Mi ero fatta un sacco di problemi all’indomani della scoperta dell’arrivo di un’altra sorellina, pensavo che i fratelli grandi non ne sarebbero stati attratti. In Lillo non speravo proprio… e invece sbagliavo! Sciogliendosi come neve al sole, riserva per la Pantuffola sguardi affettuosi che bada bene di tenere nascosti in presenza di altri rudi coetanei. È un periodaccio.
Il Piccinaccolo si è assestato sulle due sveglie a notte: una è per la pipì (ha deciso che il pannolino non si addice a un duenne di tutto rispetto) e l’altra è per ‘lattepotti’ (che, in piccinaccolese significa “latte e biscotti”) che siamo riusciti a convincerlo di mangiare in camera da letto senza scendere in cucina. Purtroppo, però, entrambe le sveglie iniziano con urli belluini che ci fanno trasalire. In entrambe le situazioni io devo alzarmi, nonostante il Piccinaccolo desideri stare con lo Sposo – che comunque si alza, lo coccola, lo nutre e lo porta a fare pipì – per “resettarlo”: questo significa che lo prendo in braccio nonostante le rimostranze (copiose, laddove lo tolgo dalle braccia paterne), lo porto con me nel bagno e, usando un tono inequivocabilmente affettuoso, ma assolutamente fermo, gli dico «Adesso basta». Lui si calma immediatamente, tirando su col naso mi appoggia la testina sulla spalla e allora capisco che si è tranquillizzato. Non ci è chiaro il motivo per il quale il Piccinaccolo resiste alle pacate richieste paterne di calmarsi perché non è solo nella giungla né abbandonato e la parte di quella che interrompe il “momento ansia” debba essere io: evidentemente il mio alito notturno e il mio sguardo stropicciato lo ammutoliscono (giustamente). Sta di fatto che dopo aver fatto ‘lattepotti’ si addormenta subito. La notte, per cui, può continuare (Dio benedica l’inventore del letto king-size e quello di qualsiasi farmaco contro l’emicrania da poco sonno).
La Pantuffola ha le sue sveglie, ma dormendo appiccicate, non è una fatica particolare: l’unica cosa che la disturba, poverina, è un’ora di mal di pancia/stanchezza la sera verso le 20: così ce ne stiamo un po’ in giardino o nel lettone, abbracciate e strette strette, per far passare quell’ora di enorme dolore. Circa la presenza della nuova arrivata, il resto della figliolanza non ha subìto traumi: magari solo il Piccinaccolo che, tra uno slancio di affetto vagamente omicida e una carezza velatamente dispettosa, pare essere disturbato solo dal fatto che, terminato il lookdown dovuto al Covid-19, lo Sposo è tornato agli impegni lavorativi e lo lascia a casa (nelle perfide grinfie materne: come dar torto alla sua protesta? Le madri, si sa, soffocano di baci e abbracci… roba noiosa e appiccicosa, soprattutto l’estate!). Come tutti i miei figli maschi, vive con trasporto e devozione e ammirazione insieme, l’amore per il “papo”. Sì perché a casa nostra, ma credo sia una cosa diffusa, il “papo” è la persona più importante per chi possiede il cromosoma Y accanto a quello X. Se il “papo” taglia l’erba, tutti i maschi lo seguono. Se il “papo” trapana qualcosa (abbiamo tutte notato, vero, che il trapano è l’oggetto più fantasticamente meravigliosissimo per tanti -non tutti, ovvio- bambini?), tutti osservano con ardore. Se il “papo” aggiusta (di solito qualcosa che ho rotto io con la proverbiale grazia), monta (qualcosa che io ho ordinato su internet ma di cui non comprendo assolutamente le istruzioni), sistema (una presa, un lavandino, un abat-jour dispettosa) o semplicemente fa la doccia, gli anatroccoli maschi lo circondano, lo copiano, lo tampinano, lo imitano e, com’è scontato, se deve andar via, ululano. Certo, chi ha più di tre anni e comprende che il “papo” torna sempre a casa dai suoi piccoli lemurini, di solito smette di piangere: il Piccinaccolo, avendo neppure due anni e mezzo, ovviamente, è nel pieno del timore che il “papo” lo abbandoni per sempre.
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Chi in famiglia sta emulando lo Sposo in molte attività e comportamenti, è il Lillo: falciare l’erba, pulire le piastrelle del giardino con l’idropulitrice, aggiustare, rimediare ai guai femminili (oggi ha sistemato il tubo dell’aspirapolvere intasato da calzini e soldatini: la Figlia G quando dice di pulire, aspira TUTTO quello che vede), studiare per diventare geometra e cucinare… L’emulazione è un potente mezzo educativo e quando guardo il Lillo trovo una somiglianza profonda col suo papà, anche se… Anche se i tempi sono cambiati.
