Il sentimento per eccellenza da rimedio per ogni male può trasformarsi in veleno che uccide. Quali sono i segnali e come uscirneSi dice che l’amore sia il rimedio più potente per guarire da ogni male, ma come ogni farmaco questo straordinario sentimento presenta sempre una doppia polarità: può essere “medicina” che salva , ma rappresentare anche un “veleno” che uccide. L’esempio più calzante di ciò è rappresentato dalle relazioni tossiche, legami che prosciugano uno o entrambi i partner delle loro energie e li fanno sentire senza vie d’uscita. Ne parla in un articolo interessante uscito sull’ultimo numero di Psicologia Contemporanea Giorgio Nardone, psicologo e psicoterapeuta, fondatore insieme a Paul Watzlawick del Centro di Terapia Strategica di Arezzo.
Risucchiati nel circolo vizioso delle relazioni tossiche
Essere risucchiati nel circolo vizioso delle relazioni tossiche è molto più facile di quanto possiamo credere: esse si presentano infatti inizialmente come rapporti d’amore che sembrano reggere bene o addirittura magnificamente. Spesso le due persone si percepiscono affini, simili in tutto, “fatte l’uno per l’altra”, ma la realtà è ben diversa: queste relazioni funzionano bene solo apparentemente, sembrando oltremodo salde perché è molto forte l’intreccio dei perversi dinamismi psicologici della coppia. Ne sono l’esempio alcuni importanti meccanismi patologici come quelli che si instaurano fra un partner sadico ed uno masochista, o tra un narcisista e un soggetto dipendente.
La psicoanalista Nancy McWilliams ha descritto la personalità masochista tipica di alcune donne maltrattate da bambine, ma riscontrabile anche nei maschi, che scelgono partner sadici o giungono ad attivare i lati peggiori di un compagno affettivamente adeguato (psiche.cmsantagostino.it). Secondo lo psicologo statunitense Emmanuel Hammer il masochista è “un depresso che spera ancora”, e nella sua infanzia ha appreso che la sofferenza è il prezzo da pagare per essere amati (Ibidem). Infatti i suoi genitori, affettivamente assenti o freddi, si mostravano accudenti soltanto quando stava male o era in pericolo, per cui l’insegnamento che ne ha tratto è che solo soffrendo abbastanza si può meritare un interessamento da parte dell’altro.
Le persone coinvolte in un legame di eccessiva dipendenza affettiva non riescono a fare a meno, “nemmeno per un minuto”, l’uno dell’altra e canalizzano tutte le loro energie nella relazione escludendo gli altri rapporti sociali in un circolo vizioso in cui più si isolano, più investono unicamente nella coppia. A volte i due partner sono co-dipendenti, e a turno alimentano reciprocamente l’ansia di separarsi; oppure uno dei due è indipendente e sfrutta l’altro per gratificare i propri bisogni. In questo caso il profittatore è spesso un soggetto narcisista, che rinforza la sua autostima sfruttando la metà più debole e dipendente della coppia. Il massimo della tossicità di una relazione si ha con l’alternarsi ambivalente di piacere e sofferenza, desiderio e rifiuto, complicità e rivalità, calore e freddezza, accordo e scontro. Dinamica che ricorda la tossicodipendenza: proprio come nel consumo di droga si assiste ad una forte appetizione verso una sostanza che è tossica e dannosa per il proprio benessere.
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I segnali di una relazione tossica
Quali sono i segnali di una relazione tossica? Violenza fisica: ogni forma di aggressione al corpo dell’altro. Violenza verbale e manipolazione: più subdola di quella fisica, si concretizza con svalutazioni, raggiri, sarcasmo ed offese. Litigiosità acida: l’unico scopo della discussione è ferire l’altro. Senso di fatica cronico: a causa delle grandi energie mentali profuse nei continui conflitti. Ansia: quando si deve incontrare l’altra persona e interagire con lei. Bassa autostima: conseguenza della svalutazione continua e delle difficoltà che si incontrano quotidianamente nel gestire il rapporto (psiche.cmsantagostino.it).
Ma le relazioni possono divenire tossiche anche se non si nutrono delle caratteristiche patologiche o perverse della personalità dei partner: si possono instaurare infatti anche tra soggetti “normali”, come spiega Nardone nel suo articolo. Già negli anni 60 Paul Watzlawick poneva l’attenzione su uno dei principi di base delle dinamiche relazionali. All’interno di una relazione non possono contemporaneamente coesistere complementarietà e simmetria. La prima, spiega l’autore, rappresenta l’espressione di una dinamica ad incastro, come la chiave nella toppa, della relazione: i due soggetti si integrano e si puntellano a vicenda nel loro ruolo e stato. Può apparire superficialmente una forma idilliaca di rapporto basato sullo scambio e sostegno reciproci, ma al tempo stesso ha la forte potenzialità di scivolare nella condizione diadica di vittima ed aguzzino. La simmetria, continua Nardone, si caratterizza per l’autonomia, l’indipendenza e la maggiore distanza fra i due membri della relazione. L’atmosfera appare poco romantica e un po’ fredda, ma si declina anche per il rispetto dell’altro e della sua personale modalità di vedere le cose. Watzlawick ritiene che una relazione funzionale deriva dall’equilibrata alternanza di queste due modalità di base di un rapporto interpersonale: una presenza eccessiva dell’una o dell’altra altera la dinamica rendendo il rapporto disfunzionale o addirittura patologico.
Come uscirne?
Quindi dopo la diagnosi o l’autodiagnosi – quest’ultima generalmente non facile – del funzionamento della coppia, per liberare gli amori schiavi di una più o meno pervasiva tonalità venefica, il rimedio consisterebbe – afferma lo psicologo – nel riequilibrare la bilancia fra modalità simmetriche e complementari dello stare insieme. Indicazione apparentemente semplice, nella realtà notevolmente impegnativa ma su cui vale la pena spendersi senza risparmi perché è in gioco il sentimento più grande, quello di cui non possiamo fare assolutamente a meno: quell’amor, ch’a nullo amato amar perdona.