L’attrice comica di origini milanesi si raccontava così a “Famiglia Cristiana”. Dalla guerra alla liberazione; dall’inizio della sua carriera comica alle parti recitate al fianco dei più grandi. Nessun rimpianto ma ancora un desiderio: tornare a recitare.È morta Franca Valeri, aveva appena compiuto 100 anni. L’attrice, nata il 31 luglio del 1920 a Milano, di buona famiglia di origine ebraica, si è spenta questa domenica mattina nella sua casa di Roma.
Facile dire, di un’artista che ha interpretato da subito dopo la guerra i vizi, i mutamenti, le debolezze di una società in grande trasformazione e poi decadenza, ricordando che questa signora, colta, ironica, di gusto è stata la prima vera voce femminile autonoma della scena italiana, sin dal suo debutto nel 1948. (Ansa)
Su Famiglia Cristiana un servizio a firma di Antonio Sanfrancesco dedicato alla vita dell’attrice e alla sua carriera ci accompagnava a ripercorrerne le tappe più significative e a rivedere la galleria dei suoi più fortunati, azzeccati e irriverenti personaggi comici.
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La signorina Snob, più aristocratica, la sora Cecioni, popolana arguta, Cesira la manicure, alle prese con gli uomini e i malintesi del corteggiamento. Con i suoi personaggi, Franca Valeri ha fatto ridere e riflettere l’Italia. Arrivata al secolo di vita, confessa di non avere rimpianti. Qualche desiderio, però, ancora sì: «Quello di recitare ancora», dice. E pensare che suo papà, Luigi Norsa, ingegnere alla Breda, non voleva che lei facesse l’attrice perché, racconta, «aveva paura di un mio fallimento». Mise anche il veto sull’utilizzo del cognome di famiglia. Franca Valeri (in omaggio al poeta francese Paul Valéry), infatti, è il nome d’arte di Franca Maria Norsa, nata a Milano il 31 luglio 1920 e vissuta in via della Spiga, nel Quadrilatero , prima di emigrare a Roma dopo la guerra per frequentare l’ Accademia d’ arte drammatica, dove, ironia del caso, fu bocciata all’ esame di ammissione. (FC)
Aveva ragione papà, allora? Momentaneamente; e la strategia scelta e spalleggiata da una parente fu di non dirglielo. Mentì spudoratamente: sono stata presa!. E così regalò al padre la possibilità di diventare il suo più grande fan. Perché i successi, veri, arrivarono quasi subito.
La guerra e le leggi razziali
«Mi ricordo benissimo quel giorno orrendo. Vidi mio padre piangere sul giornale che riportava la notizia di quelle leggi indegne», dice accalorandosi. Di suo padre ricorda anche come fosse ieri le lacrime versate sui fogli di giornale che riportavano la notizia della promulgazione delle leggi razziali, firmate dal duce nel ’38, il 5 settembre, per la precisione. Franca ha origini ebraiche proprio da parte di padre. Non è praticante, spiega, ma è legatissima alle sue origini.
«Un’ identità alla quale sono legatissima anche se non sono praticante». Al collo ha una piccola stella di David che Stefania le ha portato da Gerusalemme e che da dieci anni non toglie più. Il padre di Franca e il fratello Giulio fuggirono in Svizzera con i gioielli di famiglia cuciti nel cappotto per venderli e poter sopravvivere. (FC)
Lei, giovanissima, resta a Milano con la mamma che invece è cattolica. Pensavano così non avrebbero corso troppi rischi. La durezza ma anche la durata e la solitudine imposte dalla guerra le permisero di leggere, per intero!, la Recherche di Porust. Il paragone con i libri letti in questi mesi di lockdown è inevitabile ma in effetti piuttosto sproporzionato. Io personalmente posso vantare di avere terminato la versione Audible de L’Odissea. Comunque per Franca Maria Norsa arrivò la fine della guerra e sbocciò l’inizio della sua giovinezza.
La fine della guerra, l’inizio della giovinezza
«Il 25 aprile», dice, «è stato il giorno più bello della mia vita perché era la fine di un incubo e ho capito che da quel giorno sarebbe iniziata la mia giovinezza». E una carriera che la vedrà protagonista delle migliori avventure di questo mezzo secolo italiano: il grande teatro degli anni Cinquanta e Sessanta con mostri sacri come Strehler, Testori e poi De Lullo. La nascita del varietà televisivo con Antonello Falqui. La commedia all’ italiana con il cinema di Dino Risi e Alberto Sordi. A unire tutte queste esperienze, la sua ironia a volte abrasiva e politicamente scorretta: «La comicità deve contenere sempre un sottofondo di crudeltà altrimenti è dilettantismo», spiega, «credo che i miei personaggi siano veri. Hanno conservato negli anni una loro verità». (FC)
Ha lavorato con i più grandi della comicità italiana, dal già citato Sordi al principe, Totò.
Il ‘900 lo ha attraversato quasi tutto, secolo breve, secolo di stragi una più inutile dell’altra, certo. Ma un secolo nel quale si riconosceva. Non come questo, cominciato da 20 anni, inaugurando il nuovo millennio. Si annoia
«Lo trovo molto noioso, per tanti motivi. Prima non mi sono mai annoiata». Per chi porta sulle spalle una così lunga vita la memoria è una risorsa preziosa: «Lo è sempre, soprattutto alla mia età perché ti permette di stare attaccata alla vita».
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La nostalgia per il teatro e il mistero della morte
Su questo punto si fa reticente, forse non è il luogo, un’intervista, per discutere di cose tanto alte e gravi. Forse le sarebbe più congeniale una conversazione notturna alla Nicodemo e come lui potrebbe stupirsi di ricevere la stessa risposta sulla necessità di “nascere di nuovo”. Che vale tanto per la conversione quanto per l’incontro faccia a faccia con il mistero che tutto in qualche modo intuiamo nascondersi alla radice dell’esistenza e di ogni cosa.
E il mistero del dopo, di Dio? Franca Valeri non risponde: «Sono domande troppo complicate». Un po’ come se fosse ancora sul palcoscenico. (Ibidem)
Poco prima aveva confessato di avere ancora un intenso desiderio di tornare a recitare a teatro. Sono emozioni forti, queste. E forse si tratta, in entrambi i casi e per Dio e per il teatro, di intensa nostalgia.