separateurCreated with Sketch.

Dalla Bibbia alle Bibbie: la Bibbia greca

Codex Vaticanus

Una pagina del Codex Vaticanus

whatsappfacebooktwitter-xemailnative
Philippe-Emmanuel Krautter - pubblicato il 24/08/20
whatsappfacebooktwitter-xemailnative

La Bibbia greca, nota con l’epiteto “dei Settanta” (abbreviata con la corrispondente cifra romana: LXX), ha operato un cambiamento radicale nella Storia. Per la prima volta, infatti, delle comunità giudaiche d’Egitto, nel III secolo a.C., non soltanto traducono in lingua greca i 24 libri della Bibbia ebraica, ma a questi aggiungono dei nuovi scritti composti direttamente in greco. Queste traduzioni e l’aggiunta di nuove fonti contribuirà considerevolmente a estendere la portata del testo biblico.

La Bibbia, l’abbiamo visto, nutre un’intima relazione con la sua lingua originaria – l’ebraico. Ora, a partire dal III secolo a.C., una comunità giudaica egiziana di lingua greca avrebbe ciononostante intrapreso una traduzione audace e inedita del testo sacro. Perché tale audacia? La diaspora egiziana, sebbene di origine giudaica, aveva largamente perso la propria lingua originaria (per acculturazione): era dunque importante che i più giovani potessero ascoltare e comprendere nella loro lingua-madre, ormai il greco, i contenuti della Bibbia ebraica.


MOÏSE LAW TABLE, RAPHAEL
Leggi anche:
Dalla Bibbia alle Bibbie: le Scritture ebraiche

Secondo la tradizione, non meno di 70 (72 secondo le fonti) esegeti ed eruditi sarebbero stati chiamati da Gerusalemme ad Alessandria per produrre e proporre la propria traduzione greca, ed elaborare la nuova Bibbia – in greco. Il documento che riporta questa tradizione – la “Lettera di Aristea” – afferma che ciascuno dei saggi avrebbe composto, in separata sede, una traduzione perfettamente identica alle altre, espediente atto a sostenere il carattere ispirato dunque non solo del testo originario ma anche della traduzione.

WEB2-CARTE-SYNAGOGUES-CC.jpg

CC BY-SA 3.0 I Marsyas — Travail personnel
Sinagoghe della diaspora attestate nei primi due secoli dell'era cristiana.

Questa sarebbe stata in assoluto la prima trasposizione da una lingua all’altra del testo fondatore del monoteismo. Questa Bibbia di lingua greca – corrispondente per i cristiani al solo Antico Testamento – avrebbe preso quindi, in ragione della settantina dei suoi autori, il nome di “Settanta” (“i Settanta”, e non, come pure si legge anche in buoni testi “la Settanta”).

Una “Bibbia aumentata”

Tuttavia, a parte quella comunità giudaica egiziana, il popolo giudaico non avrebbe accettato e non avrebbe ritenuto quella versione greca, specialmente per via dei numerosi libri aggiunti dai traduttori ai testi originarî della Bibbia ebraica. Come si è detto, oltre ai 24 libri del TaNaK, i Settanta inclusero un certo numero di libri non presenti originariamente, diversi dei quali composti direttamente in greco. Essi sono 1 e 2 Maccabei, Siracide, Giuditta, Tobia, ma anche testi come la Sapienza, i Salmi di Salomone, la Preghiera di Manasse eccetera.


Qumrâm
Leggi anche:
Dalla Bibbia alle Bibbie: i manoscritti del Mar Morto

I Settanta si sono poi spinti fino a rivedere l’organizzazione interna del piano della Bibbia, collocando in prima posizione il Pentateuco e i libri storici, poi le fonti sapienziali e poetiche, infine i testi profetici. Il piano interno di ogni libro è stato talvolta oggetto di modifiche, cosa che lascia un’impressione generale molto differente dalla Bibbia ebraica di partenza.

Una Bibbia cristiana destinata all’Occidente

E quindi appare chiaro, leggendo i Settanta, che lo sforzo della traduzione supera il semplice bisogno di abbatte le barriere linguistiche per adattare il testo della Bibbia ad altre culture e spazi geografici. Progressivamente, invece, l’audace Bibbia greca – quella dei Settanta – avrebbe guadagnato piena autonomia rispetto alla “sorella maggiore”, una evoluzione legata alla nascita e allo sviluppo del cristianesimo in quell’epoca, come si evince dai più antichi e completi codici dei Settanta pervenuti fino a noi: il Codex Vaticanus (IV secolo), il Codex Sinaiticus (IV secolo) o ancora il Codex Alexandrinus (V secolo).

Codex Sinaiticus

Public Domain, The British Library

Il Codex Sinaiticus (spalancato su una pagina del Vangelo di Giovanni 5)

Poco a poco, la traduzione in lingua greca della Bibbia ebraica avrebbe dato ai testi la propria coloritura e avrebbe aperto a delle sfumature nei testi di partenza, introducendo delle varianti e anche delle innovazioni proprie dell’Occidente, che in alcuni casi sarebbero state preziose per gli sviluppi cristiani. Ad esempio si possono notare delle differenze sostanziali nella traduzione dei Settanta del libro di Giobbe laddove il testo ebraico legge “Egli esalta quelli che sono abbassati e gli afflitti ritrovano la felicità”, mentre nei Settanta si legge “Colui che esalta gli umili e risuscita i morti”.



Leggi anche:
Dalla Bibbia alle Bibbie: TaNaK, il canone delle Scritture giudaiche

Nei secoli successivi sarebbero state le versioni latine (e poi la grande Vulgata geronimiana!) a eclissare a propria volta i Settanta. Oggi i LXX restano utilizzati nella liturgia dalle Chiese ortodosse di lingua greca. Una grande opera di studio sui singoli libri della Bibbia Greca è curata dal 1986, in lingua francese, su un’idea di Marguerite Harl, per i tipi del Cerf.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

Top 10
See More