… e per svestirsi completamente occorre depositare, accanto ai vestiti, le difficoltà, le stanchezze, i dolori, le piccole o grandi ferite che l’altro ha provocato.
di padre Salvatore Franco
Ci fermiamo in camera da letto. Quando si entra in camera da letto troviamo normalmente oltre il letto matrimoniale anche un armadio con i vestiti. È la stanza dove si entra al termine della giornata, dove ci si spoglia per vivere ogni volta una forte esperienza di intimità anche se si dorme semplicemente. Il gesto di spogliarsi ci ricorda che in questo luogo si dovrebbe lasciare la veste esteriore con cui si è vissuto durante il giorno per essere ciò che si è nella autenticità, nella nudità, senza difese. Coricarsi così è compiere un gesto di totale fiducia nell’abbandonarsi al sonno accanto o tra le braccia di un altro. Di fatto si va a letto con tutto quello che si è vissuto e ci si porta dietro, nel proprio cuore, quanto è accaduto quel giorno e ancora prima. Nel silenzio della notte il nostro cuore e quello dell’altro può anche gridare senza che ce ne si accorga. Per svestirsi completamente occorre allora depositare, accanto ai vestiti, i vissuti, le difficoltà, le stanchezze, i dolori, le piccole o grandi ferite che l’altro ha provocato.
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“Ogni giorno ha il suo affanno” ci ricorda Gesù, è inutile aspettare il domani, ma agire il più presto possibile per non rimanere sovraccaricati. Questo è il messaggio che ci offre anche la Lettera agli Efesini:
Adiratevi ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira e non date spazio al diavolo. (Ef 4, 27-27).
Perché non dobbiamo arrivare al tramonto e quindi alla sera, ma agire prima? Alla sera non c’è più la luce, non c’è più possibilità di andare oltre. Immaginiamo qui la sera ai tempi dei primi cristiani, non c’era l’energia elettrica e si “andava a letto con le galline”. Ciò vuol dire, più profondamente, che c’è un momento di non ritorno, una resa dei conti, o come si dice che “i nodi vengono al pettine”. Nella vita di una coppia c’è una misura che non va colmata, un limite che non va oltrepassato, un accumulo di dolore che ad un certo punto si trasforma in una incrinatura del rapporto difficile poi da sanare. Per questo anche Gesù invita a darsi da fare in tempo per sanare una difficoltà quando dice:
Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano (Gv 12,35).
Si tratta quindi di una ascesi, un’abitudine ad andarsi a coricare avendo “consumato” insieme non solo la cena ma soprattutto il dolore e la gioia del giorno.
La Parola della Lettera agli Efesini parla dell’ira. Sappiamo che l’ira prende all’improvviso sulla base di una suscettibilità di fondo, è la goccia che fa traboccare il vaso. L’ira ha che fare con l’orgoglio ferito, è la degenerazione della rabbia e la rabbia nasce spesso da una delusione dal sentirsi offesi nella propria dignità e identità. La Parola della Lettera agli Efesini dice: “Puoi anche adirarti ma non compiere nell’ira il male” e se ci fosse stata occasione durante il giorno non aspettare che finisca per chiedere perdono se i tuoi modi, comportamenti e parole abbiano ferito l’altro.
L’indicazione è preziosa perché offre un metodo di vita: lavorare sulle delusioni e ferite ogni giorno, al termine del giorno o almeno al più presto, se ciò non fosse possibile o opportuno. In questo modo non si lascia spazio al “divisore”, ma al “moltiplicatore”.
Il Papa ci ha ricordato più volte di utilizzare la parola “Scusa!”. Sappiamo che ciò è davvero difficile . Ognuno si pensa forte. E ognuno crede di non sbagliare mai. E se sbaglia pensa che non deve mostrarsi debole, chiedendo scusa. Non è vero! Nella vita facciamo tanti errori, tanti sbagli. Li facciamo tutti. Forse non c’è giorno in cui non facciamo qualche sbaglio. Ecco allora la necessità di usare questa semplice parola: “scusa!”, “perdonami”. Non è solo una parola, ma uno stile nella vita. In genere ciascuno di noi è pronto ad accusare l’altro che sbaglia, e a giustificare se stesso. E’ un istinto che abbiamo tutti e che sta all’origine di tanti disastri.
Impariamo a riconoscere i nostri errori e a chiedere scusa. E’ una parola che dobbiamo usare spesso, anzi ogni volta che ce n’è bisogno: “scusa se ho alzato la voce; scusa se sono passato senza nemmeno salutare; scusa se ho fatto tardi, se non ho fatto nulla oggi! Se questa settimana sono stato così silenzioso, se ho parlato troppo senza ascoltare mai; scusa se mi sono dimenticato; scusa se non ho mai fatto un sorriso oggi…”. E l’altro, da parte sua, deve imparare a perdonare. E’ così che si edifica giorno dopo giorno la famiglia.
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