E’ la volontà di sollevare, di prendere su dé tutto, soprattutto il dolore, che rende sacro un abbraccio.
“Il modo in cui mi stringi è così sacro”: il modo in cui un marito stringe una moglie, il modo in cui un genitore stringe i figli, il modo in cui “il Padre” ci tiene nel suo abbraccio. È sacro. È l’unico luogo dove la disperazione non arriva, mai.
Come si fa a rendere sacro un abbraccio? Non è una stretta di compassione, pietà, è la volontà di sollevare, di prendere su di sé tutto, il bene e il dolore, soprattutto il dolore. Di alleviare, di portarlo insieme, quando non possiamo davvero curarlo. Non è facile dare quel tipo di abbraccio, perché implica che noi ci siamo lasciati stringere per primi. Non è facile riceverlo, perché siamo troppo abituati a fare da soli, a sentirci onnipotenti, ma chi abbia mai abbracciato un marito, una moglie, una sorella, un figlio, chi si sia mai abbandonato fiducioso, seppur nella sofferenza, nelle braccia del Padre, lo sa. Spesso è proprio il dolore ad aiutarci ad abbassare le difese. Quell’abbraccio non è il Nirvana, dice Justin, è reale. Come reale è il calore e la speranza che dà.
E niente, Justin Bieber è tornato, o forse meglio dire, ritornato perché questo singolo sembra davvero un nuovo inizio, un ritorno dopo aver toccato il fondo. E Justin, da dove abbia ricominciato, lo capiamo dai primi fotogrammi di questo nuovo brano, “Holy”: un crocifisso. Non balla più, Justin, come eravamo abituati a vederlo, ma vive il suo messaggio di gratitudine (che non poteva non avere le sonorità di un Gospel), grida al cielo quell'”Oh God” che il cielo lo apre, corre verso l’altare e ci ricorda che siamo chiamati a essere Simone di Cirene gli uni per gli altri: l’anziano solo in fin di vita, qualcuno che ha perso il lavoro e ha bisogno di ricominciare a sperare. L’aiuto non viene da chi ha tutto, ma da chi sta già portando sulle spalle i suoi problemi piccoli o grandi, come quell’affitto che non si riesce a pagare o un lavoro che tiene lontano dagli affetti. È proprio vero che ognuno ha le sue di croci, ma ogni croce è così: se aiuti qualcun altro a portarla, non ti senti più oppresso sotto il giogo. Non è una sommatoria, anzi, anche il tuo carico adesso, sembra un po’ più leggero.
Quando abbracciamo gli altri con la volontà di sollevarli un po’, anche senza la pretesa di curarli, affidandoli a un abbraccio più grande, che tutto può davvero, anche se stiamo portando la nostra croce, c’è in noi qualcosa di divino.
Rendiamoli sacri, i nostri abbracci
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