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Cicatrici del corpo e dell’anima: nascoste, esibite o accolte?

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Giulia Cavicchi - pubblicato il 29/07/20
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Ciò che ci segna nel corpo si riflette sullo spirito e viceversa. Sappiamo riconoscere le nostre ferite, scoprirle, farle rimarginare e, se il taglio è profondo, accettare addirittura con orgoglio le cicatrici che lasciano?

Le principesse esistono ancora, e ancora si sposano come nelle migliori favole a lieto fine.

Noi non sappiamo se la principessa Eugenia di York e suo marito Jack Brooksbank vivranno felici e contenti, certo glielo auguriamo, però un happy ending esiste già, lo ha mostrato Eugenia orgogliosa a tutto il mondo: si può essere felici anche con le proprie cicatrici, anzi, si può essere felici e orgogliosi delle proprie cicatrici. (Il matrimonio è avvenuto nell’ottobre del 2018, Ndr)

La principessa infatti ha scelto un abito con una profonda scollatura sul dorso che mettesse in evidenza la lunga cicatrice che le attraversa la schiena, e se non bastasse, non ha indossato il velo: quella ferita rimarginata si doveva vedere.

Questa sua scelta mi ha colpito molto positivamente, ritengo che sia un messaggio coraggioso almeno sotto due aspetti.

Il primo riguarda il corpo e la bellezza femminile: non è la perfezione delle forme, non è la proporzione delle misure, e nemmeno il più bell’abito da sposa a fare bella una donna, ma è la profonda accettazione della sua unicità e particolarità, che passa anche attraverso gli aspetti duri della vita. Quando una donna si ama e accetta per quello che è, nella sua storia incarnata, allora diventa più luminosa e affascinante, perché trasmette con tutta la sua persona la sua identità, unica e irripetibile.

In secondo luogo Eugenia ci dà un’importante lezione rispetto alle ferite che ciascuno possiede, nel corpo o nell’anima, che in realtà sono spesso la stessa cosa. Mi spiego meglio. La cicatrice di Eugenia è dovuta a una delicata operazione alla schiena, quindi è una ferita propriamente del corpo, ma inevitabilmente ha ripercussioni anche sulla sua persona, su che significato ha avuto per lei quell’intervento, su come lo ha vissuto, come si è sentita, chi le è stato accanto in quel momento, chi no, cosa ha significato per lei crescere con questo segno sul corpo…

Viceversa, anche le ferite dell’anima, quelle psicologiche, hanno ripercussioni sul corpo. Mi aveva molto colpito un esempio che riporta Lowen (padre dell’analisi bioenergetica) nel libro La spiritualità del corpo:

“In quella che è ormai divenuta la mia pratica abituale della bioenergetica osservo di solito il corpo della persona per cercarvi le tracce della sua esperienza. Il corpo di quell’individuo mostrava un disturbo inconsueto: una rientranza di una quindicina di centimetri sul lato sinistro. Non avevo mai visto una rientranza simile e non riuscivo a spiegarmela. Quando lo interrogai per sapere come si era formata, riferì che era cominciata come una leggera concavità quando aveva undici anni. Poi, nel giro di tre anni, era aumentata fino a divenire profonda, come la vedevo ora. Non aveva mai consultato un medico perché quell’anomalia non aveva mai ostacolato la sua normale funzionalità. Gli chiesi se a undici anni gli fosse capitato qualcosa di insolito e mi rispose che la madre lo aveva messo in collegio. Questa dichiarazione non sembrò fare molta impressione agli altri partecipanti al seminario. Io invece ne rimasi colpito e colsi subito il significato della rientranza: era come se una mano lo avesse spinto da parte con forza.”.

Questo è un esempio eclatante e particolare, ma ciascuno di noi porta nel corpo i segni delle sue ferite e del suo funzionamento psicologico.


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Il problema è cosa farne delle nostre ferite e cicatrici: andare avanti con la propria vita nascondendole a sé stessi e agli altri? Certo, ci può essere una fase in cui abbiamo bisogno di proteggerci, ma alla lunga, la vergogna e la paura ci renderanno un po’ schiavi, condizionandoci in tante scelte, spesso a nostra insaputa.

Oppure possiamo fare il viaggio che ha compiuto Eugenia: avere il coraggio di guardare in faccia alle proprie ferite, di dargli un nome, di provare quella rabbia, quel dolore, quella tristezza che racchiudono… e ritrovarsi un giorno ad esserne orgogliosi, non vergognarsene più, e a essere tanto liberi da poterle mettere in mostra (e scegliere l’abito da sposa che si preferisce, non quello che nasconde).

Intraprendere un percorso di psicoterapia è compiere questo viaggio, non da soli ma accompagnati.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO SUL BLOG DI GIULIA CAVICCHI

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