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Ehi, tu che fai l’apericena e l’happy hour! Voglio raccontarti una storia…

HAPPY HOUR, WINE, CHEESE
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Pane e Focolare - pubblicato il 06/08/20
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Dietro le ultime mode di solito ci sono tradizioni dimenticate ma migliori. Oggi bevi un cocktail piluccando stuzzichini di scarsa qualità a un buffet, ieri c’era il tripudio sano e gustosissimo della merenda sinoira.Vi aspettiamo alle cinque, per una merenda sinoira!”. Riceviamo quest’invito e facciamo la conoscenza con una bella tradizione piemontese, che affonda le sue radici nella vita contadina. Non chiamiamola apericena o happy hour, per carità, riti modaioli di chi dopo il lavoro non ha voglia di andare a casa a cucinare e in un bar affollato mangia cibi presi da un buffet, con un piattino di plastica in mano.


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La merenda sinoira ha ben altro valore culturale e storico. Il Piemonte non è solo quello dei Savoia, dei castelli nobiliari e degli eleganti caffè liberty del centro di Torino, c’è tutta una Regione agricola dove si coltivano le vigne e i noccioli, si alleva la preziosa mucca piemontese, la fassona, si raccolgono le castagne, si cercano tartufi e le rane gracidano nelle risaie dove un tempo faticavano le mondine. Ci sono tante eccellenze del territorio che sono frutto di un duro lavoro nei campi. Ma da dove nasce questa merenda sinoira? Proprio dalla fatica di tante ore di lavoro sotto il sole, con le campane che in lontananza scandiscono il passare del tempo.

Ci sono momenti del raccolto che richiedono più impegno e più tempo nei campi, fino all’ora del tramonto nelle lunghe giornate d’estate. E’ proprio il momento del taglio del grano, delle mucche e delle capre da portare nei prati pieni di foraggio e fiori, della vigna da curare e della frutta da raccogliere dagli alberi rigogliosi. La fatica ad un certo punto si fa sentire e ci vuole qualcosa che dia energia, per riuscire a resistere fino all’ora di cena. Ecco la merenda sinoira, che si può tradurre come “tendente alla cena”: arrivano le donne di casa con un bel cestino di vimini ricolmo di pane, salumi e formaggi, un sorso d’acqua e un fiasco di vino. E’ un pasto frugale ma familiare, che ha il gusto della solidarietà tra generazioni e tra vicini di casa, tra chi condivide la stessa fatica e lo stesso destino.

La merenda sinoira è tipica dell’estate, quando le giornate sono lunghe e calde. Non sostituisce la cena perché il momento del pasto consumato a tavola è sacro, momento importante da assaporare con la giusta calma, conversando e rilassandosi seduti comodi sulla sedia, davanti ad una fondina di minestra di verdura. Non si sentono i morsi della fame proprio perché la merenda li ha placati, e si può andare a letto non troppo appesantiti, una buona regola per dormire bene e alzarsi all’alba il giorno seguente per riprendere il lavoro. Quanta saggezza in quella cultura contadina: è bello che in Piemonte ci sia ancora il desiderio di mantenere certe espressioni, di essere fieri della propria tradizione, non per nostalgia ma per orgoglio delle proprie origini.

PIEMONTE, VIEW, ITALY

illpaxphotomatic | Shutterstock

Per questo sono stata felice dell’invito a questa merenda sinoira da piemontesi DOC, che al piano di sopra hanno un’attrezzatura per smart working, con pc e webcam, ma che di fronte ad un bel panorama sulle colline del Monferrato ci servono vini piemontesi, salumi e formaggi locali, insalata russa, bagnetto verde e verdure grigliate. Sgranocchiando Krumiri di Casale Monferrato guardiamo il tramonto: il contesto è cambiato, non abbiamo fatto una pausa tra i lavori dei campi ma è stata comunque una sosta ristoratrice nelle fatiche della vita. C’è stato tanto calore, amicizia, voglia di condividere non solo il cibo ma anche racconti, confidenze, l’impegno e le difficoltà nel cammino quotidiano ma anche le gioie e le speranze. Il piccolo adorabile Rudy gioca con il suo motoscafo e fa capriole nel giardino: c’è un passato alle nostre spalle da custodire e un futuro da guardare con fiducia e speranza.

Per questo non chiamiamola apericena: niente manager che stressatissimi sorseggiano un cocktail, piluccano qualcosa da un buffet disordinato, scambiando qualche parola con il vicino, ad alta voce per sovrastare la musica assordante diffusa nell’ambiente. Mi piace questo desiderio di mantenere un’espressione verbale che significa fierezza delle proprie origini e delle proprie tradizioni, desiderio di condivisione e ricerca di uno spazio di benessere, prodotti di qualità e attenzione alle relazioni. C’è un’identità forte, non solo nel recupero di un’espressione dialettale, ma anche nel mettere in tavola prodotti del territorio.

Il tempo scorre lento, tra una portata e l’altra si arriva all’ora di cena già sazi, c’è il vantaggio di stare insieme a lungo ma senza fare tardi. La convivialità resta l’ingrediente costante, sia nella merenda di allora che in quella rivisitata dai nuovi ritmi della nostra vita: una pausa piacevole per fermare il tempo, conversare e ridare energia non solo al corpo ma anche allo spirito. Mentre guardo il camino della bella sala che ci ospita, con il paiolo di rame per la polenta che in questa giornata estiva sta riposando, in attesa di essere messo nuovamente al lavoro in una fredda serata invernale, penso che la merenda sinoira ha il sapore della storia, della cultura, dei campi assolati, dei profumi della natura, del calore familiare. Questa è cultura del cibo.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA PANE E FOCOLARE

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