L’unzione degli infermi è il Sacramento che ci prepara a entrare in Cielo e un sacerdote racconta quali incontri pieni di serenità e letizia possano accadere al fianco di chi muore.
Di Marco Vignolo
Una delle esperienze più nuove per me, in questi primi mesi di missione in Inghilterra, è stato visitare diverse persone della nostra parrocchia per amministrare il sacramento dell’unzione degli infermi. Questo sacramento si conferisce a persone molto anziane o ammalate, che si trovano in pericolo di morte. Esso le unisce alla passione di Cristo, per il loro bene e per quello della Chiesa intera, e le prepara al passaggio alla vita definitiva. Da quando sono sacerdote mi era capitato solo una volta di ungere con l’olio benedetto una donna che poche ore dopo era morta.
Leggi anche:
Affrontando la morte, mio padre mi ha insegnato come si ama la famiglia
Mi hanno colpito, in modo particolare, due visite. Poche settimane dopo il mio arrivo, don Raffaele, il parroco, mi ha chiesto di andare a trovare Michael, un anziano parrocchiano molto fedele alla celebrazione eucaristica quotidiana. Da qualche giorno, le sue condizioni di salute erano peggiorate a causa di un cancro e non poteva più recarsi in una delle nostre sei chiese, quella dedicata alla Santa Croce, a Eastleigh. Perciò Joseph, un ministro straordinario della comunione, gli portava l’eucarestia a casa tutti i giorni. Quando don Raffaele mi ha presentato la cosa, ero un po’ timoroso poiché era la prima volta che dovevo celebrare il sacramento dell’unzione in inglese. Allora sono andato da Phil, un seminarista statunitense che vive il suo anno all’estero con noi, e l’ho pregato di accompagnarmi. Pensavo che sarebbe stato un bel segno di comunione il fatto di visitare questa persona in due. Arrivati a casa di Michael, lo abbiamo trovato seduto su una poltrona del soggiorno a conversare amabilmente con Joseph. Michael era desideroso di parlare e per nulla affranto dalla malattia. Ci ha raccontato che per tanto tempo aveva lavorato come cuoco a Londra, che aveva perso sua moglie anni prima, che non vedeva l’ora di raggiungerla in Paradiso.
Mentre parlava, ero calamitato dal suo volto sorridente, dalla sua espressione gioiosa quando diceva che Ann era in Cielo e lui desiderava ardentemente ricongiungersi a lei. Poi gli ho amministrato il sacramento dell’unzione, così semplice e così pieno di significato.
Tornando a casa e commentando con Phil quanto era accaduto, entrambi ci siamo scoperti molto colpiti dalla gioia di Michael. Purtroppo, nei giorni successivi non sono potuto tornare a visitarlo ma Phil ha continuato a farlo con fedeltà. Michael non ha mai smesso di vivere la sua malattia con grande fede. Quando è morto, molti parrocchiani hanno partecipato al suo funerale. Sono certo che alla fine della sua vita terrena abbia riabbracciato sua moglie dentro l’abbraccio più grande del nostro Padre celeste.
La seconda visita è accaduta alcune settimane dopo. Sempre con Phil, questa volta sono andato in una casa di riposo dove era ricoverata Margaret, una donna molto anziana e ormai in stato di totale incoscienza. Il figlio aveva chiamato l’ufficio parrocchiale chiedendo che sua madre potesse ricevere l’unzione. Quando Phil ed io siamo entrati nella stanza della casa di riposo, Margaret era sola, adagiata nel letto. A quel punto, ho iniziato il rito, chiedendo al Signore che lei potesse in qualche modo percepire cosa stava accadendo e trarne beneficio. Ho unto la sua fronte e le sue mani: non c’è stato il minimo movimento del corpo. L’unica voce che si sentiva nella stanza era quella di Phil che rispondeva alle invocazioni che io leggevo dal rituale. Nonostante questo, sapevo che lo Spirito Santo agisce anche dove la materialità della comunicazione è impedita: perciò sono uscito dalla camera di Margaret, assolutamente certo che le avevamo donato la cosa più importante, la grazia del sacramento, realizzata dalla potenza di Dio. La possibilità di accompagnare una persona all’incontro con il Padre è uno dei compiti più grandi e belli nella vita di un sacerdote.