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“Unorthodox” e gli errori in cui si incorre in nome della fede

UNORTHODOX
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Catholic Link - pubblicato il 17/07/20
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di Silvana Ramos

Unorthodox. Ci ho messo tanto a commentare questa serie di Netflix perché non volevo farlo alla leggera. Il tema che tocca è delicato e al contempo molto profondo. Molti hanno commentato quanto siano straordinarie le interpretazioni, soprattutto della protagonista, Shira Haas, e quanto la storia sia accattivante.

Il messaggio per un credente alla fine può sembrare una ribellione contro le forme, o come dice monsignor Barron in un eccellente commento sulla serie, un tentativo di “trovare forme particolarmente oppressive della religiosità per giustificare” la storia e il viaggio della nostra eroina.

Ho visto la serie due volte e la rivedrei. Il dolore che comunica la protagonista è enorme, come lo è la semplicità con cui termina. Vorrei sottolineare due riflessioni che mi ha suscitato questa serie, che credo potrebbero essere utili al momento di vederla e penso ci aiutino a riflettere sulla nostra vita come cristiani.

https://youtu.be/M3-MVIU-88k

1. Unorthodox e l’errore di separare la fede dalla vita

La serie si sviluppa in un’oppressiva comunità ebraica chassidica di Brooklyn. In effetti Unorthodox si può interpretare come la tipica storia che ci racconta la liberazione dall’oppressione nefasta della religione, tema che abbiamo visto innumerevoli volte al cinema e nella letteratura.

Anche se varie volte questo reclamo trova una giustificazione valida, finisce per essere una generalizzazione e far sì che il pubblico veda tutto ciò che è religioso con la lente dell’oppressione.

Sappiamo bene che non è così, perché la religione è uno splendido cammino verso Dio. La Chiesa cattolica ci mostra attraverso il suo magistero la bellezza come seguire Cristo, un Dio vivo che ci insegna a vivere e a sceglierlo liberamente.

Il problema si presenta quando si vive la fede separata dalla vita, o quando la religione viene prima dell’incontro personale. Quando questo accade, si verifica una grande incoerenza.

Come possiamo amare Dio al di sopra di tutte le cose e il prossimo come noi stessi se disprezziamo l’altro, se viviamo chiusi e non siamo caritatevoli a casa nostra, nella nostra comunità? Come amare Dio se questo amore profondo di incontro è sconosciuto e spesso rifiutato?

Questa serie ci mostra questa incoerenza, a noi non estranea. È quasi una crisi di identità tra quello in cui crediamo e il modo in cui lo mettiamo in pratica. Spesso ci aggrappiamo alle forme per usarle come difesa contro ciò che è mondano, contro tutto quello che attacca il cristianesimo e ci allontana da Dio. Viviamo difendendo anziché vivendo come ci è stato insegnato, e ironicamente non facciamo quello che ci è stato insegnato, ovvero amare.

Unorthodox ci mostra questa realtà. Non possiamo vivere lontani dal mondo, curando la forma e dimenticando la nostra missione, isolarci e ignorare ciò che accade intorno a noi senza coinvolgerci con niente e nessuno. Non accade solo in questa comunità ebraica, ma anche in noi stessi, e più spesso di quanto crediamo.

2. Il dispiegamento personale in opposizione al mio rapporto con Dio

Risulta quasi insopportabile vedere Etsy, così piena di doni e di qualità, disprezzarsi come fa. Sembra che non sopporti di essere se stessa. Fin dall’inizio percepiamo che si sente a disagio, strana. Possiede quel difetto che nessuno vuole, e che fa sì che essere stata scelta da un uomo sembri quasi un miracolo.

Il dispiegamento personale non si oppone al rapporto con Dio. Quando la religione non ci permette di riconoscerci, di riconciliarci con la nostra storia personale, di scoprire chi siamo e poter essere sempre più autentici è terribile. Ci danneggia al punto da spersonalizzarci.

Quante volte lo abbiamo constatato nella nostra amata Chiesa, nelle nostre comunità, nei nostri movimenti! Questa serie richiama la nostra attenzione in un modo forse esagerato, ma che non dovremmo affatto ignorare.

Non si tratta di liberarci delle forme o dei riti, questo mai. I nostri riti, le nostre cerimonie e le liturgie sono uno splendido dono. Non si tratta nemmeno di credere “a modo nostro”. Credo che ci si debba sforzare per cercare un incontro personale con Dio, con un Dio che ci ama.

C’è un dettaglio importante al riguardo, e appare proprio alla fine. Etsy arriva a esprimersi autenticamente attraverso uno splendido canto, e non uno qualsiasi, ma un canto religioso! L’intenzione dello sceneggiatore usando Mi Bon Siach come canzone di liberazione di Etsy è quella di rompere con le tradizioni religiose e i vincoli autentici come quello del matrimonio.

Questa canzone ebraica celebra l’unione tra un uomo e una donna e viene interpretata nelle nozze quando gli sposi si trovano sotto la kuppa. Il testo parla di due amanti e di Colui che conosce la loro autentica gioia e li benedice.

Mi chiedo se si tratti davvero di un simbolismo di liberazione o di una nostalgia delle origini. Etsy ha un dono bellissimo, una voce potente che si esprime casualmente in un canto che rende onore al suo passato e alle sue convinzioni. Non rinnega Dio, continua ad anelare a un amore profondo, reverente, autentico.

Cosa sarebbe successo se avesse provato a ricominciare col marito?

La mia domanda è senz’altro scandalosa dopo tutto ciò che Etsy ha vissuto. Effettivamente serviranno tempo e spazio per guarire, ma bisogna capire che anche lui sa poco di se stesso. È un uomo ferito e anche lui ha bisogno di amare e di scoprire la sua vera chiamaa.

Come emendare ai nostri errori? Abbandonando tutto o abbracciando Dio, riconciliando e ricominciando. L’aiuto è sicuramente necessario.

Se avete già visto questa serie, ci piacerebbe sapere cosa ne pensate e cosa vi ha colpito di più di questa storia. Fatecelo sapere nello spazio riservato ai commenti!

Qui l’articolo originale pubblicato su Catholic Link.

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