscono per un 35% alle spese. I fedeli vogliono contribuire alla missione della Chiesa, ma è imprescindibile una politica di trasparenza esterna e di comunicazione capace di trasmettere con precisione come utilizziamo il denaro che riceviamo e amministriamo [corsivo nostro]. Questo è l’obiettivo che vogliamo raggiungere, questa è la strada sulla quale il Santo Padre ci ha indirizzati. Questa è la linea. Come è noto, nei mesi scorsi è stato approvato il Codice Appalti. L’auspicio è che, oltre a favorire la trasparenza, permetta, grazie alla concorrenza, anche di ottenere dei risparmi. Abbiamo bisogno di alcune azioni in relazione a ciò che riguarda il lavoro al fine di avere persone più motivate e responsabilizzate nei compiti loro affidati, una maggiore mobilità, come anche una maggiore efficienza, e una riduzione dei costi. Cercare modelli più flessibili, orientati a premiare il merito, l’impegno e le competenze professionali».

La Santa Sede quindi prosegue nel suo processo di riorganizzazione ma soprattutto di trasparenza e affidabilità, è chiaro che molte cose dovranno ancora cambiare e che ci sono situazioni – anche contingenti – che possono mettere in difficoltà la Curia per ragioni esterne (il Covid) che interne (alcuni scandali finanziari), ma la rotta indicata da Francesco è il motivo per cui certi nodi vengono – finalmente – al pettine e perché una struttura tradizionalmente opaca si apre allo sguardo del mondo. A maggior gloria di Dio…

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