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Fermati a guardare quanta vita ti toglie uno smartphone!

CHILDREN, PLAY, SMARTPHONE
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Annalisa Teggi - pubblicato il 10/07/20
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Il fotografo americano Erick Pickersgill ha fotografato la nostra quotidianità rimuovendo dall’immagine i cellulari e i tablet. «È la narrazione di ciò che rimane, mani vuote ed espressioni spente».Il compito della fotografia è far vedere ed è davvero straordinario quando un’immagine riesce a mostrare ciò che, pur essendo sotto i nostri occhi, non vediamo. Erick Pickersgill è un artista americano che nel 2016 ha ideato e realizzato un progetto chiamato Removed, una raccolta di fotografie in bianco e nero che inquadrano i comportamenti quotidiani della gente togliendo dalle loro mani gli oggetti di perenne interesse, smartphone e tablet. Il comportamento resta, ciò che manca è lo strumento. Mostrare l’effetto è più efficace che spiegare l’idea:

Connessi senza contatto

Connessione è la parola che più frequentemente si associa ai nostri devices tecnologici, dà l’idea di essere legati a tutto. Amici, parenti, informazioni, servizi. Dietro il lavoro di Pickersgill c’è una profonda indagine che riguarda i nostri rapporti umani e comincia dal paradosso che lui stesso pone in questi termini:

Immagina un mondo così profondamente connesso che un amico dall’altra parte del mondo possa essere legato a te come un amico seduto accanto sul divano. Immagina un mondo così profondamente connesso che un amico seduto accanto sul divano possa sentirsi legato a te come un amico dall’altra parte del mondo. (da TEDx Talk)


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Cambiando i termini della proposizione il risultato cambia. L’illusione di essere connessi ci distrae dalla coscienza che un contatto è un legame vivo. È bellissimo scrivere un messaggio all’amica che si è trasferita in Canada e ricevere una risposta in tempo reale, ma come la mettiamo se nel frattempo tuo marito sdraiato a qualche centimetro è diventato distante come fosse su Saturno? Che specie di connesione è quella che ci rende atomi isolati anche se siamo circondati da esseri umani? Nuove tecnonologie creano nuovi comportamenti, afferma Pickersgill, ma non ci si accorge subito della portata che ha ogni nuovo comportamento. E finché non si matura la coscienza di un comportamento non lo si può giudicare, migliorare o cambiare.

Osservando le sue fotografie dovrebbe nascere un certo disagio nel vedere individui che stanno insieme eppure sono ciascuno in un mondo a sé. Ma non è neppure detto che ci si accorga di cosa rappresentino gli scatti di Pickersgill; infatti un altro elemento del comportamento indotto dall’uso della tecnologia è la velocità con cui scorriamo le immagini. È capitato dunque che alcune persone osservassero le foto della raccolta Removed così velocemente da non accorgersi dell’assenza degli smartphone e non capissero il senso delle foto. Chi invece osserva con cura gli scatti, non può non porsi delle domande quantomeno scomode sulle proprie consuetidini e sulla solitudine tangibile che evidenziano:

È la narrazione di ciò che rimane, mani vuote ed espressioni spente, le stesse che probabilmente indossiamo durante l’intera giornata nonostante chi o cosa abbiamo intorno. (Ibid)

Gli sguardi divergenti di una coppia appena sposata, è ciò che disturba e fa salire l’amaro in bocca. Se ci fossero i cellulari nelle mani di entrambi, la foto non darebbe affatto fastidio; penseremmo a quello che facciamo sempre, condividere un momento importante proprio mentre lo viviamo. L’assenza dello strumento fa esplodere l’evidenza che la connessione virtuale ci fa risultare degli alieni con una invisibile tuta isolante.



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Coscienza digitale primitiva

Ma il lavoro di Pickersgill è qualcosa più che una semplice provocazione. Per spiegarlo, l’autore ha usato una metafora legata a suo nonno, anche lui fotografo negli anni ’50: se guardiamo gli scatti di famiglia in bianco e nero di 60 o 70 anni fa, vediamo volti tirati, sorrisi poco spontanei, pose forzate. La gente non era abituata alla macchina fotografica, cioé pur posando per le foto non aveva preso consapevolezza del mezzo e delle possibilità. Oggi siamo nell’era dei selfie. Stare davanti a un obiettivo è un gesto di quotidiana routine: sappiamo risultare spontanei, l’obiettivo è una presenza “amica”, cerchiamo le pose più ammiccanti. Il tempo ha permesso alle varie generazioni di adattare il comportamento di fronte alla macchina fotografica via via che la consapevolezza del mezzo cresceva.

La tecnologia degli smartphone è con noi da un decennio circa. Sappiamo usarli, ma non siamo ancora consapevoli del cambiamento di comportamento che questa tecnologia ci impone. Il nostro atteggiamento è ancora “primitivo”, come quello di chi stava di fronte all’obiettivo 60 anni fa.

Mancano studi sugli effetti a lungo termine della tecnologia. Cosa sacrificheremo in cambio dell’informazione infinita e dell’eterna connessione? Queste fotografie devono aiutare a capire come la tecnologia stia modificando il nostro linguaggio del corpo e spingendolo all’isolamento. (Ibid)

Pickersgill ha voluto come soggetti degli amici e parenti, desiderava enfatizzare qualcosa di vicino alla sua esperienza. E l’impatto delle immagini ha cambiato prima di tutto la sua famiglia; hanno compiuto scelte quotidiane meno istintive. Si tratta di soluzioni molto semplici, che già in tanti suggeriscono, eppure difficili da mantenere proprio a causa di una coscienza ancora immatura: non tenere il cellulare in camera da letto, evitare di averlo vicino mentre si mangia a tavola e quando si guarda un film insieme.

Esercitare una consapevolezza ed educare il nostro comportamento non significa demonizzare la tecnologia. Comporta invece, certamente un tentativo di ridurre il nostro tempo davanti agli schermi, ma anche una capacità più matura di usare la potenzialità della connessione virtuale. Tornando all’esempio iniziale, la conclusione della storia ci riporta sul divano (della realtà): se impariamo ad avere un legame profondamente vero con chi ci siede accanto, impareremo a essere anche profondamente legati a quelli con cui siamo connessi.


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