“Siamo cresciute, siamo capaci di stare al mondo, eppure siamo più sole che mai”. La vera sfida per le donne di oggi è scommettere che il rapporto tra i sessi sia collaborativo e non oppositivo.Il titolo di questo romanzo di Marcella Serrano, L’albergo delle donne tristi, mi aveva colpita fin da adolescente, ma allora ero troppo entusiasta di Isabel Allende per avvicinarmi ad un’altra autrice sudamericana.
Quest’estate è arrivato il momento di leggerlo ed è stato bello scoprire che parla di una psichiatra che ha creato un albergo dove le donne che stanno vivendo un momento particolare della loro vita e hanno bisogno di ritrovarsi possono vivere un’esperienza a contatto con la natura, in contatto con sé stesse e a contatto con le emozioni e le vicende di altre donne.
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Mi ha emozionato pensare che, quando lo avevo preso in mano da liceale, non potevo immaginare che sarei diventata psicoterapeuta e che il mio studio sarebbe stato frequentato quasi per intero da donne.
Donne alle prese con la loro identità, donne che cercano il coraggio per affrontare un grande dolore, donne che soffrono perché troppo spaventate o troppo ferite, donne che vorrebbero aprirsi all’amore, donne che cercano accudimento e calore.
Sono grata a tutte loro per come si mettono in gioco e si affidano e sono loro grata anche perché mi trasmettono una grande speranza per il futuro: la maggior parte di loro infatti è molto giovane, e questo mi fa pensare che le giovani generazioni abbiano meno paura di chiedere aiuto e siano più capaci di prendersi cura di sé stesse.
Essere donne oggi (ma anche uomini) del resto, non è affatto facile.
Il romanzo in qualche modo tratta questo tema, quello della relazione tra i sessi, soprattutto nelle sue complessità e difficoltà. Onestamente mi aspettavo di più dal titolo e dall’ambientazione promettente e invece l’ho trovato un po’ banale e non abbastanza avvincente. Tuttavia ho ritenuto interessante il punto di vista che emerge sulla relazione tra uomini e donne.
A questo proposito riporto uno stralcio di ciò che Elena, la psichiatra, dice a Floreana, la protagonista del libro, perché mi sembra un’osservazione piuttosto realistica:
“Il fatto è che ormai le donne non vogliono più fare da madri ai loro uomini… e tanto meno vogliono essere trattate come figlie.” […]
“Vorrebbero stare sul loro stesso piano. Aspirano a costruire relazioni paritarie che siano compatibili con l’affetto.” […]
“Siamo cresciute, siamo capaci di stare al mondo, eppure siamo più sole che mai.” […]
“Credo che la sfiducia e l’incomprensione tra uomini e donne stiano aumentando ogni giorno che passa. I vecchi codici dell’amore non servono più e gli uomini – come noi, del resto – non ne hanno trovati di nuovi…”[…]
“Il sogno era di poter essere più felici non appena avessimo conquistato più spazio e riconoscimenti. Ma ho la sensazione che le cose non stiano andando in questo senso”.
Condivido la sensazione che la trasformazione sociale e culturale in cui siamo immersi, rispetto al ruolo e all’identità maschile e femminile, per quanto necessaria su alcuni punti, al momento ci stia lasciando entrambi, uomini e donne, un po’ disorientati e forse anche più distanti.
La speranza da parte mia è che si tratti di un processo in corso, che possa portare a nuove forme e a nuovi modi di relazionarsi affinché la relazione tra maschile e femminile possa essere sempre meno competitiva, sempre meno segnata dalla dipendenza, e sempre meno contraddistinta da lontananza e incomunicabilità; l’augurio allora è che il rapporto tra i sessi si trasformi piuttosto in unione e collaborazione, nel rispetto della reciproca differenza, e che quest’ultima possa essere sempre più ritenuta una ricchezza e non un ostacolo o un motivo di conflittualità.
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