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A Gallarate la gratitudine è presa sul serio: una casa per i poveri come “ex voto”

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Lucandrea Massaro - pubblicato il 28/08/20
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La pandemia ha colpito duramente in Lombardia e nella cittadina dell’hinterland milanese hanno deciso che la gratitudine verso Dio si esprime con l’amore verso il prossimoA Gallarate il Covid ha colpito duro, per questo circa un mese fa il prevosto, monsignor Riccardo Festa ha chiamato a raccolta i fedeli annunciando che «Faremo un voto» e aggiungendo subito che «Sarà un atto non puramente formale o devozionistico, con la semplice promessa di “essere più buoni”, ma un gesto concreto e visibile, da cui non possiamo tornare indietro. Costruiremo una casa per chi non ha un tetto, e dove trovare un’occasione di riscatto e nuova vita. La pandemia ha messo alla prova la nostra fede; vogliamo rivolgerci a Dio chiedendo la grazia della guarigione, mettendo davanti a lui le cose che abbiamo perso ma anche quelle che abbiamo salvato, i valori che ci hanno tenuto a galla, impegnandoci in un gesto di carità concreta e duratura, che sia un memoriale» (Avvenire).

E allora che si fa? Come si rende un atto di conversione qualcosa di più di una proclamazione di intenti? Con una casa per i senzatetto intitolata a Santa Eurosia che di Gallarate è co-patrona, si chiamerà “Casa Eurosia” e avrà dieci posti letto in una struttura di proprietà della parrocchia. Monsignore aggiunge: «La casa è uno dei valori fondamentali riscoperti in questo tempo. Ma non tutti ne hanno una, non tutti la sanno gestire come si deve, qualcuno di casa è uscito e non è più tornato. E allora partiamo da questo segno forte, al servizio di tutta la città di Gallarate».

Questo progetto è una cosa seria che impegna realmente i fedeli che si autotasseranno per tre anni per sostenere la struttura: «Ci impegniamo per tre anni a farla funzionare con circa 40.000 euro, raccolti attraverso donazioni da 1.000 euro di gruppi di persone che si autotassano mensilmente, per esempio destinando gli 80 euro del credito di imposta che abbiamo in busta paga». E’ un impegno concreto e continuo che chiede mese dopo mese ai fedeli di dare qualcosa anche in questi tempi difficili e lo fa per ricordare loro la gratitudine per lo scampato pericolo, la preghiera per la guarigione e per coloro che non ci sono più.

Marina Corradi, su Avvenire, scrive a proposito di questa iniziativa:

Il gesto delle parrocchie di Gallarate sembra allora il segno di una presa di coscienza, all’interno dell’ampio bacino della Grande Milano. Coscienza che non siamo padroni della nostra vita, che siamo nelle mani di un Altro, che siamo figli: di un Dio, che questo nostro tempo rinnega. E già è molto. Che, poi, la gratitudine e la domanda di una comunità cristiana si esprimano in solidarietà, in una casa per gli ultimi, è ancora più bello.

Perché è un fare che si colloca nella tradizione del sorgere della carità, quella che costruì i primi ospedali e asili per poveri nel Medioevo. Perché, come ci ripete il Vangelo, l’«ultimo» è figura di Cristo, e quindi dare un tetto agli ultimi è dare un tetto a Dio fra noi. Ciò che voleva fare Etty Hillesum, giovane ebrea morta ad Auschwitz, nel campo di raccolta olandese di Westerbork: cercare un tetto a Dio, scriveva nelle sue Lettere. Un tetto magari grande solo come il cuore di un uomo. Dio cerca una casa fra noi.

Durante il periodo più duro della quarantena, quando i morti si contavano a decine, a volte centinaia, ogni giorno ci siamo spesso ripetuti che “ne usciremo migliori”, perché spesso il dolore fa crescere e maturare, ma perché questo accada deve fondarsi su una speranza, a Gallarate hanno scelto di fondarla in Cristo, e quindi forse – almeno loro – ne sono davvero usciti migliori.

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