Sì perché se c’è una preoccupazione che mi affligge più di tutto, è che il mondo moderno, il cosiddetto mainstream, degli uomini castra tutto: la virilità, la Fede, la paternità…
Lillo, nella sua ruvidità adolescenziale, fatta di «Bourbon e pessime scelte» (come dice Gerald Butler in “Attacco al Potere 2”, film ad alto contenuto di maschiosità muscolosa molto testosteronica), non pensavo che riuscisse a mutare lo stato della propria materia, da quando ha preso in braccio la Pantuffola la prima volta, passando direttamente da solido a liquido. Riuscendo contemporaneamente a ordinare aspramente di riordinare ai fratelli minori, e a emettere vocine dolciose guardando la sorellina, mi ha stupito tantissimo. Mi ero fatta un sacco di problemi, all’indomani della scoperta dell’arrivo di Pantuffola, poiché pensavo – sbagliando vieppiù – che i fratelli grandi non ne sarebbero stati attratti: speravo nell’istinto femminile della Figlia G, che ha smesso i panni dell’adolescente malmostosa (“abito” indossato da Lannina che durante il lookdown ha deciso di diventare indubitabilmente adolescente) per rivestire quelli della neodiplomata che si sta per iscrivere all’Università, ma in Lillo – lo dico senza imbarazzo – non speravo. Lo vedo così impegnato tra la palestra e ricerca della ricetta da effettuare per cena (a proposito: non cucino più da quando ho partorito: grazie a Dio ho un figlio con la passione della cucina), le uscite con gli amici e lo strapazzamento dei fratelli rei di non obbedirgli quando gli sono affidati (la dispettosità della fratellanza minore che fugge da ogni richiesta di raccogliere balocchi sparsi, è proverbiale), che sinceramente temevo che l’arrivo di un’ulteriore piccina lo disturbasse, più che altro. E invece no: sciogliendosi come neve al sole, riserva per la Pantuffola sguardi affettuosi che bada bene di tenere nascosti in presenza di altri rudi coetanei.
Guardando Lillo, tuttavia, mi sovvengono tante questioni: sarò stata capace di trasmettergli una cultura femminile che lo elevi e non lo condanni? Mi spiego: tornò un giorno a casa da scuola in seconda media e mi disse che una sua prof aveva fatto capire chiaramente che, per lei, essere maschio era indice di essere brutale. Per la docente ogni maschio presente in classe era un potenziale stupratore e un violento, per il solo motivo che il maschio è così. Le mie – forse banali, sciocche, inutili – paure di madre sono molte, nei confronti dei miei figli maschi che, culturalmente, la società vuole imporre essere privi di ogni caratteristica mascolina – avendo scambiato la virilità con la cosiddetta “mascolinità tossica” -. Come potrebbe vivere mio figlio – mi chiedo a volte – se un giorno la sua ragazza desiderasse abortire il loro bambino? Esagero? No, non tanto. Se da qualche decennio i maschi sono stati educati non solo al fatto che il destino dei bambini nel grembo materno è appannaggio unico della donna, ma anche che concetti come “castità”, “rispetto” e “matrimonio”, sono roba sorpassata (sul fatto che “l’utero è mio e me lo gestisco io” sia la causa precipua della solitudine che molte donne vivono una volta rimaste gravide, se non addirittura la causa della coercizione all’aborto alla quale molte sono costrette dai loro “uomini”, siamo tutti d’accordo, vero?), pensare a un fatto del genere, quindi, non è un evento ipoteticamente da escludere a priori, purtroppo. E se un giorno, invece, la moglie lo abbandonasse e lo privasse dei loro figli? In tutte queste circostanze mio figlio sarebbe dilaniato dalla sofferenza, ma la cultura dominante – stupida, ignorante e antifamiliare – di oggigiorno, lo condannerebbe al dolore. Tutto questo è, per me, assurdo ed è fonte di grande preoccupazione… È per questo che mi ritrovo qui, sola, a pregare.
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Ma adesso vorrei tornare a pensare cose belle: guardo mio figlio e ringrazio Dio. Lo ringrazio perché ho per lo meno provato a mostrargli cosa sia la bellezza della famiglia (incasinata, rumorosa, confusionaria, ma felice), la gioia di sacrificarsi per gli altri, la possibilità che tra un uomo e una donna – nonostante discussioni e scaramucce – ci sia un legame indissolubile perché ci si sposa in tre (lui, lei e Cristo) e perché, ogni tanto, nasce un bimbo… E inoltre ringrazio Dio per un’altra microscopica cosa: il Lillo è sì un orso piuttosto scorbutico, ma ha un cuore grosso così.
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