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Angelica muore di tumore a 18 anni, nonostante una grande gara di solidarietà

ANGELICA ABATE
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Annalisa Teggi - pubblicato il 24/09/20
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Un calvario cominciato a gennaio e sostenuto da una cordata umana di preghiere e donazioni. “La vita è la cosa più bella. La sua è stata breve. Ma di una qualità immensa” ha detto il sacerdote al funerale.Un tumore aggressivo al cervello non ha dato scampo a una giovane promessa siciliana della pallavolo; pochi giorni fa a Roccalumera (in provincia di Messina) è morta Angelica Abate, circondata dai familiari che l’avevano accompagnata nella battaglia di una malattia fulminante e devastante.

“Mio Dio, Mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. È il punto focale dell’omelia di padre Alessando. “Non lo so nemmeno io perché è accaduto, qual è il progetto di Dio”, chiosa il sacerdote. “Ma so per certo – aggiunge – che dobbiamo far tesoro e prendere lezione dalla vita di Angelica. La vita è la cosa più bella. La sua è stata breve. Ma di una qualità immensa”. (da TempoStretto)

Le parole pronunciate al funerale dal sacerdote indicano i passi giusti per raccontare la storia di questa ragazza che – udite, udite – su Instagram pubblicava solo foto di libri e recensioni. C’è qualcosa da leggere, di molto profondo, tra le righe della sua vita.


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Un calvario in mezzo alla pandemia

Tutto è cominciato con forti mal di testa alla fine dello scorso gennaio, che non sparivano nonostante gli analgesici. Da Messina Angelica viene portata all’ospedale di Taormina e lì una tac conferma lo scenario peggiore: un tumore al cervello, così raro e aggressivo da rappresentare solo il 2% dei tumori pediatrici. Quasi un colpo da cecchino, proprio lei e proprio nelle settimane in cui il nostro paese si avvicina, ignorandolo ancora, all’irrompere del contagio del Covid-19.

Una prima operazione al cervello eseguita a Messina dà alla giovane pallavolista una finestra di speranza grande abbastanza per festeggiare i 18 anni, è il 25 marzo. Purtroppo qualche mese dopo i dolori alla testa ritornano,

Angelica ha lottato come una guerriera, ha superato il primo intervento, tutto sembrava andare per il verso giusto ma il male si è ripresentato, più aggressivo di prima: a maggio, grazie ad una raccolta fondi che in due giorni ha consentito di racimolare la cifra necessaria, era volata ad Hannover, in Germania, per un’altra operazione e subito dopo le sue condizioni sembravano essere migliorate. (da Gazzetta del Sud)

Questa raccolta fondi di cui si parla è un gesto di grande solidarietà manifestato mentre la famiglia Abate girava in lungo e in largo gli ospedali della penisola, peraltro nel pieno della gestione dell’emergenza coronavirus. Prima viene ricoverata a Firenze e a Milano, poi arriva l’ipotesi che in Germania possa essere eseguito un intervento salvavita. Per sostenere queste spese viene lanciata una campagna di raccolta fondi a cui subito aderiscono tantissimi messinesi e non solo: in pochi giorni vengono raccolti 100mila euro e, Anna, la mamma di Angelica, ringrazia così,

“Non ho parole. Ho chiesto al Signore di indicarmi la strada – ha commentato la mamma riferendosi alla generosità della gente – e se la strada è questa, io la percorrerò. Credo negli esseri umani, nel loro cuore, nell’affetto della gente della mia terra. Grazie di cuore a tutti”.

La fede di mamma Anna desta stupore. Per quello che solo si può intuire dalle condivisioni pubbliche del suo dolore, s’intravede una donna che non vede in Dio un nemico a cui chiedere conto di un’obiezione così tremenda, ma la fiducia di potersi consegnare senza ritegno a un Padre, dentro il mistero fitto di dolore che attraversa. Anche la Madonna è sentita come una madre presente, premurosa, fedele.

Questa fotografia risale ad agosto quando la situazione medica di Angelica precipita in modo nuovamente preoccupante. Altri due interventi ad Hannover non consentono di sconfiggere il tumore. Il 12 agosto mamma Anna affida il destino di sua figlia anche all’intercessione di Carlo Acutis e si mobilita per lei una enorme catena di preghiera. Nel giorno dell’Assunta Angelica rientra a casa per proseguire le cure ed è in questa cornice domestica di affetti che pochi giorni fa si è spenta. La storia di questa ragazza campeggia in molti quotidiani con note di profondo dolore, e con un ritornello in sottofondo: «il miracolo non è accaduto». Cos’è un miracolo? Il nostro mondo sempre meno vincolato a Dio usa spesso questa parola, riducendola a una bacchetta magica che talvolta produce effetti strepitosi e altre volte delude miseramente.

Forse un’alternativa più ricca si guadagna dallo sguardo del sacerdote che al funerale di Angelica ha cominciato da quell’implorazione: “Mio Dio, Mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. Ed è Gesù in Croce che pronuncia queste parole, il Dio cristiano si è immedesimato con l’umano fino al punto di comprendere la vertigine di sentirsi abbandonati dal Padre.

Capitani coraggiosi: Carlotta, Andrea, Carlo, Damiano, David e gli altri

Angelica era il capitano della squadra di pallavolo di Roccalumera, era quella che si suol dire una promessa … riducendo la portata di questa parola all’ipotesi che qualcuno farà carriera in una certa disciplina. Ma Angelica è una promessa, come ogni anima su questa terra lo è: ci è stata cucita dentro un’attesa infinita. Ecco, allora, che il miracolo comincia a manifestarsi.

La pallavolo ha, anche, questo di bello: è chiara la squadra, sempre. Non ci si mescola agli avversari, i compagni di gioco sono sempre accanto e con loro si costruisce un gioco che porta a fare un salto oltre la rete. Indugiando su questa metafora, si può dire che è affollata la squadra di giovani che in questi anni recenti hanno affrontato una malattia mortale in modo santo, intendendo con ciò uno sguardo che osa infilare la luce anche dentro il buco nero di una strada senza uscita (terrena).

Sono voci che con timbri diversi si sono lanciate oltre l’ostacolo: c’è la tempra entusiasta di Carlotta Nobile, la disarmante fede di David Buggi e Andrea Mandelli, c’è il genio lieto di Carlo Acutis. Ce ne sono altri, che fanno un controcanto strepitoso – intessuto di felicità incarnata e lacrime dure – all’abbaglio mediatico degli influencer e alla trappola dell’essere molto social molto soli – per citare Monica Mondo.

Questa squadra che Dio sta costruendo, nel mistero del suo disegno, è un miracolo per noi. Qualcosa da guardare a occhi nudi, che sgretola in un sol colpo il mito dell’ottimismo e l’incubo del nichilismo. «La vita è la cosa più bella. La sua è stata breve. Ma di una qualità immensa», ha detto padre Alessandro al funerale di Angelica. Il miracolo non è scampare a una malattia, non è schivare le batoste. Il miracolo è stare al cospetto della vita con un’unità di misura adeguata alla sua portata fragile eppure immensa. Il salto da fare oltre la rete è liberarsi del peso di un giudizio che misura il valore dell’anima con un righello tarato sui pruriti e sugli spasimi del corpo. Siamo noi quelli che devono allenarsi, stando al cospetto di queste vite giovani segnate dal dolore e non abbandonate dalla speranza.

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