La coppia, sposata solo civilmente, non può celebrare il matrimonio anche con rito religioso perché l’uomo ne è impedito dal precedente matrimonio celebrato secondo la forma canonica, di cui non è in grado di dimostrare la nullitàApprofitto di questa rubrica per sottoporre un «caso». Un uomo ed una donna si uniscono in matrimonio con rito concordatario. Si tratta di un matrimonio «riparatore», la donna è incinta. La coppia sceglie liberamente e consapevolmente di sposarsi, ma accetta il rito religioso per non dare un dispiacere alle famiglie di origine. Ma durante la celebrazione del rito entrambi sono convinti di ricorrere al divorzio se se ne presentasse la necessità e nessuno dei due crede minimamente alla indissolubilità del matrimonio. Per entrambi il matrimonio è un legame temporaneo. Dopo alcuni anni la coppia divorzia. L’uomo in seguito contrae un nuovo matrimonio; le seconde nozze avvengono con rito soltanto civile, infatti l’uomo non può richiedere la nullità del matrimonio precedente in quanto nè lui nè la prima moglie sono in grado di dimostrare il motivo della nullità; non vi è nessun testimone (il matrimonio è avvenuto molti anni prima in una regione lontana da quella di attuale residenza; i testimoni non sono reperibili in nessun modo, non è stato possibile ricercarli o trovarli). La seconda moglie, credente e praticante, può ricevere l’Eucarestia?
Lettera firmata
Risponde padre Francesco Romano, docente di Diritto Canonico
Il caso che ci viene presentato dalla nostra lettrice è simile a molti altri che, dal punto di vista della disciplina ecclesiastica, vengono classificati come «situazioni matrimoniali irregolari». La coppia, sposata solo civilmente, non può celebrare il matrimonio anche con rito religioso perché l’uomo ne è impedito dal precedente matrimonio celebrato secondo la forma canonica, di cui non è in grado di dimostrare la nullità. Ci viene chiesto se la seconda moglie, credente e praticante, può ricevere l’Eucaristia.
La Congregazione per la Dottrina della Fede nella Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la ricezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, pubblicata il 14 settembre 1994 a firma dell’allora Prefetto Card. Ratzinger con l’approvazione del Papa Giovanni Paolo II, riafferma il motivo della non ammissibilità a ricevere la Comunione. La ragione è dovuta al fatto che «fedele alla parola di Gesù Cristo, la Chiesa afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio». Inoltre, prosegue il documento, «se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio». Nessun problema, invece, a ricevere la Comunione per quanti, costretti al divorzio dalle circostanze, perseverano nella fedeltà al matrimonio-sacramento.
Nel caso prospettato dalla lettrice, la donna, pur essendo libera dal vincolo coniugale sacramentale, condivide con il marito la situazione di «irregolare» perché si tratta di una persona battezzata nella Chiesa Cattolica, ma che ha contratto un matrimonio col solo rito civile. La Lettera ai Vescovi del Card. Ratzinger spiega il motivo della preclusione all’Eucaristia, citando l’Esortazione Apostolica Familiaris consortio di Giovanni Paolo II pubblicata il 22 novembre 1981: «sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la sua Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia».
Con questa esclusione, la Chiesa non impone una norma di carattere punitivo o discriminatorio, non esprime un giudizio morale sulla soggettiva indegnità di chi si trova in una situazione coniugale «irregolare». Chi è senza peccato da non aver bisogno del perdono di Dio? Il diniego si riferisce piuttosto alla situazione oggettiva che si è instaurata stabilmente con quel tipo di convivenza perché essa contrasta con l’immagine dell’unione sponsale tra Cristo e la sua Chiesa che promana dal matrimonio-sacramento. Lo stato di vita dei battezzati che vivono coniugalmente senza il sacramento del matrimonio, pur non escludendo che la loro unione sia segno d’amore, non consente loro di diventare sacramento dell’amore cristiano perché manca della proprietà essenziale dell’indissolubilità presente nel vincolo indissolubile tra Cristo e la sua Chiesa di cui l’Eucaristia è segno.
Su questa materia la linea del Magistero fino al Sinodo dei Vescovi celebrato nel mese di ottobre del 2005 è costante anche nel manifestare la sollecitudine pastorale verso coloro che si trovano in queste o in simili situazioni. Spesso, soprattutto per la presenza di figli, non è possibile porre termine a questa tipologia di unioni. Nessuno, però, deve ritenersi escluso dalla comunione ecclesiale. Essi restano «membra» perché sono battezzati e hanno conservato la fede. Per questo i documenti del Magistero parlano normalmente di fedeli divorziati e risposati e non semplicemente di divorziati. A questo proposito, nella citata Lettera ai Vescovi il Card. Ratzinger scriveva che la Chiesa «si preoccupa di accompagnarli pastoralmente e di invitarli a partecipare alla vita ecclesiale nella misura in cui ciò è compatibile con le disposizioni del diritto divino, sulle quali la Chiesa non possiede alcun potere di dispensa».
L’impossibilità ad accedere ai sacramenti non toglie valore al resto della vita cristiana. Per questo, Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio rasserena la coscienza di quanti si sentissero rifiutati dalla Chiesa, con queste parole: «Esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati [risposati] procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la parola di Dio, a frequentare il sacrificio della messa a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza».
Indipendentemente dall’impossibilità a ricevere la Comunione, così prosegue la Familiaris consortio: «Con ferma fiducia la Chiesa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore e in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità». Pertanto, l’esclusione dalla ricezione della Comunione eucaristica di quanti si trovano in situazioni coniugali irregolari non deve essere percepita come una rottura della comunione con la Chiesa che, impegnando la sua fede, infonde coraggio prospettando loro anche altri percorsi di salvezza da non trascurare.