Deportata prima a Ravensbrück e poi a Holleischen dal luglio 1943 al maggio 1945 in ragione delle sue attività in seno alla rete di resistenza “Prosper”, Marie de Robien, allora sposata e madre di cinque figli, ha visto nella fraternità vissuta tra i prigionieri una prova manifesta della presenza di Dio al loro fianco. Sposata a uno dei suoi bisnipoti, una giornalista di Aleteia ha potuto leggere la sua commovente testimonianza.
Come si fa a vedere un segno del cielo nei campi dell’inferno? Eppure è quanto testimonia Marie de Robien, imprigionata a 41 anni per due anni nei Lager nazisti, attraverso i suoi manoscritti redatti nel luglio 1975, destinati a nipoti e bisnipoti.
Bisogna che quanti non hanno vissuto la deportazione comprendano – spiega in cappello ai suoi Ricordi di prigionia – perché i sopravvissuti dei campi di concentramento si fanno un dovere del testimoniare fino a dove possono condurre il disprezzo dell’uomo, il razzismo, la violenza e la sete di dominio.
Tuttavia, lungi dal perdersi nelle terribili descrizioni della quotidianità dei Lager, la donna sottolinea quanto la sua fede in Dio e la preghiera l’abbiano aiutata a sopportare quella prova. Ella sottolinea pure l’incredibile fraternità che s’è tessuta tra i prigionieri dei campi, e che resta per lei una prova irrefutabile della presenza di Dio, nel cuore stesso della sofferenza.
La preghiera del Padre Nostro
Tutte le mattine, all’aurora – la sveglia, nel campo di Ravensbrück, era alle quattro del mattino – i prigionieri dovevano sottoporsi all’appello:
Centinaia di donne, di una ventina di differenti nazionalità, sulla Lagerstraße, a ranghi di dieci, in piedi nel vento glaciale, tremanti sotto ai vestiti a righe, sull’attenti e in silenzio.
Matricola 27.113 nel convoglio che chiamano “quello dei 27mila”, Marie de Robien recita discretamente, durante l’appello, la preghiera del Padre Nostro. Scopre e comprende ogni parola sotto una nuova luce:
Durante quegli appelli, che duravano circa un’ora, allineate in colonne da dieci, molte fra noi avevano preso l’abitudine a pregare a voce bassa con la loro vicina. Le parole del Padre Nostro avevano tutto il loro significato: «Sia fatta la tua volontà…», «Dacci oggi il nostro pane quotidiano…», «Come noi li rimettiamo a quanti hanno colpe verso di noi…». La preghiera fu, per molte fra noi, l’ultimo soccorso da cui attinsero la forza di sopportare quella prova.
Marie giunge quindi ad abbandonarsi totalmente alla Provvidenza, e testimonia attorno a sé la sua piena e intera fiducia in Dio. Così ella potè essere di grande conforto presso una delle sue amiche prigioniere, malata di tifo, dicendole: «Siamo tra le mani di Dio, siamo nella sua Volontà; i tedeschi non possono nulla contro di noi». Più tardi avrebbe testimoniato:
Non ho mai sentito Dio così vicino come durante la mia deportazione. Quando lo domandiamo, Dio ci dà sempre la grazia necessaria per sopportare la prova che Egli manda.
Oltre l’inferno, una fraternità indistruttibile
Con la medesima vena traboccante speranza, Marie de Robien racconta che quei due anni passati nei Lager le hanno permesso di sperimentare una fraternità che era lungi dall’immaginare possibile:
Non rinnego, malgrado tutto il suo orrore, l’esperienza vissuta nei Lager. Quei mesi di deportazione sono stati di grande insegnamento; quella povertà, quel contatto umano mi hanno infuso un allargamento di idee, di orizzonti. Le nostre vite, le nostre sofferenze erano le stesse. Condividendo la sorte delle nostre compagne, ci sentivamo più vicine le une alle altre, e più disposte a comprenderci. Questa è stata per me una prova tangibile della presenza di Dio nelle nostre vite.
Una fraternità che non si occupa né «delle opinioni né della nazionalità». Una «fraternità sul campo» finalizzata a restare sempre uniti e pronti ad aiutarsi a vicenda, e di cui offre un esempio:
Penso a tutti quei deportati che hanno sofferto, che sono morti in quella terra d’esilio, ma quanto purificati dal crogiolo della sofferenza, da quell’abnegazione quotidiana in cui era più facile privarsi, per una malata, di un pezzo di pane, del cucchiaio domenicale di marmellata, che adesso di quanto è superfluo.
Arrestati il 6 luglio 1943 dalla Gestapo per atti di resistenza, Alain e Marie de Robien vengono inviati nei campi di concentramento. Alain de Robien è morto nel Lager di Flossenbürg il 3 marzo 1945, a 48 anni. Marie de Robien è rientrata a casa, nel Loiret, il 25 maggio 1945, e con la tuta a righe dei deportati ha riabbracciato i suoi figli. Benché assente durante le elezioni, era stata eletta consigliere municipale di Huisseau-sur-Mauves. Avrebbe assolto a quell’ufficio fino al 1977. È morta il 16 febbraio 1989, all’età di 86 anni.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]