di Carlos G. Romero S (40 Giorni per la Vita Colombia)
Esistono due domande molto profonde che vale la pena di non dimenticare e che possono essere formulate in vari modi: le donne vogliono davvero essere lasciate sole nella decisione di abortire? Le donne sono state sole quando hanno preso la decisione di abortire?
In base alle ricerche del sociologo T.W. Strahan, l’80% delle donne che hanno abortito in realtà voleva il bambino e dice che avrebbe portato a termine la gravidanza se il compagno le avesse incoraggiate a farlo.
Nel Journal of Pregnancy del 2010, P.K. Coleman ha sottolineato che il 64% degli uomini e delle donne coinvolti nell’aborto ha dichiarato di non averlo voluto davvero, ma di essere stato spinto a realizzarlo. Il 47,8% delle donne ha affermato di esservi stato indotto da persone diverse dal partner.
Chi induce una donna a practicarsi un aborto?
Chi può indurre una donna a prendere questa decisione in modo diretto o indiretto? La risposta è estremamente varia, spaziando da amici, compagni, genitori e professori a consulenti e datori di lavoro…
Il contesto sociale mostrato dalla televisione, dal cinema e dalla pubblicità presenta i piaceri della vita escludendo radicalmente qualsiasi impegno relativo a una figura materna o paterna e che possa anche solo insinuare il concetto di famiglia.
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La gravidanza viene collegata inconsciamente a concetti come minaccia, disagio, incidente, situazione inconcepibile, ecc.. Cosa significa tutto questo? La conseguenza finale, una volta messe da parte tutte le questioni ideologiche e giuridiche, è l’estirpazione di un essere che non riceve neanche l’opportunità di nascere (o si dovrebbe dire un embrione?)
Si evita di catalogarlo come un essere umano
Viene definito in vari modi, ma si evita di chiamarlo essere umano. Se ne parla come di una “cosa”, che, se lasciata andare avanti, potrebbe diventare… un essere umano! Come se fosse una vera minaccia.
Tutte le argomentazioni influiscono sulla psiche dei futuri genitori, e senza saperlo quel piccolo essere inizia, dal rifugio più perfetto della natura che è il grembo, a combattere una battaglia che non avrebbe mai immaginato, visto che viene considerato “un problema da risolvere”.
Questa risulta essere un’istigazione all’aborto con tutto il profondo significato che implica il verbo istigare (influire su una persona perché realizzi un atto o pensi nel modo che si desidera, soprattutto se è per farle fare qualcosa di negativo o pregiudizievole).
In altri termini, si insegna alle nuove generazioni che non esiste un limite, e che l’aborto non è solo un diritto, ma anche un servizio. Che si chiami società consumistica o società del calcolo o del controllo, il fatto è che si sta disumanizzando la gente.
Ovviamente quando si ricorre all’arma di relativizzare tutto si cade nella dimensione conformista in base alla quale tutto dipende dal modo in cui si analizza una circostanza.
La figura dell’uomo viene dimenticata quando si parla dell’aborto
Una questione che ha poco o niente a che vedere con la vergognosa tragedia dell’aborto è il fatto che l’uomo viene quasi completamente eliminato dall’equazione. È più facile inculcare l’idea che per lui sia molto meglio non essere considerato che permettersi di pensare che abbia il massimo diritto di intervenire nella decisione così seria di “interrompere la gravidanza”.
Socialmente si vende l’idea che la questione riguardi solo ed esclusivamente la donna incinta, arrivando alle situazioni estreme di annullarlo del tutto, stabilendo leggi sull’assoluta impossibilità legale da parte del papà di voler partecipare a una decisione così delicata.
Cosa accade agli uomini a cui è stata negata l’opportunità di opporsi, di lamentarsi, di esprimersi? Le loro ferite psicologiche e il loro dolore morale non sono paragonabili alle ferite di quelle ragazze che sono riuscite a comprendere la crudeltà che implica una decisione del genere?
Attraverso indagini di esperti di psicologia e consulenti spirituali si sta facendo strada la necessità di prendere coscienza della terza vittima, sconosciuta e sottovalutata, nei casi di aborto: l’uomo, soprattutto quando venendo a conoscenza della situazione – cosa che non sempre accade – cerca disperatamente di impedire che venga effettuato. Casi di questo tipo esistono, e le testimonianze al riguardo sono laceranti come quelle delle donne che hanno fatto ricorso all’aborto.
Ci piacerebbe sapere nei commenti cosa pensate di questo tema. Quali strategie vi vengono in mente per offrire accompagnamento a questi uomini che hanno perso il proprio figlio? Come credete che si possa promuovere una maggiore consapevolezza sul fatto che non è coinvolta solo la donna e che anche l’uomo è una vittima?
Se volete approfondire il tema, raccomando il libro Lui e l’aborto. Viaggio nel cuore maschile, di Antonello Vanni, edizioni San Paolo.